Category Archives: pourparler

Il movimento delle Sardine ovvero il grado zero della mobilitazione politica

Per anni i capetti di movimento hanno messo tutto il loro impegno affinché nelle manifestazioni e nel conflitto sociale non accadesse nulla. “Non deve succedere nulla” è stato il mantra che ha accompagnato il conflitto recintato e anestetizzato delle piazze di questo paese: l’obiettivo vero non era certo lo sviluppo del “consenso” alle lotte ma la carriera di questi personaggi auto nominatisi leader. Facendo una brutale semplificazione (brutale quanto vera) è colpa di questi capetti se oggi in Italia siamo scivolatx sempre più in basso a destra e ogni sollevazione e istinto conflittuale viene subito sedato: il paese è diventato sempre più una fogna mentre loro hanno fatto carriera nelle università, nei sindacati, nei partiti o nelle imprese. Magari dai loro dipartimenti universitari continuano a scrivere articoli di sociologia dei movimenti, per cui adesso possiamo leggere sulle loro riviste online diverse analisi riguardanti il nuovo fenomeno politico del momento, ovvero le Sardine.

Le Sardine sono il vero compimento finale di questa strategia del “non deve succedere nulla”. Si chiama una manifestazione su Facebook, fioccano i “parteciperò” perché ci si mette dentro un po’ di tutto a costo zero. Una piazza recintata dentro la quale non si fa nulla, massimo due cartelli e una canzone (Bella Ciao e l’inno di Mameli, potrebbero chiamare Roberto Benigni, magari gli recita pure un po’ di Dante), il nemico non è manco più Salvini ma è lo stesso di Repubblica e del governo: l’odio (questo nobile sentimento sconosciuto a chi lavora per la rivista culturale di Prodi o De Benedetti), il populismo, i cattivi che non consentono al buon governo del PD di vincere a mani basse le elezioni.

Lo scenario è talmente desolante che tutte le polemiche di questi giorni sembrano veramente superflue, siamo arrivatx a un punto in cui tutto è stato reso invisibile e i movimenti assomigliano alla parodia che può mettere in campo Roberto Saviano dalle colonne di un giornale del gruppo L’Espresso. Niente a che vedere con la realtà, si disputa solo una partita di potere tra blocchi simili e contrapposti che vogliono governare questo paese, con gli stessi obiettivi e gli stessi morti sulla strada. Uno di centrosinistra e uno di centrodestra, of course. Nel frattempo ogni rivolta e ogni conflitto sociale viene represso con la violenza brutale della polizia e dei tribunali. Ma le Sardine sono lì al sicuro, in quella piazza recintata, a cantare canzoncine e innalzare cartelli colorati.

Qualche giorno fa, lavoratori e lavoratrici delle campagne hanno bloccato uno dei maggiori porti commerciali di questo paese, mentre altrx bloccavano contemporaneamente un centro commerciale in un’altra regione del sud. La risposta della polizia è stata come al solito violenta e brutale, con denunce, pestaggi, lacrimogeni e manganellate. Zingaretti del PD si è subito dissociato e ha condannato la lotta, mentre il sindacalista della sezione locale della FLAI CGIL si è addirittura complimentato con la polizia: “Un lavoro encomiabile quello che stanno facendo i poliziotti del commissariato e dei carabinieri di Gioia Tauro”. Ecco, quando vedo che le piazze delle Sardine sono gestite da gente come questo tizio della FLAI e che ringraziano Digos e Polizia penso che non ci sia davvero nulla da aggiungere.

lino caetani

Quel giorno che non presi le manganellate

Per Mamadou Konate e Nouhou Dombia

Quello che mi domando, ma veramente, ma come cazzo ci sono finito qui? La polizia ha circondato la piazza, noi stavamo a bloccare il traffico al centro della città, da dove passano tutte le macchine di questo posto un po’ fascista, piano piano ci hanno stretti sulla rotatoria e un gruppo si è messo con lo striscione steso per terra. Da qui non ci muoviamo fino a che almeno il Prefetto non ci concede un’udienza. Mi guardo intorno e me la faccio sotto dalla paura. La fila di celerini bardati con caschi e manganelli si fa sempre più vicina. Allora, io penso che come prima cosa mi vorrei allontanare fuggendo insomma vorrei stare in qualsiasi posto ma non qui, vorrei stare a casa magari davanti al computer a twittare qualche cazzata. Meglio ancora a bere una birra. Ho una fifa bestiale delle manganellate dei celerini, penso che per quanto sono fracito una mazzata di quelle spranghe mi atterra da mo ai prossimi vent’anni. A me che una puntura di zanzara mi fa stare squieto, figuriamoci una botta in fronte: il caldo, all’inizio non senti niente ma poi ti ritrovi pieno di sangue e dolore. Me la immagino come quando mi strafacciai con la bicicletta. Mi ricordo il primo corteo che ho fatto. Stavamo sul prato come adesso, mi guardavo attorno e vedevo la polizia avanzare ma mi dicevo “ma figurati se ci vengono ad attaccare a noi che stiamo qua tutti quieti e contenti e non facciamo male a nessuno”, figuriamoci. Il compagno con cui ero venuto però lui era preoccupatissimo, tanto che lo ritenevo paranoico. “Ce ne dobbiamo andare! Questi caricano!”, diceva. “Ma quando mai, vabuo se lo dici tu facciamo così, usciamo dalla piazza e passiamo sul lungomare”. Insomma, appena passato tra due carabinieri facendomi stretto stretto, sorpassata la fila, parte una carica verso la piazza, una delle più brutali e violente della storia italiana. Gente che era venuta con la chitarra e con la Bibbia al corteo fu scamazzata a sangue sul prato, senza pietà, con i ragazzi portati nelle caserme che fecero da preludio a Bolzaneto. Quando il giorno dopo guardai le immagini di quel poco che era successo, con i compagni ancora in caserma, pensai di essere un miracolato e che dovevo ringraziare la madonna e la paranoia del mio amico. Per questo mo io, da già miracolato lì e pure sul lungomare di Genova poche settimane dopo, con la guardia di finanza che sgormava a sangue i viecchi della rete Lilliput a pochi metri da me, mi spiegate che cazzo mi sono venuto a infognare in questa piccola città di provincia di merda, piena di fascisti che li vedo che fuori dal cordone della polizia che ridono e incitano i celerini a caricare. Guarda quel vecchio di merda cosa cazzo si ride. Allora guardo attraverso la fila di polizia e vedo un parco alle loro spalle, guarda caso si chiama Giovanni Paolo II proprio come a quello che io mai in vita mia ho potuto sopportare. Eppure se parte la carica, penso, me ne corro in avanti verso il parco. L’unica salvezza quel cazzo di papa polacco. Non ne sono certo eh. Guardo le compagne dietro lo striscione steso per terra. Tengono una cazzimma abissale, io me la faccio sotto e loro stanno là a gridare gli slogan e a sfottere la polizia. A sfottere! Questi mo ci caricano e noi li sfottiamo pure. Ma cosa cazzo e quanto le amo però a ste soggette. Eh ritorniamo alla domanda iniziale. Perché sono finito qui? A prendermi la prima e a questo punto sicuramente l’ultima manganellata della mia vita? Io, fosse per me, me ne andrei dietro, ci stanno quelli del partito comunista che se ne sono andati, beati a loro, forse per loro è finita così sta manifestazione, hanno detto i loro slogan dietro al corteo e amen. E invece mi avvicino piano piano verso lo striscione. Non ce la faccio. Nel senso che sono venuto qui vabè per una serie di motivi, di conseguenze, di situazioni una dopo l’altra a cascata, ma vorrei starmene adesso dall’altro capo del pianeta. Ma io sto qua con loro, come fai ad andartene e voltargli le spalle. Mi avvicino piano piano ancora di più, ormai sono quasi davanti ai celerini. We need yes! Cantano i compagni, e sfottono ancora la polizia. Prego la madonna e pure a Giovanni Paolo Secondo vi prego dateci sto cristo di incontro in Prefettura e facciamola finita. Cerco di assumere un’aria tranquilla ma in realtà sto ancora allucinato. Cerco pure di scambiare due chiacchiere con qualche amico, ma la tensione mi fa fare una smorfia storta. Ci sono finito qui, dicevo, perché mano mano mi è venuta la malsana idea che non è possibile solo “avere” una posizione sulle cose terribili che ci accadono e che funestano la nostra società, dovrei pure “prendere” una posizione. Ma sulle piccole cose, fare un corteo, un’assemblea, preparare uno striscione. Non so se mi spiego, ma è una questione di riconoscere di avere un privilegio: questi qui che manifestano sotto la fila della celere sono persone che lottano per la sopravvivenza, per avere uno straccio di documento, loro che lavorano la terra per ore con un salario schifoso e rischiano la vita ogni giorno. Due di loro, tornando da una manifestazione come questa, erano stanchi e si sono addormentati nella tenda del campo: la polizia ha appiccato un incendio per far sgomberare tutta la tendopoli ma loro due non hanno fatto in tempo a scappare e sono morti tra le fiamme. Escluso il rogo doloso, dicono i giornali. Sì, come no. Si chiamavano Mamadou Konate e Nouhou Dombia. C’è qualcuno con un cartello con il loro nome. Io mi avvicino ancora, guardo gli altri e penso al mio privilegio, il privilegio di uno che è venuto qui ma se volesse la madonna che questi non caricano se ne torna a casa sano e salvo e domani non tiene tante preoccupazioni se non quella di riposarsi dopo una giornata così faticosa. Questi qui invece rischiano la vita pure domani. Ho sempre avuto un’incredibile ammirazione per chi come loro attraversa decine di stati per cercare di campare, ci vuole un coraggio immenso. Per poi arrivare qua tra caporali, polizia e quel vecchio di merda che inzulfiava i celerini a caricare. Sono nel gruppo ormai, certo un poco poco ancora più defilato dallo striscione steso per terra ma ormai li posso vedere meglio in faccia. Ci sta una che ammiro in maniera assurda per quello che fa assieme ai migranti. Loro si seguono tutta la vertenza, da solidali, e non è che finito il corteo se ne tornano a casa, continuano a seguire come va a finire sta storia, che sicuro il Prefetto non riceve nessuno stasera. Figuriamoci, mo si tratta solo di uscire da sta cazzo di piazza. E infatti, deo gratia, partiamo in corteo verso la stazione. Appena vedo che la polizia ci fa passare, lancio un’occhiata di sdegno pure al parco di Giovanni Paolo Secondo, quello stronzo. Andiamo avanti, partono i cori, incredibile ma vero, pure se ancora guardo sospettoso intorno ai palazzi, riesco a urlare anche io “siamo tutti antifascisti!”. Mo faccio pure il tipo tosto. Ancora pochi metri e siamo in stazione, l’ultimo sforzo e quanto odio la polizia sti maledetti. Finalmente in piazza davanti la stazione, mi sgonfio di tensione, mo si tratta solo di andare a pigliare la macchina. Comunque, che schifo di militante che sono, non ho fatto altro che pensare a come non mi dovevo pigliare sta manganellata. Che poi dai, sicuro pure se piglio le mazzate qualche cosa poi la riesco e mi sento di fare, magari non subito ad un altro corteo, per carità. Vabè mo non esageriamo, qualche riunione al limite. Mi rimetto in macchina e andiamo via da sta città passando per i campi dove domani i fratelli andranno a faticare. Io domani mi sveglierò a mezzogiorno poco ma sicuro. È quell’amore che ancora ti spinge a fare qualcosa in più, per chi come me è abituato a pensare a come arrivare al pub la sera senza che qualcuno mi smuova dallo stato di quiete in cui mi trovo è un passo formidabile. Non credete. Arrivato a casa, qualcosa ancora mi turba. Il pensiero di prendere posizione, di non stare fermo al privilegio, almeno considerarlo presente nella mia vita. Questo mi spinge un po’ più in là. Certamente non avrò la capacità di combattere il capitalismo, di partecipare alla rivoluzione, però. Non c’è niente da riformare in questo sistema né ci sta il soggetto il partito la classe che ci porta in un nuovo e migliore mondo possibile. Non lo credo onestamente, una volta coltivavo delle illusioni politiche ma ora penso che il problema sia ancora più alla base. Almeno a sapersi riconoscere, a guardarsi intorno e a scegliersi i fratelli e le sorelle, a stargli accanto. Magari senza pigliare le mazzate.

L.C.