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Ultrà in Tunisia: dietro la passione della curva, un’ode alla resistenza

La morte per annegamento di Omar Abidi il 31 marzo 2018 dopo una partita tra il Club Africain (CA) e l’Olympique di Medenine è stata all’origine di un’ondata di indignazione contro la violenza della polizia che incancrenisce la società tunisina in generale e il football in particolare. Diverse testimonianze di tifosi che hanno assistito alla scena affermano che i poliziotti non hanno voluto ascoltare le suppliche di Omar, il quale avrebbe ripetutamente detto ai poliziotti di non saper nuotare. Uno di questi avrebbe persino risposto “T3alem 3oum” (impara a nuotare). Oltre agli attivisti contro la violenza della polizia, ultrà di differenti squadre  hanno espresso la loro solidarietà ai membri dei North Vandals, di cui Omar era tifoso. Gli ultrà del Club Africain hanno manifestato sabato 20 aprile sull’Avenue Habib Bourguiba per chiedere che venga fatta giustizia.
Un fenomeno dai molteplici aspetti
La nascita del fenomeno ultrà in Tunisia non è chiara. Alcuni affermano che il primo gruppo ultrà sarebbe stato quello degli African Winners, i tifosi del Club Africain, nel 1995. Altri, al contrario, affermano che nessun gruppo ultrà esisteva prima del 2002, anno della creazione degli Ultras L’emkachkines. Pioniere in Africa, il movimento ultrà in Tunisia resta relativamente sconosciuto. I gruppi ultrà sono costituiti di tifosi appassionati, che seguono tutti i match e si spostano con le loro squadre. Sono loro che si occupano dell’ambiente nello stadio fabbricando degli striscioni, cantando, facendo le coreografie e accendendo dei fumogeni. Questa attività richiede un’organizzazione meticolosa. I gruppi sono divisi in settori geografici, ma anche secondo dei compiti precisi. “C’è un’ala che si occupa dell’animazione dello stadio, un’ala militare quando c’è bisogno della violenza e in alto, abbiamo un consiglio di anziani che amministra” ci spiega Jamel (nome inventato), uno dei leader di un gruppo ultrà de l’EST battezzato in omaggio al rivoluzionario messicano Emiliano Zapata. Il riferimento a figure che incarnano la resistenza, almeno agli occhi degli ultrà, sono molto numerose negli striscioni e nei murales. Che Guevara e Gandhi stanno insieme a Saddam Hussein e Yasser Arafat. Allo stesso modo, i tifos, gli enormi striscioni che gli ultrà srotolano sono il frutto di un lavoro logistico molto meticoloso. “Una dakhla (entrata) che dura 10, 15 minuti, corrisponde a dei grafici, dei disegnatori , delle notti bianche e molti soldi e tempo. Il giorno del gran match, si parte alle 6 del mattino per mettere delle corde, e piazzare gli striscioni”, aggiunge il nostro interlocutore. Tutti i tifosi che abbiamo incontrato sono d’accordo su una cosa: il movimento ultrà è un movimento che comprende tutti gli strati della società, nei limiti della non-mixité maschile. Come spiega Jamel: “Da noi puoi trovare l’architetto, l’ingegnere, chi lavora insieme al ragazzo dei quartieri popolari che fa delle rapine per nutrire lui e la sua famiglia. Il figlio di un giudice si ritrova con il figlio di una donna delle pulizie ad accendere un fuoco. Questa è una cosa che la polizia ha difficoltà a capire”. L’universo ultrà è anche diventato una fonte di ispirazione artistica. “ A pensarci bene, dove si trova in Tunisia una così grande energia collettiva, una tale mescolanza sociale?”, dice il rapper  Vipa, uno abituato a frequentale la curva nord tunisina. 
Il gruppo può persino giocare un ruolo sociale anche al di là dei campi di calcio. “Quando vediamo che un nostro fratello non dispone dei mezzi per sposarsi, noi facciamo una colletta per aiutarlo. Una volta uno di noi aveva delle difficoltà a alloggiare la famiglia, gli abbiamo portato del materiale e ci siam messi a costruire la casa”, spiega il leader di un gruppo di ultrà dell’EST. “E’ una vera famiglia, i membri più adulti cercano di esercitare una buona influenza sui giovani che fanno delle grandi fesserie”, aggiunge. 
Il “diritto allo sfogo” violato dalla polizia
Sotto la dittatura o dopo la rivoluzione, gli scontri con la polizia sono ricorrenti. Conosciuti per i graffiti ACAB, i gruppi ultrà hanno sviluppato delle relazioni conflittuali con le forze dell’ordine, specialmente a causa degli innumerevoli divieti che la polizia decreta negli stadi. Tra le ragioni di queste tensioni, c’è quella che uno dei più vecchi militanti ultrà del Club Africain ha chiamato “la migrazione forzata”, ossia lo spostamento di tutte le partite dalla capitale verso lo stadio di Radès. Tuttavia, i tifosi e gli ultrà che noi abbiamo incontrato affermano che le loro relazioni con i poliziotti non sono totalmente manichee: “Ci sono dei buoni poliziotti che tifano per la squadra e lasciano entrare fumogeni, oppure a volte li portano dentro loro stessi”, afferma un altro tifoso della curva della squadra del Bab Jdid. I tifosi dell’Esperance sportive di Tunisi sono più comprensivi. “Quando andiamo allo stadio alle 6 per preparare gli striscioni, noi li vediamo. I loro superiori li lasciano delle ore sotto al caldo aspettando il match, a volte senza acqua o mangiare, non ci stupisce che diventino violenti dopo”. Tuttavia, i tifosi affermano che le violenze della polizia sono volontarie e ricercate. Le strategie dei poliziotti sono conosciute dai tifosi. “ Gasano, portano dei cani negli stadi per farci uscire, lasciano una sola porta aperta, e all’uscita, ci ammucchiano in un furgone della polizia”. Così la curva sud, quella dell’Espérance ha boicottato lo stadio lo scorso 15 febbraio, durante la partita EST- ESS proprio a causa dell’aumento della violenza della polizia. 
Il limite alla vendita dei biglietti, le porte chiuse, il divieto di portare minori allo stadio, sono tutte delle misure che adottate per diminuire la violenza non hanno fatto nient’altro che aumentarla. “Il movimento ultrà è stato sottoposto al divieto dei tifo. Dopo la rivoluzione, i due lunghi periodi di porte chiuse imposte dal ministro degli interni non hanno migliorato nulla”, conferma Farouk Abdou, giornalista sportivo del giornale Lucarne Opposée.  Alcuni ultrà d’altronde fanno un legame esplicito tra l’impegno dei Tunisini nello stato islamico e l’imposizione delle porte chiuse allo stadio: “la maggior parte dei giovani che sono partiti in Siria sono dei figli dello stadio, io ne conosco almeno una dozzina. E’ il risultato di quattro anni di porte chiuse. In questo paese, non abbiamo il diritto a sfogarci, ci viene impedito, mentre è proprio tutto quello che vogliamo: avere, una volta alla settimana, due ore di svago senza che vengano a pestarci” dice un ultrà esperantista. Per il sociologo Oussama Bouyahya i gruppi ultrà “permettono ai giovani di trovarsi un’appartenenza forte”. Abdou aggiunge, “per la generazione degli anni 2000, il gruppo ultrà è come un’oasi che li caccia dall’ozio. In una paese in cui la marginalizzazione della gioventù è stata eretta a sistema, l’appartenenza a un gruppo forte, che sfida il potere, non è senza importanza per dei giovani uomini alla ricerca dell’affermazione di sé. “Noi vogliamo che ci lascino vivi, che ci riconoscano, che lascino entrare i nostri tamburi, i nostri fumogeni, e che ci lascino tranquilli. Il gruppo, allo stadio, ne sarà responsabile”, conclude uno dei leader della curva esperantista”.
Fonte:
 

Prigione di As Suwayda in Siria, detenuti in sciopero della fame

Fonte:

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Per il quarto giorno di fila, i detenuti della prigione centrale di As Suwayda (nell’omonima regione nel sud ovest della Siria) continuano il loro pacifico sciopero dela fame.

Continuano a rifutare il cibo, nonostante i ripetuti tentativi dell’amministrazione penitenziaria, che ora chiede ai detenuti solo attraverso la radio della prigione di riceverlo, senza consegnarlo materialmente.

Un detenuto, stremato dallo sciopero, ha ricevuto le cure mediche necessarie.

L’amministrazione penitenziaria incrementa i controlli nelle varie ali della prigione, tentando di spingere i detenuti a sospendere lo sciopero accusando alcuni di loro di incitare alla protesta e impedire ai loro colleghi di ricevere cibo, che è rifiutato e respinto in massa da tutti.

La ribellione è iniziata la sera di lunedi 23 aprile, quando più di 500 detenuti della prigione centrale di As Suwayda hanno iniziato a protestare dopo le sentenze emesse contro di loro dalla Corte del terrorismo, dai Tribunali sul campo e dal Tribunale militare. I detenuti chiedono la presenza di un comitato giudiziario per riconsiderare i loro casi, si oppongono con forza al trasferimento di coloro che hanno terminato le loro condanne ed al previsto rilascio e consegna di altri a corpi di sicurezza sconosciuti che sarebbe solo il preludio di una sparizione forzata.

Rilasciano i punk cubani, ma…

da https://www.havanatimes.org/sp/?p=132150

Nelle prime ore di questo lunedì [9 aprile 2018], gli otto adolescenti e il minore che erano stati sequestrati arbitrariamente dalle forze di polizia cubane venerdì 6 aprile sono stati finalmente rilasciati.

Nonostante fosse stato annunciato alle famiglie degli arrestati che i ragazzi sarebbero stati condannati ad una pena massima di quattro anni di carcere o gli sarebbe stata inflitta una multa di 2.500 pesos (come è successo in altre occasioni), alla fine è stata consegnata soltanto una “Lettera di Avvertimento” ad ognuno dei ragazzi.

Questo è il tipico modus operandi della polizia cubana, che troppo spesso non offre informazioni attendibili sui luoghi in cui si trovano i detenuti, né rivela le vere accuse o motivazioni per l’arresto.

Nel caso dei punk, si aggiunge la discriminazione delle istituzioni verso quel gruppo sociale.

Quasi non hanno permesso le visite agli adolescenti. Dopo che i genitori dei ragazzi hanno scoperto da soli dove le loro figlie e i loro figli fossero ingiustamente trattenuti dietro le sbarre, le guardie hanno dato loro solo 5 minuti per vederli e fargli mangiare quello che gli avevano portato. Molti non sono riusciti a finire il cibo, in così poco tempo.

Ovviamente non credo che la polizia sia preposta per far rispettare la legge. È da molti anni ormai che abbondano gli esempi di come proprio queste forze repressive abbiano violato le leggi in vigore, ignorandone la forma, mentre si applicano in maniera indiscriminata punizioni ingiuste, a volte obbedendo a giudizi e pregiudizi personali.

In questo caso, i punk in questione dovranno opporsi legalmente alla “Lettera di Avvertimento” che sono stati costretti a firmare, perché è proprio il tipo di precedente penale che viene usato per giustificare future vessazioni contro questi gruppi di adolescenti, contro chi è critico e radicale.

La violazione del giusto processo è la norma nelle istituzioni cubane, e le principali vittime sono i reietti della società: punk, persone che subiscono discriminazioni razziali, gay, trans, “diversi”, dissidenti politici, anarchici, difensori dei diritti umani, insomma chiunque la cui semplice esistenza metta in discussione l’immagine idilliaca di una società che in realtà è molto retrograda.

So che alcune persone a Cuba preferirebbero che questo evento rimanesse un semplice aneddoto isolato, e che non si facessero generalizzazioni di questo tipo nei confronti delle istituzioni. Questo è il modo in cui anche molti attivisti preferiscono “giocare con la catena, ma non con la scimmia”.

Ma è nostra responsabilità civica segnalare lo stato di corruzione in cui si trovano le istituzioni cubane, l’arbitrarietà che muove le decisioni di tutti i tipi e a tutti i livelli, dal momento che la corruzione purtroppo alla fine si riflette sulle nostre famiglie, sui nostri quartieri.

Quindi dobbiamo sopportare quei rapporti economici della TV nazionale che accusano l’indisciplina sociale (e anche “popolare”), ignorando olimpicamente che il principale violatore delle sue regole è lo Stato stesso, ed è dallo Stato che le persone prendono esempio.

Isbel Díaz Torres

L’anti-imperialismo degli idioti

di Leila Al Shami

tradotto da https://leilashami.wordpress.com/2018/04/14/the-anti-imperialism-of-idiots/

Ancora una volta il movimento occidentale “contro la guerra” si è svegliato per mobilitarsi in favore della Siria. È la terza volta dal 2011. La prima è stata quando Obama ha ipotizzato di colpire mezzi militari del regime siriano (ma non lo ha fatto) dopo gli attacchi chimici nella regione di Ghouta nel 2013, considerati una “linea rossa”. La seconda volta fu quando Donald Trump ordinò un attacco che colpì una base militare vuota del regime in risposta agli attacchi chimici contro Khan Sheikhoun nel 2017. E oggi, mentre gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia intraprendono azioni militari limitate (attacchi mirati contro mezzi militari del regime e impianti di armi chimiche) a seguito di un attacco con armi chimiche a Douma che ha ucciso almeno 34 persone, tra cui molti bambini che si stavano nascondendo negli scantinati delle case per sottrarsi dai bombardamenti.

La prima cosa da notare rispetto alle tre principali mobilitazioni della sinistra occidentale contro la guerra è che hanno poco a che fare con la fine della guerra. Più di mezzo milione di siriani sono stati uccisi dal 2011. La stragrande maggioranza delle morti di civili è avvenuta attraverso l’uso di armi convenzionali e il 94% di queste vittime sono state uccise dall’alleanza siriano-russo-iraniana. Non vi è alcuno scandalo o preoccupazione simulata per questa guerra, che ha seguito la brutale repressione del regime contro manifestanti pacifici e pro-democrazia. Non c’è indignazione quando barrel bombs (bombe imballate in fusti di grandi dimensioni), armi chimiche e napalm vengono gettati su comunità democraticamente auto-organizzate o hanno come bersaglio ospedali e soccorritori. I civili sono sacrificabili; i mezzi militari di un regime genocida e fascista non lo sono. In realtà lo slogan “Giù le mani dalla Siria” significa “Giù le mani da Assad” e spesso viene espresso sostegno all’intervento militare della Russia. Questo è risultato evidente ieri in una manifestazione organizzata da Stop the War nel Regno Unito, dove un certo numero di bandiere russe e del regime erano vergognosamente esposte.

Questa sinistra che esibisce tendenze profondamente autoritarie, è la stessa che pone gli stati al centro dell’analisi politica. La solidarietà è quindi estesa agli stati (visti come l’attore principale in una lotta per la liberazione) piuttosto che ai gruppi oppressi o svantaggiati in ogni società data, indipendentemente dalla tirannia dello stato. Con una completa cecità di fronte alla guerra sociale che si verifica all’interno della stessa Siria, i siriani (quando esistono) sono visti come una mera pedina in un gioco di scacchi geo-politico. Ripetono il mantra “Assad è il legittimo governante di un paese sovrano”. Assad – che ha ereditato una dittatura da suo padre e non ha mai tenuto, per non dire vinto, un’elezione libera e giusta. Assad – la cui “armata araba siriana” non può che riguadagnare il territorio che ha perso con il sostegno di un guazzabuglio di bombe straniere e mercenari stranieri che stanno combattendo, in generale, ribelli e civili di origine siriana. Quanti avrebbero considerato legittimo il proprio governo eletto se avesse iniziato a condurre campagne di stupri di massa contro i dissidenti? È solo la completa disumanizzazione dei siriani a rendere possibile tale posizione. È un razzismo che vede i siriani incapaci di raggiungere, per non dire meritare, qualcosa di meglio di una delle dittature più brutali del nostro tempo.

Per questa sinistra autoritaria, il sostegno politico è esteso al regime di Assad in nome dell'”anti-imperialismo”. Assad è visto come parte dell'”asse di resistenza” contro l’Impero USA e il Sionismo. Poco importa che lo stesso regime di Assad abbia sostenuto la prima guerra del Golfo, o abbia partecipato al programma di consegna illegale degli Stati Uniti in cui sospetti terroristi sono stati torturati in Siria per conto della CIA. Il fatto che questo regime abbia probabilmente la discutibile caratteristica di massacrare più palestinesi rispetto allo stato israeliano è costantemente sottovalutato, così come il fatto che è più intenzionato a usare le sue forze armate per sopprimere il dissenso interno che a liberare il Golan occupato da Israele.

Questo “anti-imperialismo” degli idioti è quello che identifica l’imperialismo con le sole azioni degli Stati Uniti. Sembrano inconsapevoli che gli Stati Uniti hanno bombardato la Siria dal 2014. Nella campagna per liberare Raqqa dal Daesh sono state messe da parte tutte le norme internazionali di guerra e le considerazioni di proporzionalità. Oltre 1.000 civili sono stati uccisi e l’ONU stima che l’80% della città sia ormai inabitabile. Non ci sono state manifestazioni di protesta organizzate da organizzazioni ‘anti-guerra’ contro questo intervento, nessuna chiamata per garantire che i civili e le infrastrutture civili fossero protetti. Invece hanno adottato la narrazione tipica della ‘Guerra al terrore’, una volta riservata ai neo-con, ora propinata dal regime, che tutti gli oppositori di Assad sono terroristi jihadisti. Hanno chiuso un occhio su Assad che riempiva il suo gulag di migliaia di dimostranti laici, pacifici e pro-democrazia per uccidere e torturare, mentre rilasciava militanti islamici dalle prigioni. Allo stesso modo, le continue proteste tenute in aree liberate in opposizione a gruppi estremisti e autoritari come Daesh, Nusra e Ahrar Al Sham sono state ignorate. I siriani non sono visti come in possesso della necessaria raffinatezza di pensiero per avere una vasta gamma di punti di vista. Gli attivisti della società civile (tra cui molte donne straordinarie), i giornalisti d’inchiesta, gli operatori umanitari sono irrilevanti. L’intera opposizione è ridotta ai suoi elementi più autoritari o vista come un semplice strumento degli interessi stranieri.

Questa sinistra filo-fascista sembra cieca di fronte a qualsiasi forma di imperialismo di origine non occidentale. Combina la politica dell’identità con l’egoismo. Tutto ciò che accade è letto attraverso l’ottica di ciò che significa per gli occidentali – solo i bianchi hanno il potere di fare la storia. Secondo il Pentagono attualmente ci sono circa 2000 soldati delle truppe americane in Siria. Gli Stati Uniti hanno stabilito un numero di basi militari nel nord controllato dai curdi per la prima volta nella storia della Siria. Ciò dovrebbe riguardare chiunque sostenga l’autodeterminazione siriana, eppure questo fatto impallidisce rispetto alle decine di migliaia di truppe iraniane e alle milizie sciite sostenute dall’Iran che ora occupano vaste zone del paese, o ai bombardamenti assassini compiuti dall’aviazione russa in sostegno della dittatura fascista. La Russia ha ora stabilito basi militari permanenti nel paese e ha ricevuto diritti esclusivi sul petrolio e sul gas della Siria come ricompensa per il suo sostegno. Noam Chomsky una volta sosteneva che l’intervento della Russia non poteva essere considerato imperialismo perché la Russia è stata invitata a bombardare il paese dal regime siriano. Con questa analisi, nemmeno l’intervento degli Stati Uniti in Vietnam fu un atto di imperialismo, visto che fu richiesto dal governo sud-vietnamita.

Un certo numero di organizzazioni contro la guerra hanno giustificato il loro silenzio sugli interventi russi e iraniani sostenendo che “il nemico principale è a casa”. Ciò li esonera dall’effettuare qualsiasi seria analisi del potere per determinare chi siano realmente gli attori principali alla guida della guerra. Per i siriani il principale nemico è davvero a casa – è Assad che si sta impegnando in quello che l’Onu ha definito “il crimine di sterminio”. Senza essere consapevoli delle proprie contraddizioni, molte delle stesse voci si sono opposte (giustamente) all’attuale assalto israeliano ai manifestanti pacifici di Gaza. Uno dei modi principali con cui l’imperialismo funziona è negare le voci dei nativi. In questo spirito, le principali organizzazioni pacifiste occidentali tengono conferenze sulla Siria senza invitare alcun oratore siriano.

L’altra grande tendenza politica che ha messo il proprio peso a favore del regime di Assad e si è organizzata contro gli attacchi di Stati Uniti, Regno Unito e Francia sulla Siria è l’estrema destra. Oggi il discorso dei fascisti e di questi “partigiani antimperialisti” è praticamente indistinguibile. Negli Stati Uniti, il suprematista bianco Richard Spencer, il podcaster Mike Enoch e l’attivista anti-immigrazione Ann Coulter sono tutti contrari agli attacchi statunitensi. Nel Regno Unito, l’ex leader del BNP Nick Griffin e l’islamofoba Katie Hopkins si uniscono alle proteste. Il luogo in cui convergono frequentemente l’estrema destra e l’estrema sinistra è la promozione di varie teorie cospirative per assolvere il regime dai suoi crimini. Sostengono che i massacri chimici sono operazioni di servizi segreti sotto falso nome o che i soccorritori sono di al-Qaeda e quindi obiettivi legittimi per l’attacco. Coloro che diffondono tali teorie non sono sul terreno in Siria e non sono in grado di verificare in modo indipendente le loro affermazioni. Spesso dipendono dalla propaganda statale russa o di Assad perché “non si fidano degli MSM” o dei siriani direttamente colpiti. A volte la convergenza di questi due spezzoni apparentemente opposti dello spettro politico si trasforma in vera e propria collaborazione. La coalizione di ANSWER, che sta organizzando molte delle manifestazioni contro un attacco ad Assad negli Stati Uniti, ha una tale storia. Entrambi i filoni spesso promuovono narrazioni islamofobiche e antisemite. Entrambi condividono gli stessi punti di discussione e lo stesso immaginario.

Ci sono molte valide ragioni per opporsi all’intervento militare estero in Siria, che si tratti di Stati Uniti, Russia, Iran o Turchia. Nessuno di questi stati agisce nell’interesse del popolo siriano, della democrazia o dei diritti umani. Agiscono unicamente nei loro interessi. L’intervento di Stati Uniti, Regno Unito e Francia oggi riguarda meno la protezione dei siriani dalle atrocità di massa e più l’applicare una norma internazionale secondo cui l’uso di armi chimiche sia inaccettabile, per paura che un giorno vengano usate sugli stessi occidentali. Più bombe straniere non porteranno pace e stabilità. C’è poco interesse nello spodestare Assad dal potere, cosa che contribuirebbe a porre fine alla peggiore delle atrocità. Tuttavia, opponendosi all’intervento straniero, è necessario trovare un’alternativa per proteggere i siriani dal massacro. È moralmente discutibile dire, ad esempio, che i siriani devono semplicemente starsene zitti e morire per proteggere il principio più alto dell ‘”anti-imperialismo”. Molte alternative all’intervento militare straniero sono state proposte di tanto in tanto dai siriani e sono state ignorate. E così rimane la domanda, quando le opzioni diplomatiche hanno fallito, quando un regime genocida è protetto dalla censura dai potenti sostenitori internazionali, quando non si fanno progressi nel fermare i bombardamenti quotidiani, per porre fine all’assassinio per fame o liberare prigionieri torturati su scala industriale, cosa si può fare?

Non ho più una risposta. Mi sono sempre opposta a tutti gli interventi militari stranieri in Siria, ho sostenuto il processo guidato dalla Siria per liberare il paese da un tiranno e processi internazionali radicati negli sforzi per proteggere i civili e i diritti umani e assicurare la responsabilità per tutti gli attori responsabili dei crimini di guerra. Un accordo negoziato è l’unico modo per porre fine a questa guerra – e sembra ancora più distante che mai. Assad (e i suoi sostenitori) sono determinati a contrastare qualsiasi processo di pace, a perseguire una vittoria militare totale e a schiacciare qualsiasi alternativa democratica rimanente. Centinaia di siriani vengono uccisi ogni settimana nei modi più barbari immaginabili. I gruppi estremisti e le ideologie prosperano nel caos provocato dallo stato. I civili continuano a fuggire a migliaia, mentre i processi legali, come la legge 10, vengono implementati per garantire che non torneranno mai più nelle loro case. Il sistema internazionale stesso sta collassando sotto il peso della sua stessa impotenza. Le parole “Mai più” suonano vuote. Non c’è movimento rilevante che sia solidale con le vittime. Sono invece calunniati, la loro sofferenza viene derisa o negata, e le loro voci sono assenti dalle discussioni o interrogate da persone lontane, che non sanno nulla della Siria, della rivoluzione o della guerra, e che credono con arroganza di sapere cosa sia meglio. È questa situazione disperata che induce molti siriani ad accogliere l’azione degli Stati Uniti, del Regno Unito e della Francia e che ora vedono l’intervento straniero come la loro unica speranza, nonostante i rischi che sanno che esso comporti.

Una cosa è certa: non perderò il sonno per gli attacchi mirati rivolti alle basi militari del regime e agli impianti di armi chimiche, attacchi che potrebbero fornire ai siriani una breve pausa dall’assassinio quotidiano. E non vedrò mai persone che fanno tanti bei discorsi sulle vite altrui, che sostengono regimi brutali in paesi lontani, o che vendono razzismo, teorie cospirative e negazione delle atrocità, come alleati.

Opinione di un popolo che ha deciso di rompere con il chavomadurismo

Fonte: https://www.lascomadrespurpuras.com/single-post/2018/02/26/Salud-y-Libertad

Nella ricerca di un sentiero che molte e molti hanno tracciato. In questo momento in cui ciò che riempie i cuori è un piccolo nodo legato ai messaggi del passato, dedichiamo questo editoriale alle compagne e ai compagni di lotta che pensano che alcune di noi abbiano perso la testa per aver dichiarato di essere al di fuori del chavismo “realmente esistente”, per trovarci con coloro che stanno costruendo nuovi percorsi dell’autonomia del pensiero e dell’azione, non solamente teorici.

Intendiamo l’autonomia come la capacità di un soggetto collettivo (lavoratrici, lavoratori, movimenti delle donne, movimenti di genere, studenti, artisti, piccole comunità, popoli indigeni, contadine, contadini, ecc.) di svilupparsi integralmente, organizzarsi e governarsi per conto proprio, dal basso e sotto la propria direzione politica. La pratica autonoma rappresenta la dissoluzione del politico nel sociale, cioè non separa il potere politico dalla società (come accade nelle istituzioni statali), ma costruisce questo potere dalla stessa rete di relazioni e incontri dei soggetti collettivi.

Siamo “las comadres purpuras”, (le comari viola) nasciamo come iniziativa di varie voci critiche che vogliono aggiungere colori vivaci da e nella politica femminista. Una politica che non cerca i regali del governo, poiché questo è un meccanismo che è stato usato molto bene per mettere a tacere i grandi abusi che viviamo giorno dopo giorno e per rendere obbedienti le soggettività…perché: “uno non morde la mano di quelli che lo nutrono”. Abbiamo visto con tristezza e indignazione come i pochi movimenti integrati abbiano etichettato le espressioni politiche dissenzienti come “squallide”, con un aggettivo dispregiativo tipicamente usato dal governo. Il discorso consolidato di detestare ciò che era ed è diverso, mentre in un primo momento era solo uno modo per distanziarsi dai partiti di opposizione tradizionale, è diventato sempre di più un atteggiamento autoritario e repressivo, senza possibilità di discutere sulla questione dei diritti umani, di mettere in discussione quello che si pensa, rasentando così l’assurdo di non lasciar più denunciare i soprusi, gridare e persino rischiare la pelle per cambiare le condizioni di questa struttura oppressiva che è stata costruita per schiacciarci.

Nei vari gruppi politici sono presenti diverse sfumature e anche la nostra pratica ne è un esempio. Nel nostro seno confluiscono molteplici voci, che si uniscono nell’obiettivo di creare un fronte controculturale che contrasti i tanti soprusi. Prima di definirci “chaviste” o meno, ci dichiariamo femministe, sorelle, autonome, di sinistra e libertarie. Il Chavismo è stato un movimento interessante, con un potenziale enorme, ma non è riuscito a mantenersi autonomo come movimento ed è stato inghiottito dalle istituzioni, dal più corrotto dei poteri costituiti. Di fatto, l’identità del Chavismo si è costituita sull’immagine di un personaggio che, per quanto possiamo aver stimato, non era solo un leader popolare, ma era anche un Capo di Stato, un politico “di quelli di sopra”, un Comandante in Capo. La figura di Chavez è emersa attraverso un percorso politico statalista, non è poi inutile ricordare l’ovvia considerazione che il Chavismo sia un movimento personalistico basato appunto su una sola persona (Chávez) che ha fatto contare più le sue decisioni individuali piuttosto che l’identità politica del movimento. Ecco perché è così difficile per il Chavismo distaccarsi da un governo mafioso e autoritario come quello di Nicolás Maduro, perché più di quello che contraddice i nostri principi politici, si tratta comunque dell’eredità di Chavez. Questo problema da sempre presente nella tradizione del Chavismo lo rende oggi un ostacolo allo sviluppo di un movimento popolare autonomo. Anche per fare soltanto una manifestazione bisogna aspettare che il PSUV dica quando e dove: in questo senso, non condividiamo e concordiamo con una pratica politica che blocca, invisibilizza, silenzia e alla fine sostituisce i movimenti sociali.

Il Chavismo considerò sempre se stesso come un movimento politico espressione di solidarietà con gli ultimi e di contestazione del potere, ma gradualmente fu assorbito e digerito dal potere nell’ottica di una restaurazione e una ristrutturazione dei poteri statali ed economici. Per quanto audace e innovatore si auto-rappresenti il Chavismo, è difficile separare questa sua caratteristica dalla successiva istituzionalizzazione, dall’attaccamento affettivo e dalla lealtà pretesa verso la figura del Presidente, ovvero dove l’autonomia del movimento si è spenta e l’efficacia è diventata nulla. Le vertenze di lotta invecchiano nei tentativi stantii di incontri con qualche vice ministro o nell’attesa di urgenti telefonate in arrivo dall’ “alto governo”, continuando a insistere nell’inutile speranza dell’esplosione di “contraddizioni interne” al potere, in cambi di rotta che ormai non fanno presa più su nessuno. Così hanno finito col creare una bella espressione politica: “la comare è diventata banale”.

Molte di noi sono cresciute nelle azioni di ribellione di strada portate avanti dai movimenti popolari di quel tempo, non c’era nessun “paco” da attaccare senza pensarci due volte.

Ora ci voltiamo indietro e scopriamo che sia la sfera governativa che il Chavismo difendono e giustificano la violenza di stato e il rafforzamento repressivo delle forze di sicurezza. Questo movimento è stato un osservatore passivo e amichevole della costituzione dei peggiori nuclei di Comandos de Operaciones Especiales a partire dall’anno 2013 in poi. Oltre ad aver approvato una legge antiterroristica (2012) e la nuova legge contro l’odio (2017), attraverso cui imprigionare coloro che denunciano semplicemente l’enorme crisi che viviamo. Senza dubitare per un momento, ben sapendo che con queste procedure qualsiasi espressione di malcontento popolare sarebbe stata contrastata e resa minima. C’è stato un silenzio assoluto, pur essendo noto il numero di persone innocenti assassinate brutalmente dallo Stato in ogni Operazione di Liberazione del Popolo (OLP) o che ora affrontano la terribile repressione delle marce dei lavoratori. Hanno finito per dimostrare ciò che il Chavismo respinse così tanto agli inizi: è diventato un apparato repressivo nemico della protesta popolare.

Nessuno vuole abbandonare la “nave del socialismo del XXI secolo”, però va bene, noi li aspettiamo su un’isola, sicuramente non si comincia da zero, anche se fa male. Però preferiamo che faccia male piuttosto che silenziare tanto autoritarismo, portatore di quelle misure conservatrici e puritane che regolano nella maniera più sinistra la condizione di quelle e di quelli che abitano questo territorio chiamato Venezuela.

Il movimento popolare radicato nell’identità chavista continua a difendersi nei piccoli ma utopici spazi dove ha potuto mantenere una sua autonomia. Casi come quello della “Comuna el Maizal” diventano rappresentativi di una tensione che non sopporta più. Crediamo di dover ricostruire le nostre identità più profonde per poter uscire con una strategia coerente con noi stessx, al fine di superare la tensione che sta per esplodere.

Dalla più ampia diversità di identità nella storia del movimento popolare, ma anche dalla più forte autonomia, che non è negoziabile, come femministe non sponsorizziamo la guerra creata da uomini che giocano al potere e in linea con il loro gioco fanno sì che ci uccidiamo a vicenda. È così che funzionano gli Stati, non partecipiamo al rafforzamento delle strutture che controllano le nostre vite, siamo qui per accompagnare, sostenere e costruire cellule di lavoro politico autonomo. Il nostro seme è dato per questo lavoro e molte di noi continueranno a dare la vita. Se non possiamo vivere di un’utopia che non sia servile, allora meglio morire.

Continueremo per le strade abbattendo le soggettività imperanti
Continueremo a urlare
Non avranno così tante prigioni da riempire con chi le odia

Sull’esperienza dei consigli locali nella rivoluzione siriana

Omar Aziz
“Non valiamo meno dei lavoratori della comune di Parigi … loro hanno retto 70 giorni mentre noi, noi resistiamo da un anno e mezzo”. 
È con queste parole che l’intellettuale organico Omar Aziz ha descritto la rivoluzione siriana. Il 17 febbraio 2013 è morto martire nella prigione centrale di Adra. 
In questo testo, passeremo in rassegna le caratteristiche essenziali dei consigli locali in cui Aziz ha giocato un ruolo influente nella redazione dei testi costitutivi[1]. Verranno indicate le carenze di queste forme di organizzazione, almeno per ciò che concerne la loro applicazione concreta. 
Con l’intensificazione della repressione del regime siriano contro l’esplosione rivoluzionaria in Siria, nella sua fase pacifica, che ha coinciso con la diserzione di molti soldati e l’inizio delle schermaglie tra l’esercito siriano e quello che successivamente sarà conosciuto col nome di “esercito siriano libero”, nacque la necessità di istituire delle forme organizzative che si occupassero della vita delle persone, a partire dal momento in cui il regime non svolgeva nessuno dei suoi compiti basilari, – se n’era già liberato con l’inizio delle “riforme” neoliberali. 
E se i comitati di coordinamento locali erano stati istituiti come forme organizzative per la preparazione, l’appello e la documentazione delle manifestazioni, l’idea dei consigli locali fu concepita come alternativa al regime e alle sue istituzioni. Gli obbiettivi della creazione di questi consigli, secondo Omar Aziz, sono quelli “d’aiutare le persone a gestire la loro vita in maniera indipendente dalle istituzioni dello Stato …, di creare uno spazio di espressione collettivo per stimolare la solidarietà degli individui e farli accedere tramite le attività quotidiane all’azione politica, … fornire sostegno e aiuto agli sfollati e alle famiglie dei prigionieri, …  offrire uno spazio di discussione per deliberare su delle questioni vitali, costruire dei legami orizzontali tra i consigli locali …, difendere il territorio della regione dalle requisizioni dello Stato a favore dei ricchi o degli ufficiali militari e di sicurezza dello Stato …” oltre a documentare le violazioni commesse dal regime e le sue milizie (solo), così come il compito di soccorrere e di coordinarsi con i comitati medici e il sostegno e la coordinazione delle attività educative. 
Ma, a causa “dell’assenza di pratiche elettorali nelle attuali circostanze”, dice ancora Omar Aziz, “i consigli locali sono composti da operatori sociali e persone che godono del pubblico rispetto per le loro competenze (diverse).  La domanda che si pone allora è: “come si può valutare il pubblico rispetto” e quando finiranno “le circostanze attuali”? Malgrado la permanenza delle “circostanze attuali”, delle elezioni sono state organizzate per dei consigli locali a livello municipale, poi è stata formata l’assemblea generale dei consigli locali che comprende i rappresentanti dei consigli locali a livello del governatorato, che culmina con la formazione del consiglio del governatorato, quest’ultimo elegge un ufficio esecutivo e un presidente. Tutti questi consigli sono attaccati al ministero dell’amministrazione locale, dei soccorsi e degli affari dei rifugiati del governo provvisorio[2].  
In pratica, l’attività di questi consigli è rimasta limitata agli affari municipali, vari tipi di servizi, accompagnate (o in competizione?) nello stesso compito da una costellazione di organizzazioni non governative, mentre le fazioni armate rimanevano fuori dal controllo dei consigli locali. Allo stesso tempo il Consiglio nazionale siriano, il Governo ad interim siriano e la Coalizione Nazionale delle forze della rivoluzione e dell’opposizione siriana monopolizzavano il “discorso politico che conta” monopolizzavano “il discorso politico grande”.
È così che il pensiero politico che stava alla base dell’istituzione di questi consigli è stato svuotato di significato. Di fronte al dominio delle armi e del denaro dato a determinate condizioni, il margine di manovra dei consigli è rimasto molto ridotto. È così che è venuta meno la possibilità di costruire un governo alternativo e democratico dal basso che poteva guidare la rivoluzione e parlare a suo nome. Anche se questi consigli erano eletti, la democrazia non si limita alle urne o ai pochi minuti durante i quali si esercita il diritto di voto. Democrazia significa anche la partecipazione della donna a candidarsi e votare[3], una consapevolezza delle problematiche del razzismo e del confessionalismo, la partecipazione di tutte le persone all’autogestione di tutti loro diversi affari, non solo in termini di diritto d’accesso all’alimentazione, la sanità e l’insegnamento, lontano dal controllo dei signori della guerra di tutte le parti. La democrazia implica ugualmente d’operare concretamente per le speranze di migliaia di siriani e siriane che hanno manifestato, sono statx  arrestatx, sono mortx come martiri o sono statx  sfollatx, per la libertà, la dignità e la democrazia. 
I rivoluzionari siriani non sono responsabili di ciò che è accaduto alla rivoluzione. Omar Aziz non si è arrestato da solo, non si è suicidato nel carcere. Fin dall’inizio, han dovuto affrontare un avversario votato alla crudeltà, all’assassinio e allo sfruttamento. Un avversario che non era solo, ma era aiutato da una vasta gamma di paesi dominanti a livello internazionale e regionale, nonché da milizie siriane e non siriane. Allo stesso tempo i rivoluzionari siriani sono stati preda degli stati del Golfo e della Turchia, fino all’intervento “dall’esterno” a favore del regime in carica, direttamente o indirettamente. 
Ci ha insegnato molto l’esperienza incompleta dei consigli locali, con i suoi aspetti positivi e negativi, poiché le lotte dei popoli, o dell’umanità, come le chiama il martire e compagno Omar Aziz, sono legate e interdipendenti. I popoli creano le forme di resistenza e di scontro. Noi dobbiamo lottare a differenti livelli e su diversi fronti e trarre insegnamento dalle esperienze passate e presenti. Non solo dal decesso dei morti che sono molti, ma per la vita. 
Walid Doudou 6 marzo 2017  
 
[1] Il 17 febbraio del 2013 Samy al-Kial ha pubblicato sulla sua pagina di Facebook i fogli di base del pensiero dei consigli locali in Siria scritti dal martire Omar Aziz alla fine del 2011. 
[2] La Coalizione Nazionale siriana delle forze della rivoluzione e dell’opposizione siriana ha pubblicato nel mese di marzo 2014 la piattaforma interna dell’organizzazione dei consigli locali nei governatorati siriani, che è possibile consultare sul sito interno della Coalizione. D’altra parte, il sito elettronico del movimento siriano pacifico ha pubblicato una carta interattiva delle diverse forme del movimento pacifico in Siria, in particolare la distribuzione dei consigli locali. Si tratta di una carta che anderebbe aggiornata a causa degli avvenimenti che hanno riguardato le zone riconquistate dal regime (Daraya e Aleppo) o controllate da Daesh (Raqqa). 
[3] Raza Ghazzawi, “Les femmes et la révolution syrienne”, traduzione dall’arabo di Walid Daou, Al-Manshour, http://al-manshour.org/node/5101

Sessismo e specismo: quale connessione?

Tratto da http://vine.bravebirds.org

Il farmaco Premarin è fatto con l’urina di cavalle in gravidanza. Le fattrici vengono crudelmente
confinate e sottoposte a procedure invasive durante la gravidanza solo per vedersi sottrarre i puledri subito dopo la nascita. Questa perversione dei cicli riproduttivi delle cavalle produce un
farmaco dannoso che viene commercializzato alle donne per convincerle che i loro naturali cicli
riproduttivi sono segni di malattia. Commercializzato come una cura per la menopausa, Premarin fa male sia alle cavalle che alle donne per fornire profitti ad una società farmaceutica.
Questa intersezione tra l’oppressione delle donne e l’oppressione degli animali non è unica. Le donne e gli animali, insieme alla terra e ai bambini, sono stati storicamente considerati proprietà dei capi delle famiglie. Il patriarcato (il controllo maschile della vita politica e familiare) e il pastoralismo (il modo di vivere degli animali) sono comparsi sul palcoscenico storico insieme e non possono essere separati, perché sono giustificati e perpetuati dalle stesse ideologie e pratiche.
Sia le donne che gli animali sono stati storicamente considerati meno intelligenti e più vicini alla natura degli uomini. Tattiche come l’oggettivazione, il mettere in ridicolo e il controllo della riproduzione sono state e continuano ad essere utilizzate per controllare e sfruttare sia le donne che gli animali. Ecco alcuni dei sintomi attuali dell’intersezione malata tra lo specismo e il sessismo:

Latte
Il latte può essere definito come lo sfruttamento delle capacità riproduttive della mucca per
produrre profitti per l’industria lattiero-casearia. Le mucche sono forzatamente e ripetutamente
ingravidate in modo che i loro corpi producano il latte destinato a sostenere i vitelli. La gente poi ruba sia il latte che i vitelli. Le mucche soffrono di disturbi fisici dolorosi, come la mastite, nonché
dell’angoscia di vedersi strappare i propri figli e la propria libertà. Nel contempo il latte e i suoi
prodotti sono responsabili di una malsana accelerazione nella comparsa delle mestruazioni nelle
ragazze e sono anche correlati con il cancro al seno nelle donne.
Così le ghiandole mammarie delle mucche vengono sfruttate per produrre un prodotto che danneggia le ghiandole mammarie delle donne.

Stupro
Una donna su tre è aggredita sessualmente nella sua vita — una su quattro prima dei 18 anni. Gli
esperti concordano sul fatto che lo stupro riguarda il potere, non il sesso. Lo stupro mette in atto l’idea che le donne e i bambini sono oggetti che possono essere usati per piacere senza riguardo per i loro desideri o esperienze soggettive. Lo stesso atteggiamento è alla base di una serie di pratiche abusive nei confronti degli animali, che vanno dai circhi all’allevamento industriale. Anche gli animali vengono violentati, a volte per il piacere del maschio umano stupratore ma più spesso per controllare la loro riproduzione in modo che le imprese possano avere il piacere del profitto.

Combattimenti tra galli
Gli stereotipi sessuali e di genere danneggiano sia gli animali umani che non umani. Nel
combattimento tra galli, il comportamento naturale dei galli (che combatteranno fino alla morte per
proteggere il gregge dai predatori) viene pervertito in modo tale da costringerli a recitare le idee umane sulla mascolinità. Gli uccelli sono traumatizzati e sistematicamente messi in pericolo in modo che i loro padroni possano sentirsi dei grandi uomini. Muoiono in maschere stilizzate di mascolinità che non hanno nulla a che fare con il comportamento naturale degli uccelli ma solo con tutto ciò che è utile a rafforzare le idee umane sul genere. Nel frattempo anche i ragazzi umani vengono traumatizzati perconformarsi alle idee comuni della mascolinità. Coloro che non lo fanno potrebbero subire abusi verbali o fisici di natura omofobica fino ad arrivare anche alla morte.

La Violenza Domestica
La violenza domestica è un modo in cui gli uomini mantengono il controllo delle donne, dei bambini e degli animali nelle loro famiglie. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha identificato la violenza domestica contro le donne come un’emergenza sanitaria globale di prim’ordine. Qui negli Stati Uniti, la violenza da parte del partner è la ragione principale per cui le donne arrivano al pronto soccorso e almeno due donne incinte su dieci vengono picchiate dai loro partner maschi. Molto spesso, la violenza domestica comprende l’abuso di animali da compagnia come un modo per spaventare, traumatizzare, o controllare le donne. Molte donne rimangono in famiglie pericolose perché i ricoveri per le donne maltrattate non accettano gli animali e temono ciò che accadrà ai loro compagni animali se li lasciano soli con l’aggressore. Nessuno sa quanti animali da compagnia sono stati uccisi da abusanti domestici o quante donne sono morte perché sono rimaste per proteggere un animale da compagnia.

Uova
Qualcuno di noi può immaginare la vita di galline allevate in batteria — uccelli! — ammassati nelle
gabbie senza abbastanza spazio per allargare le loro ali o sdraiarsi comodamente… incapaci di
nidificare o di trascorrere del tempo con i galli o deporre le loro uova in privato… con le punte dei loro becchi bruciate in modo che non si becchino a morte per frustrazione e sofferenza? E perché? Perché le aziende possano trarre profitto dai frutti dei loro sistemi riproduttivi: le loro preziose uova. Il controllo della riproduzione è uno dei fondamenti dello specismo e del sessismo. In effetti, proprio come le galline sono oppresse in particolare per poter sfruttare i loro organi riproduttivi, sono in molti a credere che il punto d’origine del patriarcato sia stato il controllo dei sistemi riproduttivi delle donne.

Turismo Sessuale
A nessuno piace parlarne, ma è vero. Ora, in molti paesi poveri, e anche qui negli Stati Uniti, le donne e i bambini sono letteralmente ridott* in schiavitù dall’industria del sesso. I clienti – gli uomini che impongono consapevolmente sesso a ragazze, ragazzi e donne che non sono liberi di rifiutarsi- uomini che a volte viaggiano in altre città o paesi stranieri solo per poterlo fare così – sono quasi esclusivamente provenienti dagli Stati Uniti e da altri paesi ricchi. Rinchius* e violentat* ogni giorno, queste donne e questi bambini subiscono traumi fisici ed emotivi indicibili. Come le galline nelle fabbriche di uova, molt* vengono uccis* quando i loro corpi sono diventati così esausti a causa degli abusi che non è più redditizio sostenerli.

Uno dei principi fondamentali del movimento di liberazione animale è che non c’è differenza morale tra umani e animali non umani. Se qualcosa non dovrebbe essere fatto agli umani, non dovrebbe essere fatto agli animali. E viceversa. Se prendiamo seriamente la liberazione animale, allora dobbiamo lavorare per la liberazione di tutti gli animali, umani e non umani. Se prendiamo seriamente il femminismo, allora dobbiamo evitare lo specismo proprio come evitiamo il sessismo.

Intersezioni e animali

[Antifascismo, antirazzismo, antisessismo, antispecismo, sono da molt* declinate come singole istanze, non convergenti; ma le lotte di liberazione necessitano di intersezionalità, questo il senso del video e dell’articolo di Pattrice Jones.
In particolare da un lato l’antispecismo italiano, declinandosi spesso in singole lotte animaliste, rischia l’isolamento politico se non sarà in grado di abbracciare l’intersezionalità che lo lega alle lotte di liberazione animale, umane e non; dall’altra parte le lotte di movimento hanno bisogno di comprendere la necessità di processi di liberazione animale che ribaltino l’intero sistema di dominio su corpi e spazi]

di Pattrice Jones

Gli animali vivono, soffrono e muoiono in circostanze plasmate dalle attività umane. Quelle attività umane sono sempre impigliate nei processi sociali, storici, economici e culturali che sono basati non solo sullo specismo ma anche su fattori come il razzismo e il sessismo.

La studiosa giuridica Kimberlé Crenshaw ha coniato il termine “intersezioni” come modo di comprendere e parlare delle complesse e complicate interazioni tra diverse forme di oppressione. Allo stesso modo in cui i matematici hanno bisogno della trigonometria e gli ingegneri hanno bisogno di un calcolo, gli attivisti hanno bisogno di intersezioni come strumento concettuale. Senza questo strumento, è impossibile valutare con precisione il problema da risolvere ed è difficile progettare strategie efficaci.

Le interazioni tra la razza, il sesso e l’oppressione di classe sono stati l’obiettivo primario delle indagini intersezionali. Da allora abbiamo capito come questi interagiscono con altri fattori, come la disabilità o la nazionalità. Più di recente, siamo arrivati lentamente a vedere come questi pregiudizi, intersecandosi, permettono e contemporaneamente sono aggravati dall’inquinamento umano e dallo sfruttamento dell’ambiente. E adesso affrontiamo il compito urgente di includere animali non umani nelle nostre analisi intersezionali.

Gli attivisti della giustizia sociale e ambientale devono comprendere come lo specismo sia fondamentale all’oppressione intra-specie, stabilendo i termini e contribuendo a mantenere i molti modi in cui le persone sfruttano l’un l’altro e la terra. Allo stesso tempo, gli animalisti devono capire che ogni atto di abuso o di ingiustizia contro gli animali avviene in situazioni sociali e materiali che non possono essere affrontate in modo adeguato senza una comprensione dell’intersezione.

Ampliata per includere lo specismo e lo sfruttamento degli animali tra le ideologie e le pratiche oppressive che indaga, l’intersezione offre agli attivisti della giustizia sia animale che sociale/ambientale una comprensione più profonda e più completa dei sistemi in cui i problemi su cui lavorano (e loro stessi) sono invischiati e, pertanto, aumenta la probabilità di concepire e attuare strategie veramente efficaci. In più, questa comprensione estesa apre percorsi di cooperazione e di collaborazione nei vari movimenti.

Intuizioni essenziali

Crenshaw ha scelto la parola “intersezione” adeguatamente. Quando sei al centro dell’incrocio di Main Street e First Avenue, non è possibile dire su quale di queste due strade tu stia: sei su entrambe contemporaneamente. Pensando alla discriminazione nei confronti delle donne di colore, Crenshaw notò che spesso non era possibile dire se la discriminazione fosse dovuta alla polarizzazione razziale o alla polarizzazione di genere – era dovuta a entrambe allo stesso tempo, secondo legami non prevedibili per semplice “miscela”.

Le interazioni tra razzismo e sessismo risultano essere moltiplicative anziché additive. Le funzioni di queste interazioni non possono essere disaggregate. Gli stereotipi razziali sono di genere. La violenza contro le donne è permessa dal razzismo.

Il sessismo, il razzismo e altre forme di pregiudizio tra le persone non solo condividono cause e caratteristiche, ma interagiscono anche in modo reciproco-rinforzante. Ciò può essere facilmente notato nella convinzione di Suzanne Pharr che l’omofobia sia “un’arma del sessismo”. Mentre certamente è vero che alcuni pregiudizi contro le persone LGBTQ si riducono ai pregiudizi radicati nell’ignoranza, la funzione strutturale dell’omofobia (e anche della transfobia) serve per mantenere il sistema di oppressione di genere che vede l’uomo sulla cima. Non devi essere gay per essere oggetto di un’aggressione a sfondo omofobo. Non è necessario essere identificatx come trans per essere soggetto alla transfobia. Tutto quello che devi fare per essere vulnerabile a queste forme di pregiudizio è trasgredire i ruoli di genere. Ciò significa che la liberazione LGBTQ è un progetto necessario del femminismo e che la liberazione LGBTQ non può essere realmente realizzata finché non abbiamo risolto il sessismo.

Le studiose di Ecofemminismo come Lori Gruen e Marti Kheel hanno dimostrato che una “logica di dominazione” si fonda su un pensiero eurocentrico riguardo non solo la razza e il sesso ma anche la terra e gli animali. Questa logica artificialmente (e falsamente!) divide il mondo in opposti dualismi – il maschio contro la femmina, l’uomo e l’animale, la cultura contro la natura, la ragione contro l’emozione, ecc. – secondo la superiorità di un solo termine di ciascuna coppia. I termini su ciascun lato del divario gerarchico sono legati: gli uomini sono considerati più razionali, le donne e le persone di colore si vedono più vicine alla natura, categorie di persone vengono poste in basso chiamandole con nomi di animali.

Se si desidera smantellare una struttura, la cosa da fare è colpire alle articolazioni. Quindi, gli attivisti che vogliono avere il maggior impatto devono cercare i modi per lavorare alle intersezioni, facendo così si avranno progressi tangibili su un problema specifico, aiutando contemporaneamente a minare la struttura del sistema intersecante di oppressioni.

Se non è possibile trovare un tale incrocio a cui lavorare, è ancora necessario tenere in considerazione l’intersezione mentre si selezionano tattiche e teoria, in modo da evitare di minare senza volerlo i propri obiettivi partecipando involontariamente alla subordinazione di qualcun altro.

Preparazione al lavoro intersezionale

Ogni nuovo strumento richiede una certa pratica da utilizzare. Ciò è particolarmente vero per l’intersezionalità, che richiede di vedere modelli, riconoscere relazioni e analizzare interazioni complesse tra più variabili. Quellx di noi che sono stati scolarizzati negli Stati Uniti o in Europa sono stati addestrati a pensare esattamente nella direzione opposta e quindi potrebbero aver bisogno di fare uno sforzo per imparare a pensare in termini di comunanza piuttosto che di distinzioni, di contesto piuttosto che di astrazione e di sistemi piuttosto che di individui.

Ecco alcuni semplici esercizi che potete fare:

  • Pensa a due forme di oppressione, come il sessismo e lo specismo, e sfidati a trovare dei modi in cui si intersecano.

  • Pensa a un problema, come prigioni o zoo, e sfidati a identificare quante diverse forme di oppressione si intersecano in esso.

  • Pensa a una tattica di oppressione, come ad esempio la stereotipizzazione o il lavoro forzato, e sfida te stesso per individuare i modi in cui questa viene impiegata in diverse forme di oppressione.

  • Pensa a un obiettivo di oppressione, come il profitto o il controllo della riproduzione, e sfidati a vedere come questo sia ricercato tramite forme di oppressione diverse.

  • Pensa ad un impatto di una forma di oppressione, come la sofferenza emotiva necessaria per la carne, e sfidati a identificare il modo in cui sostiene altre forme di oppressione.

Si prega di notare che potrebbe essere necessario educare se stessi durante questi esercizi. Non puoi aspettarti di vedere i legami tra specismo e razzismo, per esempio, se non sai niente di razzismo! Proprio come hai appreso dello specismo e delle molte forme di sfruttamento animale che ha generato, potrebbe essere necessario educarsi attivamente su altre forme di oppressione. Ecco un suggerimento: puoi farlo leggendo o guardando i documentari sui movimenti contro quelle forme di oppressione. In questo modo, avrai sempre un’utile istruzione in tattiche attiviste!

Risultati preliminari

Gli/le attivistx hanno appena iniziato a disegnare le intersezioni tra specismo e altre forme di oppressione. Già, i nostri risultati sono eccitanti e potenzialmente molto utili. Ecco alcuni esempi di ciò che impariamo quando usiamo gli esercizi sopra per pensare alle relazioni tra lo sfruttamento degli animali e l’ingiustizia sociale/ambientale:

  • Le “grandi tre” scuse per lo sfruttamento animale – potrebbe essere giusto, abbiamo abilità che loro non hanno e Dio ha deciso così- sono anche tutte usate per spiegare (o non disturbare) l’ingiustizia sociale. Questi modi di pensare conducono alla guerra, alla discriminazione e ad altri mali.

  • Il sessismo e lo specismo sono stati così intrecciati per così tanto tempo -fin dai tempi in cui le figlie e le vacche da latte erano entrambe proprietà dei capi maschi delle famiglie – che non possono essere completamente compresi senza riferirsi all’altro.

  • Quello che è stato chiamato “riprocentrismo” (reprocentrism) non è solo fondamentale per lo sfruttamento animale, ma anche centrale per il patriarcato e il capitalismo. La riproduzione costante (di persone, animali e prodotti) ci ha portati all’orlo del disastro planetario.

  • La strategia psicologica attraverso la quale le persone si sono alzate e uscite dagli ecosistemi per trasformare la terra e gli animali in beni pronti per essere acquistati e venduti non solo sottolinea lo specismo e la distruzione ambientale, ma tende anche a portare all’individualismo e all’alienazione, fattori chiave del capitalismo e altri disturbi.

  • Lo specismo sembra così naturale che il privilegio delle specie è ancora più invisibile del privilegio bianco o del privilegio maschile. L’invisibilità del privilegio, quindi, è una questione di preoccupazione congiunta per diversi movimenti.

  • I lavoratori della macellazione, i vivisettori e persino i mangiatori di tutti i giorni tendono ad essere pronti a dire che “semplicemente non pensano” alle sofferenze che causano. Questa abitudine mentale di non-pensare-alla-sofferenza agevola anche l’ingiustizia sociale, come quando i consumatori statunitensi semplicemente non pensano alle sofferenze di lavoratori sottopagati o persino schiavi.

Ecco alcuni modi in cui forme particolari di sfruttamento animale si intersecano con l’ingiustizia sociale ed ambientale:

  • La produzione di latte richiede la fecondazione forzata delle mucche da cui i vitelli vengono presi poco dopo la nascita. Questa violazione fisica ed emotiva delle femmine di animale a scopo di lucro crea prodotti che il settore lattiero-caseario potente e altamente sovvenzionato porta in ogni scuola pubblica, nonostante il fatto che la maggioranza dei bambini di colore sia intollerante al lattosio.

  • Gli zoo cominciarono come espressioni dell’impero in cui venivano esposte sia persone che animali. Gli zoo continuano a esprimere l’ultimo hubris umano insistendo sul fatto che possiamo produrre ecosistemi – una savana africana a Filadelfia! Un oceano artico in Florida! – e “salvare” gli animali in pericolo non restituendo loro gli habitat, ma controllando la loro riproduzione.

  • Circhi e altri usi degli animali nell’intrattenimento sono anche l’espressione del controllo umano della natura. Molti di questi, come ad esempio il combattimento tra galli e i rodeo, rappresentano anche l’espressione della mascolinità costruita socialmente.

  • Lo sfruttamento pratico degli animali tende a promuovere non solo la resistenza emotiva ma anche il disprezzo per la debolezza. Quindi vediamo elevati tassi di violenza nei confronti dei partner e dei bambini nelle comunità in cui si trovano aziende agricole e macelli. L’ingiustizia ambientale porta queste installazioni altamente inquinanti ad essere situate nelle regioni a basso reddito e nelle comunità di colore.

fonte http://blog.bravebirds.org/archives/1553

“Cómplice de Fuego”, un altro anarchico arrestato durante le proteste a Maracaibo

[In Venezuela il regime chavista di Nicolàs Maduro sta inasprendo sempre di più la repressione contro la rivolta popolare che si è diffusa in tutto il paese per via della grave crisi economica e sociale: il 30 luglio, giorno prima dell’elezione dell’Assemblea Costituente (organismo votato solo da una minoranza di elettori chavisti e boicottata dalle opposizioni maggioritarie nel Parlamento ostile al governo), ben 16 venezuelani sono stati uccisi dalle forze governative, di polizia o para-militari. I commentatori di sinistra e di movimento sono quasi tutti schierati con il governo per una sua presunta posizione anti-imperialista e le cronache che scorriamo sulle bacheche social dei compagni ci parlano di un esperimento socialista, sia pur contraddittorio, che viene osteggiato dalla destra foraggiata dal grande capitale americano: i rivoltosi, bene che vada, vengono dipinti come utili idioti al servizio dell’imperialismo. Questo accade anche perché non si conoscono le storie e le voci di chi è in prima persona impegnato nelle rivolte: per tentare di rompere il silenzio e farla finita con le calunnie che dipingono vigliaccamente generosi e coraggiosi rivoluzionari come agenti del fascismo, abbiamo pensato di tradurre alcuni materiali provenienti dal movimento anarchico venezuelano, cominciando con questa intervista a uno dei tanti protagonisti della rivolta contro il regime di Maduro]
di Rodolfo Montes de Oca 
Il giorno 11 luglio è stato arrestato nella città di Maracaibo, nello stato di Zulia, un compagno anarchico che ha partecipato alla difesa della comunità dagli attacchi da parte della Polizia Nazionale Bolivariana (PNB) e di funzionari governativi. Per preservare la sua integrità fisica utilizzeremo il nome “Complice de fuego”. Abbiamo parlato con lui dopo che aveva lasciato il luogo di detenzione: attualmente sta bene e partecipa attivamente alla ribellione popolare.
Per iniziare questa conversazione, cosa ti ha spinto a partecipare alle proteste?
 
Per molti anni ho partecipato a vari tipi di proteste. Il fatto di difendere le mie idee insieme ad altri è stato per me l’obiettivo principale nella costruzione di una mia scelta di campo nella società. Ho scelto per la mia vita l’ideologia anarchica, che si traduce in un sistema di valori in cui si incarnano i principi che guidano i vari aspetti della partecipazione sociale. La coerenza tra parola e azione è l’elemento centrale per la pratica costante delle nostre idee. Assimilare principi comporta anche una serie di impegni, che sono legati alle nostre azioni quotidiane e si concretizzano in forma di scelte e di decisioni: sulla base di questo, la lotta viene interiorizzata ed è praticabile nel campo sociale. Sedersi pigramente con le braccia conserte in momenti di tensione sociale non è in armonia con l’ideale libertario. Le contestazioni, anche se la maggior parte restano inficiate dal carattere rappresentativo della democrazia (è questa una discussione fatta agli albori dell’anarchismo), sono composte da soggetti sociali in cui si ravvisa un forte scollamento dalla politica partitica. Le persone adottano nuove forme di organizzazione sociale in cui emergono elementi che fanno parte del quadro teorico dell’anarchismo, come la solidarietà, il rispetto e il sostegno reciproco. Come nemici dell’autorità, del potere e dello stato, credo che il nostro dovere di libertari sia quello di accompagnare le persone in questa impresa senza precedenti e contribuire, dal nostro punto di vista, con strumenti che aiutino a rafforzare la lotta contro la tirannia.
Hai visto delle correlazioni tra le forme di protesta e il pensiero libertario?
Assolutamente sì. Di fatto, questa sintonia contribuisce a rafforzare un principio fondamentale del movimento anarchico: “Se i principi sono praticati, non importa che non si chiami anarchia”. Ora,  facendo un’analisi, l’organizzazione delle proteste è legata a criteri di azione collettiva. Le persone si incontrano e agiscono intorno a obiettivi comuni, si pongono degli obiettivi e programmi di azione. Tutto al di fuori della retorica partitista che, come è noto, cerca di incanalare il potere dell’azione collettiva in una strategia di ascesa politica delle leadership. La crisi strutturale in cui è immerso il paese ha creato le condizioni per un’organizzazione autonoma e coerente con le esigenze dei diversi settori della società. La rappresentanza politica viene superata, il divario tra le sue proposte riformiste e le petizioni che vengono dal basso è dannoso per le rivendicazioni di un movimento che è attraversato da un sentimento comune: la caduta del governo dittatoriale di Nicolas Maduro. Le comunità organizzano le loro azioni, creano reti di affinità, di comunicazione e di difesa. Si organizzano in modo orizzontale e gestiscono le proprie risorse nell’interesse dei bisogni immediati della comunità in questione. L’utopia è reale.
Quando sei stato arrestato? Puoi raccontarci un po’ che cosa è successo?
Sono stato arrestato l’11 luglio di quest’anno (2017) alle quattro di pomeriggio. L’arresto è avvenuto nella zona in cui vivo, per la precisione in via Falcon, un luogo molto usato per le proteste. C’è stata una chiamata generale alle cosiddette “trancazos”, la chiamata è venuta attraverso i social network. Erano le 11:00 quando ero con un altro compagno (anche lui libertario, avremo la possibilità di leggere anche il suo resoconto degli avvenimenti) nel pieno delle proteste. La cooperazione avviene in maniera naturale, si alzano le barricate e si preparano gli strumenti della resistenza. Il tutto senza imposizioni, ciascuno secondo le proprie volontà e capacità. Con il passare delle ore, la strada si è riempita di gente, la folla era diventata impressionante. Mi ricordo di aver fatto una battuta sul fatto che “non ci sono tanti poliziotti per così tante persone”. Dopo mezzogiorno la gente della comunità aveva l’abitudine di fare un “pranzo solidale” dove il cibo veniva preparato per chiunque volesse mangiare. Le persone offrono acqua, cibo e si aprono per i manifestanti perfino le porte delle case. L’emozione non dura però a lungo, si posiziona a un centinaio di metri da noi una squadra della polizia Bolivariana dello Stato di Zulia (CPBEZ): un acronimo che mette i brividi per via della nota storia di abusi che caratterizza questo corpo poliziesco. Subito iniziano le provocazioni, i poliziotti ci insultano e ci sfidano. Fanno di tutto per far cessare l’equilibrio e la calma e quindi giustificare la repressione. Va notato che tra i gruppi anti-sommossa alcuni funzionari mentre ci riprendevano con il cellulare ci insultavano e minacciavano. Hanno cominciato a sparare i gas lacrimogeni, la polizia voleva disperderci, lanciando bombe incendiarie e proiettili di gomma, gas lacrimogeni al pepe, uno più forte dell’altro, ma sempre affrontati dalle persone con la volontà e il desiderio di resistere insieme. La protesta ha raggiunto il suo picco, la polizia antisommossa ha 
cominciato a muoversi verso di noi, sparando e gettando le cose. Mentre ci stavamo ritirando, da una via sono spuntate quattro moto con i funzionari di polizia che si erano nascosti. Ho visto la moto venire verso di me, e lo sguardo del poliziotto: ero il suo obiettivo. Cerco di schivare la moto, ma sono molto veloci; sono avanzati a tutta velocità e hanno attraversato la mia strada, scontrandosi con il mio piede destro, l’impatto mi ha causato delle lesioni. Sono rimasto sull’asfalto in posizione fetale, coprendomi la faccia, perché sapevo cosa stava per succedere. Due poliziotti mi hanno preso a calci nelle costole e nello stomaco, urlandomi “Sali sulla maledetta moto!”. Mi hanno preso di peso e mi hanno caricato sulla moto quando ero praticamente svenuto (sentivo delle grida lontane: “Non dargliene così tante, prendilo e vai via!”). Il poliziotto mi ha messo sulla moto, mentre guidava mi dava delle gomitate nello stomaco colpendomi ripetutamente (se Maduro dovesse leggere questa intervista, di sicuro gli darebbe una medaglia per l’abilità nel torturare). Quasi svenuto, mi hanno portato in un capannone vicino alla scena della protesta. Ero molto debole e non riuscivo a scendere dalla moto, quindi, mi hanno messo giù a suon di botte … Sono caduto a terra. Mi sono svegliato e ho cercato di aggiustare i miei occhiali. Pessima idea, la polizia me li ha strappati e mi ha fracassato la faccia (tutto sempre accompagnato da insulti). Ho urlato che avevo bisogno degli occhiali per vedere, che non potevo farne a meno. Le mie richieste non hanno avuto alcun risultato, se non di essere preso in giro e sentirmi dire “ahh ma per gettare bombe non sono ciechi…”. Dopo lunghe ore con roba simile (molto tempo ammanettato, mi sono rimasti i segni), siamo stati trasferiti a un comando di polizia chiamato Irama. Sono stato introdotto lì e spogliato di tutto, ma dopo un po’ ho potuto ottenere di fare una telefonata e avvisare la mia famiglia (che non ho potuto vedere fino a quando 
non sono stato rilasciato). Sono stato arrestato alle 4:00 pm e solo alle 10:00 di sera ho potuto chiamare casa mia. La ONG di difesa dei diritti umani “Foro penale venezolano” è arrivata al comando, dandoci indicazioni e sollevando il morale degli arrestati. Dopo 24 ore, dormendo sul pavimento, mangiando e bevendo quel poco che era riuscito a far passare la nostra famiglia, abbiamo finalmente lasciato la stazione di polizia. In tali situazioni, i minuti sono ore. Ero stato picchiato ed ero molto debole, ma felice di essere uscito a testa alta.
Come è stata la reazione delle altre persone private della libertà? Ci sono state azioni di solidarietà?
Con me sono state catturate altre quattro persone, tra cui un amico. Tutto è accaduto molto velocemente e la gente era molto spaventata, io non li biasimo, hanno armi e possono distruggere la vita di chiunque. Nel camion, dopo aver subito percosse e umiliazioni, lanciandoci un rapido sorriso, abbiamo parlato tra noi e scherzato sulla nostra sorte. Abbiamo condiviso tutto. Se un membro della famiglia ha inviato il pane, il pane è stato diviso in quattro parti così potevamo mangiare tutti. Qualcuno era più ottimista degli altri: “tranquillo compagno, tra poco ce ne andiamo”, mentre uno più pessimista diceva “ci giudicheranno in un tribunale militare”. L’incertezza si tagliava con un coltello. Alla fine di tutto, i “maledetti guarimberos” sono diventati buoni compagni e qui ce n’è uno che può raccontare con rabbia quello che è successo.
Stai per essere giudicato o hai un ordine di comparizione?
La decisione di cosa sarebbe stato di noi era un dibattito interno al comando di polizia, poiché alcuni erano della “opposizione” e altri sostenitori del governo. In un primo momento hanno cercato di addebitarmi delle accuse che non corrispondevano al mio arresto, qualche ricordo: alterazione dell’ordine pubblico, fabbricazione di ordigno incendiario, tra le altre cose. Ho negato tutto. Mi hanno fatto le foto e preso le impronte digitali. Dopo l’arrivo degli avvocati, mi hanno fatto firmare una lettera di impegno e un ordine restrittivo per l’area in cui sono stato arrestato. Secondo loro, non posso andare in quella zona e commettere di nuovo “atti violenti”.
Come si vive nello Zulia? Vale la pena rischiare tanto?
 
Lo stato Zulia, nello specifico Maracaibo che è dove abito, è un municipio coinvolto dalla crescita esponenziale della popolazione. La densità demografica dello stato di Zulia produce una differenziazione immensa di culture e modi di vita. È una città compatta e calorosa, con pretese da metropoli. È piena di polizia e banche; istituzioni e imprese. È importante sottolineare che lo scambio culturale che si vive nelle strade, perché è una città di confine. Al di là di un denso strato di apatia e cattivo umore, c’è gente nobile e coraggiosa. Vivere nella città dell’“amato sole” è difficile, come lo è in ogni città in Venezuela. La differenza sta nel modo in cui si affronta la realtà. Ne vale la pena, il tempo e i sogni. La vita per me non è l’inerzia sui binari di una routine. Il modo in cui si vive deve essere una diretta conseguenza delle proprie idee, bisogna mettere in pratica i principi che scegliamo per guidare il nostro cammino. Le nostre idee sono il timone che dirige le nostre azioni. La difesa della nostra libertà individuale è composta da nodi di affinità in cui la prassi collettiva intreccia la nostra ideologia.
Pensi che ci troviamo di fronte ad una Ribellione Popolare?
Siamo dentro una ribellione popolare e ne siamo testimoni. Questa rivolta è semplicemente la risposta ad una crisi causata da fattori strutturali. La rottura dell’ordine sociale consiste nell’abbandono del modo settoriale di rispondere ai diritti dei cittadini e si concretizza nel violare gli ordini della dittatura; emergono spontaneamente focolai di rivolta sociale che derivano e si ramificano in azioni di rivendicazione sociale in cui il collettivo e l’individuo si fondono per formare un moto popolare che persegue obiettivi comuni.
Qual è la tua opinione sugli “autoconvocati” e sui “gruppi di resistenza”?
Quando si fa un paragone tra le proteste del 2014 e quelle dell’anno in corso si possono evidenziare alcune sfumature che, anche se sottili, segnano comunque una differenza. In primo luogo, le manifestazioni nel contesto attuale, diversamente rispetto al 2014, vengono convocate dalla società civile organizzata. In secondo luogo, la forza di sovra-determinazione dei partiti nella lotta è molto diminuita e ha perso peso rispetto al passato. La coalizione riunita nella MUD (Mesa de Unidad Democratica) si caratterizza come un’opposizione collaborazionista e debole: si sta allontanando sempre di più dalla gente che rischia la pelle nelle strade, dagli arrestati, dai caduti, dalla gente che muore di fame o muore in una sala d’attesa. A queste persone non basta un dialogo con il governo o un negoziato tra poteri: hanno bisogno di un profondo cambiamento della struttura sociale. Per quanto riguarda i gruppi di resistenza, dal mio punto di vista, sono la punta di diamante in questa lotta per la ricerca di un governo di transizione. Non solo per il fatto di spingere verso la fine della dittatura, ma per il messaggio che si lascia ai governi che verranno: “Ci sono persone che si organizzano, che si difendono e attaccano”. L’organizzazione che si costruisce nei gruppi di resistenza non ha precedenti, il percorso di autonomia nasce in modo spontaneo tra le persone coinvolte in questi gruppi. La gestione è orizzontale e le decisioni sono prese nelle assemblee. Di solito questi gruppi operano insieme alla comunità in cui vivono. Si preparano per la difesa e per l’attacco, creano i loro strumenti di difesa in modo artigianale facendo uso di quanto si ha a portata di mano (questo non impedisce che la qualità degli strumenti sia buona). Sono informati e documentati, li muove la convinzione e il pensiero di un Venezuela migliore. La resistenza sta scrivendo la storia.
Cosa pensi degli “anarchici” che osservano in silenzio quanto accade in Venezuela per non appoggiare una presunta “destra”?
Il disegno teorico dell’anarchismo ci ha lasciato qualcosa di estremamente chiaro: siamo contro tutti i governi. Sulla base di questo presupposto, la militanza anarchica affronta qualsiasi forma di governo, che si proclami di destra o di sinistra. Lo Stato è la ragione principale delle disparità sociali e delle relazioni di potere che ci separano, pertanto è il nostro nemico. Gli anarchici che attualmente chiudono un occhio di fronte agli eventi semplicemente non hanno capito nulla. Non hanno capito i principi che uniscono i libertari. Giustificare la repressione di un governo solo per il fatto che questo si auto-proclami di “sinistra” è qualcosa che si allontana decisamente dal pensiero anarchico. Non c’è nessuna destra che attacca la sinistra. Ci sono persone nobili che difendono i loro diritti, che resistono alla dittatura, che cercano dei cambiamenti nella società in cui vivono. In questo processo di liberazione e di lotta, che come anarchici sosteniamo con la solidarietà e il sostegno reciproco, i cambiamenti sono generati dal basso nella rete sociale.
Quale dovrebbe essere l’attività degli anarchici e dei libertari in questa fase politica?
È nostro dovere come anarchici accompagnare e promuovere la rivolta. Essere presenti in tutti gli ambiti in cui si pratica la lotta popolare contro la tirannia. Dobbiamo condividere le informazioni sulla lotta e sulla difesa popolare che storicamente definiscono l’anarchismo. Conosciamo il modo di organizzare e strutturare le mobilitazioni promuovendo l’autonomia e lo sviluppo orizzontale dei movimenti sociali. La musica, gli scrittori e tutta la letteratura che ha segnato la nostra crescita culturale e intellettuale sono ora i nostri strumenti per affrontare la dittatura. Sappiamo di propaganda e contro-informazione, strumenti estremamente importanti per l’egemonia comunicativa che il governo di Maduro ha installato nel paese. L’anarchismo è un catalogo di strumenti per l’organizzazione sociale. Bisogna far circolare il messaggio che stiamo combattendo fianco a fianco nelle comunità, bisogna dare validità e credibilità al nostro discorso.
Per concludere…cosa vorresti aggiungere?
L’utopia è diventata realtà, i precursori nelle lotte non si sono sbagliati. Da queste barricate, voglio mandare un forte abbraccio solidale a tutti i compagni di resistenza. Per tutti i compagni che hanno subito abusi e vessazioni dallo Stato, per tutti quelli che resistono a stomaco vuoto, che si ritrovano a piangere un caduto in famiglia. Per le persone che affollano le strade, che si tolgono il pane dalla bocca per darlo a chi sta peggio. Vale ogni secondo nella lotta. In particolare, voglio mandare un abbraccio con tutte le mie forze a quei compagni che sono detenuti, a quelli che portano sulle loro spalle una condanna di decenni solo per aver espresso dissenso contro questo governo tirannico. Non posso nemmeno immaginare il dolore che hanno di fronte, ma spero che questo messaggio gli serva almeno di conforto. Sulla strada siamo in molti che non dimentichiamo, restiamo in piedi,  combattiamo, apprezziamo coloro che hanno dato la loro vita per questa lotta. Mi auguro che sapendo che c’è chi lotta e spera per la loro libertà, possano sentirsi meno soli. Un abbraccio, ci vediamo per le strade.

Abbiamo bisogno di resistenza non di cooptazione: sull’esclusione delle persone transgender dall’esercito imposta da Trump

Se la tua risposta all’esercito che vessa le comunità povere e quelle di colore, usando la povertà come nuova recluta, è quella di utilizzarlo per legittimare l’esistenza stessa dell’istituzione come una fuga dalla povertà piuttosto che chiedere si ponga fine all’uso di giovani poverx come carne da cannone per le guerre dei ricchi, potresti avere delle priorità di merda.
L’esercito USA è imperialista, l’esercito del capitale globale. Non aderire. Non difenderlo. Sopratutto sotto la presidenza Trump, dove si è passati dall’uccidere 80 civili al giorno sotto Obama, ai 360 al mese, almeno 12 al giorno. 
Se avete a cuore le vite dei neri qui, cosa ne è delle persone in Somalia, Yemen e Siria?
Quanto al bando delle soggettività transgender, questo riguarda molto più che l’esercito. 
È un tentativo di disumanizzare le persone trans che si rivolge alla base reazionaria di Trump in un momento in cui inizia a cedere anche il sostegno da parte delle destre. 
Ma la risposta di coloro che si oppongono a tale vessazione dei gruppi marginalizzati non dovrebbe essere lodare l’esercito o un imperialismo diversificato.
Abbiamo bisogno di resistenza non di cooptazione. Questo elogio del militarismo sta riportando l’energia verso un sistema che causa enormi quantità di sofferenze in tutto il mondo. 
Come ultima nota volevo aggiungere che è per questo che non reputo Trump e gli altri intorno a lui come degli idioti. Questa considerazione sembra perfettamente creata a beneficio delle forze reazionarie sia del centrosinistra sia del centrodestra – uno intriso di bigottismo anti-trans e l’altro che supporta come una cheerleader l’imperialismo arcobaleno e le forze armate USA. 
L’effetto è che il tentativo di bloccare l’analisi critica strutturale regali agli arci-imperialisti una breccia per posizionarsi come forza progressista. 
by CRS