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I nuovi abiti del Capitalismo

Pubblichiamo la traduzione di un lungo intervento di Evgeny Morozov sul libro di Shoshana Zuboff “Il capitalismo della sorveglianza” [S. Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Luiss University Press, Roma, 2019]. In questa recensione, Morozov dimostra come le basi teoriche dello studio di Zuboff siano poco solide, basate più che altro su un funzionalismo sociologico che giustifica tautologicamente le proprie ipotesi, senza un confronto adeguato con ipotesi scientifiche diverse. “Esiste una teoria più semplice, più generale, per spiegare l’estrazione dei dati e la modifica del comportamento che Zuboff trascura, intrappolata com’è all’interno della struttura Chandleriana, con il suo ardente bisogno di trovare un successore del capitalismo manageriale. Questa teoria più semplice va così: le aziende tecnologiche, come tutte le aziende, sono guidate dalla necessità di assicurare una redditività a lungo termine. La raggiungono superando i loro concorrenti attraverso una crescita più rapida, esternalizzando i costi delle loro operazioni e sfruttando il loro potere politico. L’estrazione dei dati e la modifica comportamentale che consente – chiaramente più importante per le aziende in settori come la pubblicità online – sorgono, dove lo fanno, in quel contesto”.

Buona lettura.

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Pensare alle prigioni nel momento della pandemia di Coronavirus in Africa

Testo di Marie Morelle, relatrice HDR in Geografia (Università Paris 1 Panthéon Sorbonne, UMR PRODIG, nella delegazione IRD Cameroun presso la Fondazione Paul Ango Ela), Frédéric Le Marcis, professore in antropologia (Ecole normale supérieure, delegato IRD presso il Centro di ricerca e formazione in infettologia della Guinea) e Sylvain Faye, professore in antropologia (Università Cheikh Anta Diop, Sénégal).

da http://libeafrica4.blogs.liberation.fr/2020/04/07/penser-la-prison-lheure-de-la-pandemie-de-coronavirus-en-afrique/

Da alcune settimane, la pandemia di Coronavirus occupa le pagine o le trasmissioni dei media.

Ora, per una volta, essa dà origine a diversi articoli sulla situazione sanitaria e sociale nelle prigioni, dalle proteste dei detenuti privati dei colloqui in Italia agli appelli alla liberazione dei prigionieri in Francia e in Senegal, per esempio. Man mano che il virus circola da un continente all’altro, le dichiarazioni degli avvocati, delle ONG o dei ricercatori si moltiplicano, diffuse dalla stampa e dalle radio sia nazionali che internazionali. Vedere ad esempio la dichiarazione congiunta di un collettivo di ONG e di attori nazionali e internazionali per le prigioni in Africa, diffusa da Avvocati senza frontiere – Belgio: <<di fronte alla propagazione del Covid-19, prendere misure urgenti e immediati per proteggere i diritti dei detenuti in Africa>>, 24 marzo 2020; l’appello dei ricercatori, avvocati e magistrati in Francia: <<Coronavirus: riduciamo il numero di persone incarcerate per pene brevi o verso fine pena>>, Le Monde, 19 Marzo 2020; l’analisi di Gwenola Ricordeau: <<Perché svuotare le prigioni è necessario>>, The conversation, 25 Marzo 2020.

L’epidemia avrà quantomeno contribuito a riaprire il dossier sulla salute in prigione, in particolare sulle questioni riguardo la promiscuità e le condizioni igieniche nei luoghi di detenzione che sarebbero favorevoli alla trasmissione del virus. Ci si può interrogare sul tempismo col quale si riconosce e si mette all’ordine del giorno una questione sanitaria per le carceri discussa già da molto tempo. Tuttavia è importante andare oltre l’analisi della situazione per riflettere sul ruolo dell’istituzione penitenziaria nelle politiche della sanità pubblica così come sulla dimensione politica di una tale discussione. Noi proponiamo di farlo a partire dalle carceri africane, trattenendoci da qualsiasi generalizzazione riguardo il continente e da una lettura afrocentrica, che andrebbe a discapito di una lettura che vogliamo sia universale. In effetti è sulla pena detentiva e sulla sua portata socio-politica che si tratta ancora e sempre di riflettere.

Un breve riassunto sulla situazione delle carceri nel continente africano permetterà di dimostrare la vulnerabilità nella quale si ritrovano sia i detenuti che il personale penitenziario. Si cercherà allora di individuare le risposte delle autorità pubbliche e dei soggetti generalmente coinvolti nel settore carcerario. Infine, rifletteremo su ciò che la gestione delle prigioni ci dice riguardo alle politiche della vita.

Una eterogeneità di situazioni che non deve mascherare una forte vulnerabilità

Nelle prigioni in Africa vi sono diverse situazioni, sia nel numero delle carceri, che nella loro localizzazione e nella loro grandezza. I tassi di detenzione sono variabili, e perfino inferiori a quelli che si conoscono in degli stati europei o americani. Se l’Africa del Sud si distingue per un tasso di circa 300 detenuti per 100.000 abitanti, non è lo stesso per il Burkina Faso con meno di 50 detenuti per 100.000 abitanti. Quanto al Camerun è vicino al tasso della Francia, oscillando attorno ai 100 per 100.000 abitanti. In Senegal la popolazione carceraria è stimata in 11547 detenuti nel 2019, ossia una media di 68 detenuti per 100.000 abitanti.

Tuttavia, qualunque sia il tasso di detenzione, numerose carceri nel continente (e nel mondo) sono caratterizzate da un forte sovraffollamento, in particolare nelle grandi città. Ciò si traduce innanzitutto in una insufficienza di letti per i detenuti, una promiscuità enorme nelle celle e negli spazi comuni. Inoltre, le razioni alimentari così come le infrastrutture di accesso all’acqua (e quelle di drenaggio) sono sottostimate all’interno di budget spesso deboli. Molti prigionieri soffrono dunque di dermatosi (da cui la scabbia) e di malnutrizione (da cui il Béri Béri, carenza di vitamina B). A queste malattie se ne aggiungono altre: la popolazione carceraria si distingue in effetti per una maggiore incidenza dell’HIV e della tubercolosi rispetto al resto della popolazione. I detenuti appartengono dunque a quelle che nel momento della pandemia di Coronavirus (Covid-19) sono definite come “popolazioni vulnerabili”. I detenuti sono vulnerabili a causa del sovraffollamento carcerario di cui sono vittime, in un contesto dove il distanziamento sociale è considerato come l’arma fondamentale per spezzare la catena di trasmissione del virus. Da molto tempo le prigioni, luoghi chiusi e isolati sono divenuti “incubatori” per diversi virus dalla rapida propagazione, senza trascurare lo storico disprezzo per le carceri come vettori di malattie ma anche di contaminazione morale.

In effetti i detenuti soffrono di interruzioni ricorrenti del loro percorso di cura (all’ingresso in detenzione quando sono già sotto trattamento come all’uscita se hanno iniziato il trattamento durante la loro detenzione) e dell’assenza di controlli sistematici al loro ingresso in prigione. Le infermerie, quando vi sono, mancano di materiali e medicine. Considerate per la maggior parte del tempo come parte del livello più basso del sistema sanitario, esse non sono rifornite che di farmaci per l’assistenza sanitaria di base. Per il resto esse dipendono dalle donazioni delle ONG, dalle associazioni religiose, dagli sponsor o dalle agenzie internazionali. Infine le visite delle famiglie e il loro contributo finanziario sono essenziali per facilitare la presa in carico sanitaria del detenuto malato (acquisto di medicine, realizzazione di un esame o presa in carico sanitaria fuori dalla prigione). La sanità penitenziaria soffre di una disconnessione con gli operatori e i centri della sanità: essa è troppo spesso dimenticata nelle politiche di sanità pubblica. In Senegal la competenza dell’amministrazione penitenziaria riguarda solo la sorveglianza delle prigioni e la sicurezza dei detenuti. La sanità e l’igiene carceraria fanno capo al ministero della Sanità, e sono sfortunatamente dimenticate dal sistema sanitario.

In dei contesti dove le infrastrutture sanitarie sono insufficienti, portare la questione della salute carceraria all’ordine del giorno può sembrare quasi una richiesta illegittima. Le logiche di sicurezza prevalgono spesso sulle logiche sanitarie.

La circolazione attiva del Covid-19, e la minaccia epidemiologica che la prigione rappresenta in questo contesto, impone non solo di non chiudere più gli occhi sulla negazione del diritto alla salute dei detenuti, ma anche, ricordiamolo, sulle condizioni di lavoro del personale penitenziario, delle guardie così come dei medici.

Prime risposte

La situazione dunque sembra confermare che la prigione non è un edificio isolato, protetto dai suoi alti muri, ma uno spazio poroso, prodotto e inscritto in una varietà di flussi. Le amministrazioni penitenziarie hanno fatto il punto su questa situazione. In Senegal, l’inquietudine crescente degli agenti della divisione medico-sociale dell’Amministrazione penitenziaria li ha condotti a interpellare il ministro della Sanità perché siano immediatamente prese delle misure di controllo mediche e igieniche nelle prigioni. Molto spesso le visite sono state proibite. Tuttavia è essenziale insistere sulla dipendenza dei prigionieri dalle loro famiglie (denaro, alimenti, medicine ma anche sostegno morale) e all’inverso, di questi ultimi da alcuni detenuti che riescono a svolgere attività generatrici di reddito (informali o criminali). Rompere questo legame può avere degli effetti devastanti nella vita dei prigionieri e dei loro cari. Presso la Casa di detenzione e correzione di Ouagadougou (MACO), se le visite sono sospese, è stato messo in atto un sistema di pacchetti (che è necessario disinfettare). Esso non rimpiazza una visita anche se la circolazione illegale di telefoni non è un mistero per nessuno (a condizione che si disponga delle chiamate). In Senegal, l’amministrazione penitenziaria non ha ancora interdetto, ma soltanto ridotto le visite familiari, promettendo un dispositivo di comunicazione a costo ridotto allo scopo di permettere ai detenuti di mantenere il contatto con le proprie famiglie. D’altro canto tutte le autorizzazioni di accesso agli stabilimenti penitenziari accordati ai rappresentanti diplomatici, alle associazioni, alle organizzazioni non governative, agli studenti e ai ricercatori sono state sospese fino a nuovo ordine.

Tuttavia, si deve anche riflettere su un altro flusso, ossia quello verso il tribunale. Si tratterà di sospendere i processi, come ha fatto la Guinea, il Senegal, o ancora, parzialmente, il Gabon (salvo per i reati più gravi, le delibere e le domande di messa in libertà provvisoria)? A rischio di allungare le durate delle detenzioni preventive oltrepassando le scadenze legali? Come garantire le visite degli avvocati? La crisi sanitaria non può giustificare una sospensione dei diritti!

Si pone anche la questione di coloro che entrano in carcere. E infine, non si può trascurare l’andirivieni delle guardie che avviene maggiormente nel contesto di città che non hanno messo in atto misure di confinamento in ragione del loro costo sociale, economico e politico.

Ovviamente possiamo prendere in considerazione la messa in atto di sistemi di sicurezza senza rinunciare alla sensibilizzazione: prendere la temperatura dei visitatori e delle guardie, obbligarli a lavare le mani all’entrata, mettere dei secchi di candeggina, o con del sapone, in assenza del gel idroalcolico insufficiente nei centri di detenzione e negli uffici dell’amministrazione e infine equipaggiare il personale sanitario con mezzi di protezione (maschere, guanti, camici). Questo è ancora più necessario in molti paesi dove le associazioni e le ONG (le cui autorizzazioni sono ormai spesso sospese) hanno fornito una risposta a determinate esigenze sanitarie dei detenuti. Resta da sapere se queste azioni sono sostenibili nel tempo e replicabili in tutte le prigioni di uno stesso paese, in particolare per delle ragioni finanziarie.

Sottoporre a screening con l’aiuto di kit le guardie e i nuovi entrati è una sfida, visto che i kit mancano. Inoltre gli individui sottoposti a screening devono essere isolati dagli altri detenuti, ulteriore problema in un contesto di sovraffollamento. Per quanto riguarda le maschere c’è carenza anche di quelle.

Non ci si stupirà dunque degli appelli alla liberazione di alcune categorie di detenuti lanciati più spesso dalle ONG (in Sud Africa o in Camerun ad esempio) e dagli avvocati (in Algeria), allo scopo di permettere alle autorità sanitarie di poter controllare e proteggere l’ambiente carcerario: i più anziani ad esempio, i più vulnerabili o ancora secondo la pena da scontare o il tipo di reato. Se la legge non lo permette, si può ricorrere a un decreto presidenziale, per delle grazie, frequenti sul continente e a cui l’Etiopia ha fatto ricorso il 25 Marzo scorso per le prigioni di Kilinto, Shewarobit, Ziway, Dire Dawa e Qualiti. In Kenya dei detenuti della prigione di Shimo La Tewa effettueranno la loro fine pena ai domiciliari partecipando a dei lavori per la comunità. Il Niger ha ugualmente annunciato di aver liberato 1540 detenuti. In Senegal il presidente della Repubblica ha graziato 2036 detenuti, condannati per diversi reati e detenuti in diversi edifici penitenziari sparsi nel paese. Le liberazioni interessano principalmente i detenuti che beneficiano di una remissione totale o parziale della pena, i minori, i gravemente ammalati o quelli oltre i 65 anni. Si può anche tenere in conto della commutazione dell’ergastolo alla reclusione di 20 anni, facilitando altre liberazioni immediate. Va fatto notare che i detenuti condannati per omicidio, stupro, pedofilia, traffico di droga, furto di bestiame sono stati esclusi dall’amnistia.

Si può far riferimento al sito di Prison Insider che raccoglie le azione intraprese paese per paese e continente per continente giorno per giorno. In questo contesto, si nota che spesso l’oggetto delle richieste di liberazione sono i detenuti politici, come in Egitto o nel Niger. Se molto spesso attraverso questi detenuti si è potuto dare una risonanza maggiore alle condizioni di detenzione, non ci si può accontentare di una liberazione che ignori i prigionieri ordinari.

Ciò che la pandemia dice sulla prigione: una politica dei diritti

L’accesso alle cure resta un diritto e la sua negazione non dovrebbe aggiungersi legittimamente alla pena già subita. Sottoporre a screening dei detenuti, in entrata o no, o delle guardie, quando ciò è possibile, implica in seguito curarli: organizzando le celle disponibili, costruendo rifugi nei cortili e distribuendo le medicine necessarie, impedendo la contaminazione. Ciò richiede che la sanità in prigione sia chiaramente inscritta nel dispositivo del sistema sanitario e di cura e che non sia lasciata alle iniziative delle associazioni e delle organizzazioni per i diritti umani. Bisogna anche che i ministeri di tutela si sforzino a investire in questo ambito, garantendo il principio di diritto alla sanità per tutti.

La crisi sanitaria attuale dimostra che esiste una coscienza: quella dell’inclusione della prigione negli ambienti sociali e dei flussi che si generano tra essa e l’esterno. Niente di nuovo in ciò dal punto di vista delle scienze sociali, se non che il mito dell’impenetrabilità della prigione, con il pretesto della sicurezza e della punizione cade un po’ più apertamente. Privare i detenuti del sostegno esterno, vuol dire esporsi a delle rivolte. Privare i detenuti delle cure, il personale medico penitenziario lo sa, vuol dire fare delle carceri dei nuovi focolai di epidemie. Non si potrà quindi continuare a chiudere gli occhi sul ruolo legittimo della prigione, dei detenuti e del personale nelle politiche di sanità pubblica, ai fini della lotta contro le epidemie (il coronavirus oggi, Ebola domani e infine già l’HIV, la tubercolosi e l’epatite). Questa affermazione non deve tuttavia limitarsi a una questione pragmatica. Essa deve anche portare alla depenalizzazione dei reati meno gravi e a una messa in atto di misure alternative finché il sovraffollamento carcerario non avrà fine. Essa deve sopratutto essere una opportunità per parlare dei diritti dei detenuti e dei diritti che lasciamo che gli Stati violino, in Africa come altrove.

Ribellione dei prigionieri in Iran

da https://www.eurasiareview.com/24032020-prisoners-rebellion-in-iran-oped/

In Iran, il numero di persone prigioniere infette da coronavirus è in aumento. Dato che il carcere è uno spazio chiuso, privo di una corretta alimentazione, con mancanza di adeguate strutture sanitarie e mediche e con un’alta densità di popolazione, l’infezione da Coronavirus minaccia la vita di molte persone prigioniere. Nonostante l’emissione di 2 direttive da parte del capo della magistratura che hanno liberato diversi prigionieri, ai prigionieri politici queste possibilità sono negate. Secondo la magistratura, lo status giuridico di queste persone imprigionate è definito come “detenuto”, comprese le persone che sono state arrestate durante le proteste di novembre.

Mentre il relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani chiede anche il rilascio di tutte le persone imprigionate, il rilascio dex prigionierx politicx è bloccato dai sistemi di sicurezza e giudiziari. Domenica 15 marzo 2020, un prigioniero è stato trasferito dal reparto 14 della prigione di Urmia in un ospedale fuori dalla prigione dopo essere risultato positivo al Coronavirus.

Inoltre, secondo l’Organizzazione dei diritti umani in difesa dei prigionieri politici, a due donne guardie nella prigione di Evin è stato impedito di venire a lavorare negli ultimi sette giorni per sospetta esposizione al Coronavirus. Negli ultimi giorni, i risultati dei test di una di essi è stato confermato essere positivo.

Il 16 marzo 2020, 128 prigionieri nei reparti n. 1, 2, 2 e 4 della quarantena della prigione di Evin hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la loro esposizione alla pericolosa malattia del Coronavirus e al deplorevole stato per quanto riguarda salute e cibo. Tuttavia, quando le persone prigioniere si sono rese conto che dopo 2 mesi dall’epidemia di Coronavirus, non avevano alternative e che le loro morti erano inevitabili, hanno deciso di ribellarsi e fuggire dalla prigione. Secondo il locale Khorramabad Citizens il 18 marzo 2020, i prigionieri nel reparto 3 della Parsylon Khorramabad Prison Mass si sono ribellati e sono fuggiti dal carcere. 250 prigionieri si sono ribellati e hanno cercato di scappare.

Alcuni di loro sono stati brutalmente attaccati dalle guardie carcerarie e uccisi da spari, ma 130 di loro riuscirono a fuggire. Durante la rivolta di Parsylon, i prigionieri hanno rotto la porta della prigione. Hanno confiscato le armi delle guardie, ne hanno ferito due e poi sono fuggiti. La ribellione ha avuto luogo secondo un piano coordinato dall’esterno e dall’interno della prigione. Alcuni amici dei prigionieri di Koohdasht hanno attaccato la prigione dall’esterno in 2 auto, mentre contemporaneamente in uno sforzo coordinato, i prigionieri all’interno della prigione si sono ribellati. Le guardie in questa situazione erano molto spaventate e hanno perso il controllo.

Testimonx sulla scena hanno detto di aver sentito spari continui vicino alla prigione. In seguito alla rivolta dei prigionieri di Khorramabad e alla loro riuscita fuga, le autorità di sicurezza e le Guardie rivoluzionarie hanno iniziato a stabilire la legge marziale nella città di Khorramabad e hanno arrestato le persone. L’IRGC ha anche fatto irruzione nei villaggi vicini per arrestare i prigionieri fuggitivi. La gente di Khorramabad ha aperto le proprie case ai prigionieri in fuga, e molte persone li hanno portati fuori dalla città con le loro auto in modo che l’IRGC non potesse prenderli.

Un cittadino che è stato imprigionato in questa stessa prigione ha detto: “I prigionieri sono fuggiti perché i prigionieri qui li trattano come animali. Hai bisogno di decine di cauzioni e decine di documenti per andartene, e per di più alcune guardie carcerarie devono garantire la tua cauzione.” L’anno scorso Ramin Biranvand, un ventenne prigioniero nel reparto 2 di questa stessa prigione, si è suicidato perché gli hanno richiesto enormi cauzioni, oltre alla garanzia di 6 guardie carcerarie. Alla fine, la mancanza di un ultimo garante gli ha impedito di andarsene e si è suicidato per rabbia. C’è stato un numero infinito di scioperi della fame. Gli assistenti sociali della prigione invece di occuparsi delle richieste degli scioperanti, li hanno messi in una gabbia e li hanno lasciati al freddo.


Tumulto nella prigione di Aligoodarz (a est della provincia di Lorestan)

Secondo Aligoodarz Citizens, i prigionieri della prigione centrale di Aligoodarz, nella parte orientale della provincia di Lorestan, il 20 marzo 2020, hanno fatto una rivolta. Questo è stato il risultato anche di uno sforzo coordinato dall’esterno della prigione. I prigionieri, per salvarsi dal Coronavirus, hanno pianificato il contrabbando di 3 pistole dai loro amici fuori di prigione e hanno costretto le guardie carcerarie ad arrendersi, quindi hanno cercato di scappare. Durante la loro fuga, si sono scontrati con le guardie. Circa 13 prigionieri sono riusciti a fuggire e 4 prigionieri sono stati uccisi dalle autorità.

Il governatore di Aligoodarz, Hamid Keshkoli, ha riconosciuto questa insurrezione e ha dichiarato: “Questa sera i prigionieri stavano cercando di fuggire dalla prigione di Aligoodarz ed è scoppiata una rivolta. La situazione della prigione è ora sotto controllo e, sfortunatamente, un prigioniero è stato ucciso e un altro ferito a una gamba.”

Testimonx oculari hanno riferito che gli agenti hanno sparato ai prigionieri anche dal tetto. Dopo la rivolta, molte ambulanze hanno trasportato ferite dalla prigione all’ospedale. L’IRGC ha bloccato tutte le strade verso la prigione nel timore della propagazione dell’insurrezione all’esterno e delle persone che venivano in aiuto dei prigionieri.

Attualmente, in altre carceri in Iran, le condizioni sono esplosive.

I prigionieri del centro di detenzione di Uzerches si arrampicano sui tetti e chiedono misure per contrastare l’epidemia

da https://lenvolee.net/les-prisonniers-du-centre-de-detention-duzerches-montent-sur-les-toits-et-exigent-des-mesures-contre-lepidemie/?fbclid=IwAR1UUsckm1qj_KR-QZUDnHbYwzufIc5wk76jjRkX6lDOl4bvcUxoGMoLxSY

Domenica 22 marzo nel centro di detenzione di Uzerches, i prigionieri stremati dalle nuove misure di confino e per il fatto di essere tenuti all’oscuro di tutto quello che riguarda la malattia sono riusciti ad accedere al cortile dell’aria e sono saliti sul tetto. In alcuni video che sono stati diffusi su internet, si sentono dei giovani urlare che hanno paura di morire perché le ERIS (Équipes régionales d’intervention et sécurité, equivalente dei GOM) e la polizia sono armati, e loro no; e che sparano con proiettili veri, com’è stato il caso settimana scorsa nella casa circondariale di Grasse. Trasmettiamo qui le loro rivendicazioni:
RIVENDICAZIONI DEI DETENUTI
-Vogliamo un DEPISTAGGIO per ogni detenuto e per ogni membro dell’amministrazione penitenziaria.
-Vogliamo che tutti gli agenti penitenziari senza nessuna eccezione siano muniti di guanti e di maschere (sono loro i più esposti al virus poiché sono loro che entrano ed escono dal carcere).
-Vogliamo essere informati dell’evoluzione della situazione:
A che punto siamo, i colloqui verranno ripristinati?
Che fine ha fatto il sopravvitto?
Che fine ha fatto la biancheria?
Qual è la situazione delle cure mediche in caso di Coronavirus?
-E per finire, per proteggerci, vorremmo che ogni detenuto abbia del gel antibatterico e una mascherina a disposizione (il minimo per quanto riguarda l’igiene attualmente)

Al CRA de Vincennes, le persone prigioniere sono ancora più isolate e ancor meno sicure

da https://abaslescra.noblogs.org/au-cra-de-vincennes-les-prisonniers-sont-encore-plus-isoles-et-encore-moins-en-securite/

Anche se diverse decine di prigionierx sono stati rilasciate da lunedì per prevenire l’esplosione dell’epidemia nel centro, almeno 60 persone sono ancora rinchiuse nel CRA di Vincennes. Le condizioni di igiene e cura rimangono disgustose e pericolose per le persone prigioniere e inoltre sono completamente isolate dai loro parenti e dalle loro famiglie.

I problemi di salute e cura a Vincennes non sorgono con il coronavirus, ma con lo stesso CRA. Rifiuto di cure, persone prigioniere malate o ferite che vengono lasciate nelle loro celle o messe in isolamento, la pratica comune di isolare i prigionieri per sparare loro e cercare di pacificare la situazione…la violenza della polizia e la violenza medica sono quotidiane nei CRA, e le infermiere e dottorx collaborano attivamente con le guardie per il mantenimento dell’ordine in prigione per le persone senza documenti, in modo che le persone prigioniere non si ribellino.

Non importa se una persona prigioniera è malata, ferita, se ha sofferenza mentale, se è stata picchiata dalle guardie: rimane rinchiusa e rischia sempre la deportazione. Molto prima del coronavirus, essere bloccati nel CRA significa rischiare di crepare. Il rischio diventa spesso realtà, come per Mohamed, morto a Vincennes nel novembre 2019.

Oggi, dopo la lotta condotta dai prigionieri tra domenica e lunedì, la situazione rimane orribile. Le persone prigioniere di Vincennes ci hanno inviato un elenco di problemi che la prefettura e le guardie si rifiutano di risolvere, aumentando il rischio per le persone detenute e rendendo il loro confinamento ancora più insopportabile.

1 / Non abbiamo una mascherina /

2 / Abbiamo bisogno di sapone e disinfettanti. /

3 / I contatti tra le persone non sono rispettati: non c’è un metro tra le persone. /

4 / Non abbiamo istruzioni da parte dei responsabili del centro./

5 / Ieri c’erano ancora nuovi arrivi./

6 / Ci sono persone che sono malate al centro: non c’è un’infermiera, arriva solo alle 9:00 e alle 15:00. Normalmente deve essere lì 24 ore al giorno e non c’è più un medico, c’è solo se c’è qualcosa di molto serio./

7 / Il personale dell’azienda privata non entra più nel centro: nessun cibo, nessuna bevanda, i distributori automatici non funzionano più./

8 / Le visite sono interrotte. Non è più possibile ricevere pacchi o indumenti dalla famiglia./

9 / Le persone non vengono più portate al tribunale, che è chiuso./

10 / C’è carne scaduta, pasti scaduti perché il camion che porta il cibo non arriva, mangiamo solo ciò che è rimasto nel congelatore ed è scaduto./

11 / Le persone non hanno più visitatori, quindi niente più soldi, quindi nessuna possibilità di acquistare carte per chiamare: non sappiamo se le nostre famiglie sono morte o vive, se stanno bene./

12 / Ci sono persone che hanno dei problemi mentali qui. Alcuni qui dentro sono infetti: una persona per esempio ha un’epatite B cronica con una terapia, un’altra ha problemi di cuore. Non si fa nulla.

Alcuni CRA sono in procinto di svuotarsi: bene. Ma essi non si svuotano completamente, e per le persone prigioniere che sono all’interno, va ancora più di merda: è importante restare solidali dall’esterno, continuare a far circolare le loro parole e i loro comunicati, sostenere le lotte che non terminano nelle prigioni per le persone senza documenti.

Fino a quando dell’ultimo CRA non resterà che un mucchio di rovine.

“Dobbiamo bloccare durante l’ora d’aria!” Messaggi dax prigionierx di Francia in reazione al confino delle prigioni.

da https://lenvolee.net/il-faut-quon-bloque-en-promenade-messages-de-prisonniers-de-france-en-reaction-au-confinement-des-prisons/

Ieri, mercoledi’ 18 marzo, abbiamo dato delle informazioni sulle prime conseguenze del confino nell’articolo “Il covid-19: la prigione nella prigione” (Le Covid-19: la prison dans la prison). La prima misura di reclusione nazionale annunciata dal ministero dei tribunali e delle prigioni è stata in effetti quella di sospendere i colloqui ovunque sul territorio nazionale, sospendere le attività, limitare i movimenti in detenzione. Mentre all’esterno lavorator@ sono ancora esortat@ ad andare a lavoro per far girare l’economia; mentre le guardie entrano ed escono dalle prigioni ogni giorno; mentre siamo tuttx invitatx a rispettare dei “gesti barriera”… la prima decisione per le persone prigioniere già isolate è stata di rendere ancora più dura le loro condizione di isolamento. Niente più colloqui, ma altrettanta promiscuità in cella.

Ma non c’è che una soluzione all’altezza della situazione: svuotare le carceri.

Facciamo uscire qui diversi appelli ad agire diffusi sui social network tra il 18 e il 19 marzo dai prigionierx di diverse carceri nella regione parigina e in Francia.


Messaggio a tutti i prigionieri di Francia

Domani dobbiamo scendere tutti all’aria e bloccare. Se tutte le prigioni bloccano nello stesso momento, saranno costretti a fare qualcosa, non possono trasferire nessuno, e non possono entrare dentro il carcere per paura.

Il virus si diffonde, già siamo incarcerati, ci annullano i colloqui, non è possibile o accettabile allora mostriamogli il nostro dissenso.

Siamo solidali perché se non siamo noi a fare qualcosa, loro non faranno niente per noi. In televisione, non hanno neanche parlato di noi; per loro non siamo neanche dei cittadini, ma quando bisogna votare ci mandano la scheda elettorale in cella.


Blocchi oggi

Abbiamo paura di morire per il coronavirus, siamo traumatizzati… E rivogliamo i nostri colloqui o almeno un visitatore per detenuto.

Tutte le prigioni di Francia, tutte nell’ora d’aria oggi.


Durante la ronda delle 5, non aprite lo spioncino, tutti quelli che stanno in carcere.

Domani bisogna che tutti blocchino cazzo.

Come mai noi non abbiamo più i colloqui, non abbiamo il diritto di vedere le nostre famiglie, invece loro, tornano a casa la sera a vedere il loro marito, moglie, bambini, e poi il giorno dopo ci portano un bel po’ di coronavirus in galera?

Se siamo bloccati qui, bisogna che siano bloccati qui con noi questi stronzi di secondini

Niente colloqui = Niente fumo

Niente fumo = non siamo contenti

Detenuti scontenti = guerra aperta!!!


Fate girare dappertutto

Fai un annuncio sulla tua story perché tutte le prigioni di Francia blocchino le passeggiate finché lo stato conceda un colloquio alla settimana minimo.

Siamo insieme

A tutti i fratelli in prigione: a partire da giovedì 19 marzo, bisogna che blocchiamo durante l’ora d’aria e tutti i giorni finché lo stato accetta di darci almeno un colloquio alla settimana. Bisogna che ci facciamo sentire e chi dirige sta più in alto dell’amministrazione penitenziaria, è lo stato che dirige. Bisogna fare rumore, ci dice che dura 15 giorni quando sanno benissimo che durerà diversi mesi. Ci tolgono la sola libertà che ci resta: la visita della nostra famiglia. Per i fratelli in prigione, diffondete l’informazione: bisogna bloccare le passeggiate a partire dal 19 marzo. Grazie, e non dimenticatevelo: l’unione fa la forza, insieme ci riusciremo.


Non parlano dei detenuti, con la sporcizia delle prigioni, il virus non se ne andrà cosi’. Sono tutti insieme isolati. Si, si, è pericoloso per i fratelli e le sorelle rinchiusi/e… Bisogna che ci sia un cazzo di sindacato o non so cosa, che facciano qualcosa.

Liberate un po’ le prigioni da questo sovraffollamento carcerario!

Per prima cosa vogliamo che i secondini siano controllati a ogni ingresso in prigione, perché ci fa paura; ne parlavamo tutti giù. Almeno la febbre, prima di ogni ingresso in carcere; perché sono loro che ce lo trasmetteranno. Tutti quelli che entrano in prigione, anche loro che vengano controllati all’ingresso, con un registro… e che sblocchino i colloqui almeno! E se davvero, per ragioni sanitarie, non possono sbloccarli, che diano del sapone a tutti quanti… che trovino una soluzione. Perché vegliamo vedere le nostre famiglie, ci sono i nostri panni da lavare… ci sono tante cose da fare, in effetti. Fategli vedere [i video]! Perché non va bene, quello che hanno fatto ieri, le Elac [le équipe locali di rinforzo e controllo]! E alla fine, ora, hanno fatto dei trasferimenti punitivi, in piena notte, hanno pestato dei ragazzi. Li hanno inc… nelle loro celle… Lascia stare, sono dei bastardi!

Contro la paura e il controllo scoppia la rivolta nelle carceri italiane

da https://mars-infos.org/contre-la-peur-et-le-controle-la-4876

Per ritornare sulla rivolta in corso nelle carceri italiane

Dopo diverse settimane la gestione d’emergenza dell’epidemia di coronavirus si è estesa a tutta l’Italia, partendo dalla creazione di zone rosse sempre più vaste situate sopratutto nel nord. Qui il governo ha testato poco a poco misure sempre più radicali di restrizione della libertà: interdizione di eventi e manifestazioni pubbliche, di manifestazioni religiose e civili (compresi i funerali), chiusura dei cinema, delle palestre e dei supermercati, coprifuoco per i bar, nessun ricovero negli ospedali pubblici salvo che per i casi urgenti, chiusura delle scuole e delle università. Col pretesto di proteggere meglio la popolazione e impedire il contagio, tutte le forme di socialità sono state limitate o completamente vietate per legge.

L’8 Marzo il presidente del consiglio dei ministri Giuseppe Conte firma l’ennesimo decreto che vieta tutte le manifestazioni pubbliche o gli assembramenti e tutti gli spostamenti in entrata o in uscita e all’interno della Lombardia e delle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro et Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia. Se l’isolamento e il controllo diventano via via più duri all’esterno, la situazione si fa insopportabile all’interno delle carceri dove, già da due settimane, i colloqui e le attività complementari (lavoro, socialità, permessi…) sono interrotti fino a nuovo ordine, col pretesto di contrastare meglio il contagio nelle prigioni, sopratutto per proteggere i secondini. Col decreto dell’8 marzo, l’interdizione è generalizzata: stop ai colloqui, niente semilibertà né permessi speciali, tutto ciò fino al 31 maggio. L’interdizione dei colloqui, che già normalmente si svolgono nello stress, con le code davanti alle prigioni nell’attesa di poter rientrare e sottomettersi all’umiliazione della perquisizione, significa la privazione di ogni forma di contatto con l’esterno e una condizione di isolamento quasi totale. Ciò significa anche la privazione della possibilità di avere accesso a prodotti e beni di base (cibo, vestiti, soldi…) che sono di importanza fondamentale per la vita in carcere. Questa misura nelle ore che seguono al suo annuncio risveglia la rabbia dei detenutx e dei loro parenti.

Le prime rivolte di fronte a questa situazione scoppiano nella serata di sabato 7, alla diffusione pubblica della versione integrale del decreto in corso di convalida. È a Salerno e Napoli, nelle due carceri della città, Secondigliano e Poggioreale, che i detenutx salgono sui tetti e delle intere sezioni sono distrutte. La risposta delle istituzioni penitenziarie arriva con la chiusura dell’acqua, dell’elettricità e l’intervento in massa di forze dell’ordine e la violenza della polizia.

Fuori dalle prigioni nel frattempo arrivano i familiari e i solidali, per gridare la loro solidarietà ai prigionierx in lotta e bloccare la strada affinché la loro voce sia ascoltata. La rivolta si espande molto velocemente, nella serata di domenica 8 si contano 20 prigioni in rivolta, poi 27 nella notte, più di 30 nella giornata di lunedì 9. Davanti a ciascuna delle prigioni insorte gruppi di familiari e persone solidali si raggruppano, dappertutto si vede levarsi il fumo e arrivano le grida “Libertà!Amnistia!”. Gli elicotteri sorvolano gli edifici in fiamme, fin quando in diverse prigioni le squadre antisommossa e i GOM (equivalenti delle ERIS) si preparano a entrare e ristabilire l’ordine a colpi di manganello.

Nella prigione di Sant’Anna, a Modena, nel centro-Italia, la sommossa comincia domenica nel primo pomeriggio. Secondo le informazioni che arrivano dall’interno, i detenutx si sarebbero barricati e avrebbero incendiato diversi edifici, obbligando il personale (guardie e infermieri) a uscire. Si sente dire che l’ufficio di immatricolazione è stato incendiato… Poi la repressione arriva ed è tra le più violente. I parenti riuniti davanti alla prigione raccontano di aver visto le guardie condurre fuori dei detenutx ammanettati colpendoli e di aver sentito degli spari. Ottanta detenutx sono trasferitx, numerosi altri condottx all’ospedale, di cui molti in rianimazione. Secondo le ultime notizie sette o più probabilmente otto detenuti avrebbero perso la vita durante la sommossa o dopo il loro trasferimento. Secondo la stampa ufficiale si tratterebbe di “overdose” di farmaci che i prigionieri avrebbero rubato in un assalto all’infermeria durante la rivolta. Due altri prigionieri sarebbero morti per la stessa ragione nel carcere di Verona (Veneto) e Alessandria (Piemonte) il 9 e altri tre il 10 mattina nella prigione di Rieti. Si avverte bene la paura dei giornalisti benpensanti, che cercano di screditare le rivolte all’interno senza riportare le rivendicazioni politiche dei prigionierx: amnistia e libertà per tuttx.

Ma più la stampa borghese e lo Stato tentano di soffiare sul fuoco della rivolta per spegnerlo, più esso si espande nelle altre regioni. A Pavia la sera del 7 dei prigionierx in rivolta riescono a prendere le chiavi ai secondini e a liberare gli altri detenutx, poi a prendere in ostaggio un secondino e il comandante della polizia penitenziaria. Anche qui i rivoltosi appiccano il fuoco. In ogni nuova rivolta dei prigionierx tentano di evadere e qualche volta perfino ci riescono, per esempio a Palermo, a Frosinone e a Foggia, dove 70 persone scappano e l’intervento dei militari non può nulla: 20 persone sono riacchiappate ma 50 sono ancora in libertà, gli si augura buona fortuna.

Le cifre che iniziano a circolare parlano di 300 detenutx evasx di cui solamente una trentina ripresi.

Da sud a nord le prigioni non smettono di bruciare, lunedì mattina è il turno di Milano, Bologna, Lecce e molte altre. Il governo ha dichiarato tutta l’Italia “zona rossa” e continua il silenzio della direzione dell’Amministrazione Penitenziaria. La repressione avanza ma la solidarietà dall’esterno non si lascia scoraggiare: in molte città, davanti alle prigioni, parenti e solidali gridano il loro incoraggiamento e bloccano le strade per impedire gli spostamenti di secondini e militari. A Bologna i detenutx prendono il controllo della prigione, mentre le forze dell’ordine tentano di disperdere i solidali che manifestano in massa all’esterno. A Melfi (Basilicata), gli insortx tengono in ostaggio un gruppo di secondini. A Milano, dopo San Vittore, è il turno delle prigioni di Opera e Bollate, a Roma dopo la prigione di Rebibbia la rivolta esplode a Regina Coeli. Di fronte a queste resistenze la repressione si accanisce.

Noi non abbiamo bisogno di fare delle analisi delle rivolte in corso, esse parlano da sole riguardo al crollo di un sistema che imprigiona e controlla con la paura e la minaccia. Noi dobbiamo e vogliamo essere davanti a tutte le carceri per sostenere gli insortx e i loro parenti, perché di questi luoghi non restino che ceneri.

Fuoco alle galere!

Qui sotto una lista non esaustiva delle prigioni in rivolta:

Salerno (Campania)
Napoli (Campania)
Cassino e Frosinone (Lazio)
Carinola (Campania)
Frosinone (Lazio) + evasioni
Modena – 8 detenuti morti
Poggioreale – Napoli
Secondigliano – Napoli
Vercelli (Piemonte)
Rebibbia – Roma
Bari (Puglia)
Alessandria (Piemonte) – 1 detenuto morto
Palerme (Sicilia) + evasioni
Brindisi (Puglia)
Ariano Irpino (Campania)
Cremona (Lombardia)
Pavia (Lombardia)
Genova (Liguria)
Reggio Emilia (Emilia Romagna)
Barcellona Pozzo di Gotto (Sicilia)
Trani (Sicilia)
Augusta (Sicilia)
Foggia – (Puglia) + evasioni
Verona – (Veneto) 1 detenuto morto
San Vittore – Milan (Lombardie)
Bergamo (Lombardia)
Matera (Basilicata)
La Spezia (Liguria)
Larino (Molise)
Lecce (Puglia)
Rieti (Lazio) – 3 detenuti morti
Vallette (Piemonte)
Dozza – Bologna (Emilia Romagna)
Santa Maria Capua Vetere (Campania)
Opera – Milano (Lombardia)
Bollate – Milano (Lombardia)
Regina Coeli – Roma

La sconfitta del Labour – Riflessioni sul socialismo democratico

Fonte: https://libcom.org/blog/labour-defeat-thoughts-democratic-socialism-21122019

di AngryWorkersWorld’s blog

Il “socialismo democratico” è attualmente il principale modello alternativo nel progetto di una trasformazione del capitalismo e quindi, in quanto tale, dobbiamo prenderlo sul serio, nonostante il nostro profondo disaccordo con esso. Con socialismo democratico intendiamo l’idea che usando le due gambe del movimento operaio organizzato – i sindacati e un partito socialista al governo – possiamo camminare passo dopo passo verso il socialismo. Il socialismo è definito come una società dominata dalla proprietà nazionalizzata o cooperativa dei mezzi di produzione e della rappresentanza dei lavoratori e delle lavoratrici quando si tratta della gestione di queste unità economiche. La strategia generale del socialismo democratico può essere sintetizzata brevemente.

L’idea è quella di fare una campagna per la vittoria elettorale di un partito socialista basato su un programma economico di parziale ri-nazionalizzazione di un numero limitato di settori chiave e sulla creazione di un settore più ampio di “economia solidale” formato da società cooperative o municipali che possano garantire una partecipazione più decentralizzata di lavoratori e lavoratrici. Insieme alle attività elettoralistiche, i socialisti democratici incoraggiano il sostegno della classe lavoratrice o delle organizzazioni dei “movimenti sociali” al di fuori del parlamento, al fine di disporre di una base di potere economico per esercitare pressione sia sul capitale che sul governo. Una volta che il partito è al potere, la strategia deve creare una dinamica tra a) cambiamenti istituzionali strutturali decretati dal governo che crei più spazio per la partecipazione delle organizzazioni della classe operaia (le cosiddette riforme non riformiste) e b) pressioni dal basso per difendere ed estendere questi spazi. Un esempio potrebbe essere quello di attuare riforme del settore bancario, che limitino la portata della speculazione finanziaria e dell’elusione fiscale e allo stesso tempo offrano un trattamento preferenziale alle “imprese di proprietà comune” quando si tratta di crediti commerciali. Mentre ciò accade a livello governativo, i sindacati delle aziende che potrebbero tentare di minare la riforma minacciando di disinvestire dovranno aumentare la pressione sulla gestione. I miglioramenti materiali della vita dei lavoratori e delle lavoratrici e il rafforzamento dei sindacati dovrebbero creare una maggiore unificazione all’interno della classe lavoratrice – una sorta di trampolino verso il socialismo.

Ci sono due cuori pulsanti in questo progetto. Vediamo moltx compagnx, stufx dell’isolamento sociale della cosiddetta “politica rivoluzionaria”, attrattx dai dibattiti pratici e strategici del progetto socialista democratico, che possono essere intellettualmente stimolanti. Questx compagnx possono provenire da organizzazioni anarchiche classiche o comunque “rivoluzionarie” o possono essere statx politicizzatx durante [la militanza] nei “movimenti sociali” orizzontali ma inefficaci e spesso autoreferenziali dell’era anti-globalizzazione o di Occupy. Comprendiamo la voglia di questx compagnx di “fare la differenza” e di pensare a passi a breve, medio e lungo termine verso il cambiamento sociale. Possiamo vedere molte persone della classe operaia che percepiscono i limiti dell’attività sindacale e che sperano che il Labour al governo possa trasformare i sindacati in potenti organizzazioni dei lavoratori. Vogliamo parlare al cuore di questx compagnx. Altra cosa è la solita palude fatta di politicanti all’interno di queste organizzazioni, dai DSA a Podemos al Labour di Corbyn, dove ci sono i soliti scontri e giochi di potere.

La direzione del progetto socialista democratico nel Regno Unito non è determinata principalmente dalle sue prospettive politiche, ma dalla sua composizione di classe. La nuova sinistra laburista è composta da tre forze principali: un settore di professionisti ambiziosi (anche precari) che sentono che secondo il loro stato di istruzione dovrebbero avere più voce in capitolo nella società. Vogliono anche una buona vita per “la classe lavoratrice”, ma il loro approccio è tecnocratico: persone istruite ed esperti progressisti dovrebbero decidere come vanno le cose, non i banchieri e l’élite parassitaria. Formano un’alleanza con la seconda forza principale, la burocrazia sindacale. L’apparato sindacale consente ai nuovi professionisti di parlare in nome dei lavoratori e delle lavoratrici e i capi sindacali possono estendere il loro potere nella classe politica. Il terzo elemento sono le parti più emarginate della classe lavoratrice che hanno dovuto subire anni di tagli e sanzioni. Il Labour guidato da Corbyn ha dato loro speranza, ma la macchina del partito finirà per strumentalizzare il loro status di vittime.

Potremmo scrivere un lungo elenco di punti di disillusione per il Corbinismo, che hanno avuto luogo anche prima del disastro elettorale. Il secondo leader dell’ala “di sinistra dura” del partito, John McDonnell, si sentì obbligato a sdoganare pubblicamente il criminale di guerra Tony Blair. Le persone che hanno votato con Blair per invadere l’Iraq sono presentate e ospitate come “candidati di sinistra”, come il deputato David Lammy. Gli attivisti alla conferenza del partito del 2017 hanno appreso che Momentum [l’organizzazione laburista che racchiude la sinistra del partito ascesa alla guida del Labour con Jeremy Corbyn NdR] poteva essere usato come braccio disciplinare, impedendo che i delegati votassero su questioni controverse, come il referendum sulla Brexit. Le attività nelle sezioni locali di partito sono in gran parte dominate da giochi di potere meschini e da formalità noiose.

Durante l’inverno 2019/20 si è scoperto che l’unica cosa che il Corbinismo è stato in grado di ri-nazionalizzare è la sinistra del partito. Mentre assistevamo a una delle più grandi ondate di proteste della classe lavoratrice – dall’Ecuador al Cile, dal Sudan all’Iran – la sinistra nel Regno Unito era completamente concentrata su tutto ciò che Corbyn o Johnson stavano dicendo in TV. La ristretta visione nazionalista sarebbe peggiorata se i laburisti fossero entrati nel governo: un socialista democratico avrebbe sostenuto mobilitazioni indisciplinate della classe lavoratrice, come i gilet gialli o le proteste in Iran, sotto un nuovo e fragile governo laburista? Possiamo provare ad adornare il “Corbinismo” con ogni tipo di armamentario dall’aspetto radicale e pensare nuovi meme, dal “corbinismo acido” al “vero comunismo di lusso” – ma alla fine abbiamo solo un partito che ci promette un aumento minimo del salario, banda larga gratuita e leggermente meno austerità. Ma il nostro obiettivo qui non è discutere di visioni utopiche, ma sottolineare le carenze interne di questa strategia politica.

1) Quella attuale non è una fase storica favorevole alla socialdemocrazia

Storicamente, la socialdemocrazia si è sviluppata durante le fasi di ripresa economica, basata su una capacità di produzione industriale nazionale relativamente forte. Ciò che affrontiamo ora è una crisi economica e un sistema di produzione internazionalizzato. Ciò limita sia l’ambito delle concessioni materiali sia le politiche economiche nazionali. In secondo luogo, la socialdemocrazia divenne principalmente egemonica nelle situazioni post-rivoluzionarie. La socialdemocrazia si basava su grandi organizzazioni all’interno della classe lavoratrice e su una classe dominante che consentiva la rappresentanza politica dei lavoratori e delle lavoratrici al fine di evitare tensioni rivoluzionarie. I comunisti di sinistra non si stancano mai di ripetere che l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale non è stata il risultato del riformismo del partito laburista, ma della contro-insurrezione dei Tory nella guerra fredda – per evitare il malcontento sociale su larga scala dopo la guerra. Ancora una volta, questa non è la situazione in cui ci troviamo oggi. Il punto principale che dobbiamo sottolineare è: affrontiamo condizioni di lotta più dure rispetto a quelle cui il socialismo democratico ci prepara. Non possiamo ignorare gli scontri quotidiani con i padroni e i loro violenti lacchè. Il socialismo democratico tende a enfatizzare eccessivamente l’autonomia della politica del governo. Nel Regno Unito la sinistra laburista ritrae il governo Thatcher e le sue “politiche malvagie” come la fonte del neoliberismo malvagio, mentre fu la crisi globale a metà degli anni ’70 che costrinse tutti i governi ad attaccare la classe lavoratrice. Non puoi votare per uscire da una cosa del genere.

2) Il socialismo democratico attuale ignora il carattere capitalista dello Stato

Le strategie socialiste democratiche si basano sul presupposto che lo stato sia al di sopra del “capitalismo” e possa quindi intervenire in esso come una forma politicamente neutra. Storicamente lo stato è emerso come il braccio violento per imporre e garantire relazioni di classe, ad esempio attraverso la definizione della proprietà privata, le leggi sui vagabondi e l’espansione militare dei mercati. Lo stato appare come una forza neutrale che è lì solo per occuparsi della legge e dell’ordine e della più ampia organizzazione della società. Ma la legge e l’ordine significano principalmente che le relazioni di proprietà che sono la base materiale per lo sfruttamento della classe lavoratrice vengono mantenute. Rendendoci cittadini, lo stato ci disarma come forza collettiva di classe. La politica statale separa la sfera della produzione sociale dalla sfera del processo decisionale sociale – dovremmo produrre il mondo, ma a parte dare un voto ogni quattro anni non abbiamo voce in capitolo su come è gestito il mondo. Materialmente l’apparato statale dipende dallo sfruttamento continuo ottenuto sia attraverso la tassazione che con il lavoro salariato.

3) Il socialismo democratico attuale fraintende il rapporto tra mercato e capitalismo

I socialisti democratici pensano che il passaggio dalla proprietà privata a quella pubblica (statale) sarà l’antidoto al capitalismo. Non vedono quindi alcuna contraddizione tra un “grande stato” e il socialismo, nonostante il fatto che l’intervento dello stato – indipendentemente da dove si trovi nello spettro politico – abbia sempre svolto il ruolo fondamentale nell’espansione, applicazione e difesa del mercato. Lo stesso processo di industrializzazione richiedeva la proprietà statale e la pianificazione economica centrale, ultimo ma non meno importante elemento per far rispettare l’ordine contro la classe lavoratrice industriale emergente. Durante questa fase non importava se la sinistra o la destra fossero al governo – la situazione sociale richiedeva una pianificazione statale su larga scala e non era una scelta politica. Inoltre, l’idea che le cooperative e la proprietà nazionale (statale) vadano di pari passo non è verificata dalla storia: il grande declino delle cooperative nel Regno Unito non è avvenuto sotto Thatcher, ma durante l’ascesa della pianificazione economica nazionale e della concentrazione nella produzione del settore durante un governo laburista degli anni ’60. La competizione tra aziende – la forma del mercato – o la formazione di monopoli è solo un’apparenza superficiale delle relazioni di classe sottostanti. Quindi non basterebbe solo “distruggere i monopoli”. È necessario un cambiamento ancora più fondamentale. Possiamo vederlo quando le relazioni di classe sono in crisi, quando i lavoratori e le lavoratrici organizzano scioperi di massa e scendono in strada. Lo stato, non importa se sia di destra o di sinistra, non ha problemi a sospendere il “libero mercato” in queste situazioni per reprimere e mantenere la società di classe. Ad esempio, dopo lo shock petrolifero degli anni ’70, non era in contraddizione che il governo di Indira Gandhi nazionalizzasse il settore minerario e bancario al fine di prevenire il collasso economico, nominasse il “socialismo” nella costituzione indiana, ottenesse il sostegno del Partito comunista e lanciasse contemporaneamente l’attacco più brutale contro gli scioperi dei ferrovieri e altri ribelli della classe operaia durante lo stato di emergenza.

4) Il socialismo democratico in pratica esorcizza la debolezza strutturale della classe lavoratrice concentrandosi sui professionisti

Gli attuali sostenitori del socialismo democratico sanno che la lotta di classe è a un basso livello, ma invece di concentrarsi sulla costruzione di nuclei organizzati all’interno della classe, si concentrano in gran parte sul reclutamento di professionisti e “attivisti”. Mentre precedenti sconvolgimenti rivoluzionari come il 1968 hanno messo in dubbio il ruolo dell'”intellettuale esperto”, l’attuale generazione lo celebra. Questo è molto ovvio per partiti come Podemos o Syriza, ma vale anche per la ripresa del Labour: la maggior parte dei nuovi membri del partito ha un’istruzione superiore e vive in aree metropolitane. Materialmente la nuova intellighenzia di sinistra si riproduce come il “l’individuo neoliberista” che finge di criticare: quasi nessuno di loro è un “intellettuale organico” forgiato nell’esistenza e nella lotta della classe operaia, la maggior parte sopravvive creando un’immagine social e accademica la cui opinione è valutata sul mercato. Sia che tu legga i “Modelli alternativi di proprietà” dai consiglieri del partito laburista, il “luxury communism” di Bastani o “Inventing the Future” di Srnicek, il soggetto principale è sempre la figura dell’attivista ben istruito e connesso in rete. Sfortunatamente questo costringe i nostri compagni socialisti democratici intellettuali a inseguire la propria stessa retroguardia. C’è un grande spazio vuoto quando si tratta della domanda su come le loro idee ben intenzionate verranno applicate e implementate. Chi imporrà la partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici se sono viste come persone che sono in grado di impegnarsi in un discorso politico solo durante le elezioni? L’assenza di una strategia radicata nella classe lavoratrice porta quindi alla creazione di un’icona banale e kitsch del “popolo” – una massa di vittime oneste che hanno bisogno di appartenenza culturale e leadership politica.

5) La comprensione del socialismo democratico della “partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici” è formale e dunque imperfetta

Critichiamo i pensatori socialisti per aver visto la pianificazione statale essenzialmente opposta al capitalismo, sebbene di fronte alla storia la maggior parte di loro si affretterebbe ad aggiungere che la nazionalizzazione e la pianificazione devono andare di pari passo con la “democratizzazione dell’economia”. Il problema è che la loro comprensione della “partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici” è in gran parte formale, ad es. proposta sotto forma di quote dei lavoratori e delle lavoratrici nelle imprese, delegati sindacali nei consigli di amministrazione o diritto di voto quando si tratta di decisioni di gestione. Il suddetto background di classe di molti dei nuovi intellettuali socialisti contribuisce anche alla comprensione limitata – o alla reale traiettoria – di ciò che il controllo dei lavoratori e lavoratrici richiederebbe. La loro comprensione della classe è ampiamente economicistica – definita dal fatto che tutti i lavoratori dipendono dai salari. Questa comprensione della classe non si concentra sulla forma effettiva del processo di produzione e sulla sua divisione gerarchica del lavoro (lavoratori e lavoratrici intellettuali e manuali, lavoro produttivo e riproduttivo ecc.). Nelle loro politiche, la loro comprensione della “proprietà” dei mezzi di produzione e della “partecipazione democratica” dei lavoratori è formale. Solo perché i lavoratori e le lavoratrici o i sindacati detengono il 50% o il 100% delle azioni non significa molto. Se i lavoratori e le lavoratrici sono ancora costrette a sgobbare tutto il giorno, eseguendo solo una quantità limitata di compiti, questo non permetterà loro di comprendere, e quindi dire, come un’azienda o un settore sono effettivamente gestiti. Puoi dare loro un voto in un consiglio di amministrazione dell’azienda, ma saranno coloro che avranno una visione più ampia e più tempo – a causa del loro status professionale di intellettuali (ingegneri, scienziati ecc.) – che prenderanno le decisioni. Il “voto” sarà ridotto a un processo feticistico per confermare il monopolio delle conoscenze degli esperti. Come abbiamo visto nella storia, i lavoratori e le lavoratrici sopravvivono alle peggiori sconfitte inflitte dal nemico di classe. Ma i traumi più profondi e duraturi vengono inflitti quando l’oppressione e lo sfruttamento vengono attuati a loro nome – lo “stato operaio” del regime stalinista non apparteneva formalmente anche ai lavoratori e alle lavoratrici? Un semplice cambiamento nel governo o un passaggio dalla proprietà privata a quella statale non toccherebbe il nucleo di ciò che definisce la “classe lavoratrice”, il suo potere o la mancanza di potere.

6) I sindacati e il partito dei lavoratori non sono la classe operaia

La prospettiva socialista democratica si basa sull’idea di una trasmissione tra la classe lavoratrice e lo stato attraverso l’interazione delle due principali “organizzazioni dei lavoratori e delle lavoratrici” – il partito parlamentare e i sindacati. Questa prospettiva si basa su una visione idealistica o preistorica dei sindacati come “rappresentazione democratica” della classe. Molti esempi storici (Labour-TUC nel Regno Unito nel 1926 o negli anni ’70, CC.OO in Spagna dopo Franco, Solidarnosc in Polonia dopo il 1981, PT-CUT in Brasile di recente ecc.) dimostrano che durante il momento più intenso delle ondate di lotta, il collegamento sindacale-governativo diventa l’ostacolo più pesante per l’iniziativa della classe lavoratrice. Durante gli ultimi anni in cui siamo stati rappresentanti sindacali, abbiamo avuto la possibilità di conoscere un bel po’ dei meccanismi interni di due importanti sindacati, entrambi fedeli al partito laburista. L’idea del socialismo democratico che queste organizzazioni siano la forza principale nel “tenere sotto pressione il governo e i suoi nemici” è totalmente illusoria. Il più delle volte possiamo vedere come il partito e la leadership sindacale strumentalizzino le lotte dei lavoratori e lavoratrici per i propri fini, ad es. i recenti “scioperi” simbolici al McDonald’s di Londra sono stati chiamati dalla dirigenza sindacale in un momento in cui si adattavano al circo della campagna laburista, ma in realtà hanno minato il lavoro organizzativo del sindacato. Molte delle riforme proposte che il Labour voleva introdurre, ad es. la contrattazione collettiva settoriale e i contratti, faciliterebbero la pianificazione economica per i più grandi capitalisti e rafforzerebbero la presa della leadership del sindacato centrale piuttosto che aumentare il potere indipendente dei lavoratori e delle lavoratrici. I contratti regionali e settoriali in Germania sono il miglior esempio.

7) Concentrarsi sulla “politica di palazzo” è uno spreco di energie

La leadership del socialismo democratico tende a cercare di aggirare i complessi problemi quotidiani delle relazioni di potere tra lavoro salariato e capitale e si concentra invece sull’avanzamento elettorale. Ma le questioni elettorali tendono a diventare un andare avanti e indietro. La politica governativa del socialismo del XXI secolo in America Latina (Chavez, Morales, Lula ecc.) e le sue debolezze strutturali hanno creato una diffusa disillusione. La sottomissione del governo Syriza in Grecia al sistema e ai suoi rappresentanti ha chiuso, piuttosto che aprire spazi per il movimento di classe contro l’austerità. Le lotte di potere interne a Podemos o a Momentum hanno creato cinismo e stanchezza. Adottando una strategia di voto per il “male minore” e chiedendo alle persone di votare per Macron per evitare Le Pen, la sinistra ha minato la propria posizione nella ribellione antigovernativa dei gilet gialli. Il clamore mediatico del corbinismo, l’impegno con le tattiche elettorali ecc. deviano l’attenzione dalle lotte quotidiane per l’autodifesa della classe lavoratrice. C’è anche un fraintendimento del parlamentarismo: solo perché un partito politico è composto da lavoratori e lavoratrici, ciò non rende la politica del partito e il parlamento una forma di politica della classe lavoratrice. Il parlamentarismo è l’esatto contrario della politica della classe lavoratrice, poiché si basa sulla cittadinanza individuale, non su relazioni collettive e pratiche. Ciò vale sia per il parlamentarismo nazionale sia per il “parlamentarismo light” sotto forma di “municipalismo radicale” (campagna per candidati indipendenti alle elezioni locali) che alcuni attivisti propongono. Il miglior esempio per descrivere i limiti della politica elettorale locale può essere trovato negli Stati Uniti. L’elezione di militanti del movimento di liberazione nera dopo il suo declino alla fine degli anni ’70 ha significato che in città come Chicago e Baltimora, i sindaci neri hanno dovuto applicare misure di austerità e di polizia contro le persone povere negli anni ’80, che hanno ulteriormente indebolito e diviso il movimento mentre hanno stabilizzato il sistema: chi meglio per far applicare tagli contro le persone nere povere delle città, che un sindaco nero? Mentre la storia ci fornisce ampi esempi, nel presente appaiono anche delle crepe. Se osserviamo Barcelona En Comu, la piattaforma dei cittadini che ha vinto le elezioni locali a Barcellona ed eletto la nuova sindaca, Colau, possiamo vedere vari momenti di tensione tra la classe lavoratrice locale e il nuovo governo locale “amico dei cittadini”, ad es. quando il governo locale ha agito contro i lavoratori e lavoratrici dell’aeroporto e della metropolitana in sciopero nel 2017. I/le compagnx spagnolx hanno anche notato che la “ridistribuzione” degli stipendi dei politici locali in piattaforme come Barcelona En Comu non ha favorito una maggiore equità interna ma ha creato un rafforzamento del ceto politico di movimento, un nuovo livello di attivisti professionisti con tutte le contraddizioni della professionalizzazione. Un risultato di queste tensioni con la classe lavoratrice locale è che Barcelona En Comu cerca di incanalare un po ‘del malcontento nelle acque nazionaliste catalane, come se l’indipendenza catalana avesse molto di più da offrire ai lavoratori e alle lavoratrici rispetto a un’altra linea di divisione all’interno della nostra classe. Ora affronteremo lo stesso problema in Scozia.

8) Il potere parlamentare e il potere statale sono due cose diverse

Supponiamo che un partito socialista riesca a entrare nel governo. L’idea di una strada parlamentare verso il socialismo trascura il fatto che “prendere il controllo del governo” e “avere il potere statale” sono due cose completamente diverse. Vi è una scarsa analisi dell’attuale struttura materiale e di classe sociale dello stato (amministrazione, funzionari pubblici, esercito) e della sua indipendenza dalla democrazia parlamentare; ad esempio, nonostante i cambiamenti nella sua forma esterna il nucleo materiale e la traiettoria dell’apparato statale russo (cioè strati sociali di persone impiegate nello svolgimento di funzioni statali) si è riprodotto dai tempi del regime zarista, attraverso la rivoluzione bolscevica, il terrore stalinista, Glasnost e Putin. Se vogliamo guardare più vicino a casa nostra [nel Regno Unito NdR], anche il riverito Tony Benn avrebbe dovuto capire (quando era Segretario di Stato per le industrie a metà degli anni ’70) come la lotta contro l’ala destra del partito laburista fosse un gioco da ragazzi rispetto alla lotta contro i “suoi” dipendenti pubblici.

9) Concentrandosi sullo scenario nazionale e sullo stato, il socialismo democratico tende a sottovalutare la relazione globale del capitale

Supponiamo che un partito socialista non solo riesca a entrare nel governo, ma riesca anche a dominare l’apparato statale. A causa del fatto che lo stato nazionale è l’elemento centrale della strategia per il socialismo democratico, il progetto si confronta immediatamente con la natura globale del capitale. Livelli più elevati di tassazione e altre imposizioni comporteranno una fuga di capitali tra le società globali. Il socialismo democratico risponde a tale questione proponendo ad esempio alleanze con le piccole imprese, come una sorta di fronte nazionale produttivo unito contro le multinazionali e la finanza. Abbiamo visto più volte come questa necessaria alleanza sposti il punto di vista ideologico verso il “patriottismo di sinistra” e altre stronzate. Se un governo laburista tentasse effettivamente di aumentare la tassazione e ridistribuire le attività, il risultato più probabile sarebbe una svalutazione della sterlina e un aumento dell’inflazione a causa di un deficit commerciale, che non può essere facilmente contrastato, data la composizione dell’agricoltura, del settore energetico, della manifattura. La nuova leadership della sinistra laburista – addestrata all’attivismo e al discorso politico e aiutata dalla sua influenza all’interno della leadership sindacale – sarà il miglior veicolo per dire ai lavoratori e alle lavoratrici di “lasciare un po ‘di tempo al nostro governo laburista”, per spiegare che “le società internazionali si sono alleate contro di noi” e che, nonostante l’inflazione, i lavoratori e le lavoratrici dovrebbero mantenere la calma e andare avanti; le lotte salariali saranno dichiarate eccessive o divisive o di coscienza economica ristretta. Abbiamo visto come, ad esempio, il governo Chavez in Venezuela abbia organizzato i “poveri urbani” contro gli scioperi delle/degli insegnanti che hanno richiesto salari più alti, denunciandoli come avidi e quindi responsabili della povertà di altre lavoratrici e lavoratori.

10) La lotta di classe non si sviluppa gradualmente

L’attenzione del socialismo democratico alla campagna elettorale e all’organizzazione ufficiale dei sindacati porta a un giudizio errato su come si sviluppa la lotta di classe. Storicamente le lotte di classe si sono sviluppate a passi da gigante – in una dinamica molto più complessa tra “organizzazione” e forze e fattori esterni. La convinzione che la lotta di classe si basi sull’organizzazione e la mobilitazione “passo dopo passo” spesso porta alla presenza di militanti di sinistra che ostacoleranno la futura ondata di lotta. A breve termine, coinvolgere i “leader della comunità” o il tuo parlamentare locale o fare affidamento sul sindacato o sull’apparato del partito per mobilitare o incoraggiare colleghi e colleghe lavoratori e lavoratrici, potrebbe sembrare utile. Ciò che inizialmente sembrava un trampolino di lancio si rivela un ostacolo: ad esempio, i mediatori [tra lavoratori e lavoratrici e padroni NdR] che si frappongono alle lotte o le illusioni create da forme esclusivamente simboliche di lotta. La sfida è trovare forme di lotta “passo dopo passo” che aiutino al momento, ma non pongano problemi a lungo termine. Nel loro bisogno di creare una trasformazione dell’azione delle lavoratrici e lavoraori (scioperi controllati, ecc.) sul campo in “pressione economica” per sostenere le politiche statali, gli organizzatori socialisti tendono ad avere paura del carattere spesso caotico e apparentemente spontaneo delle lotte. Corrono il pericolo di non comprendere che queste situazioni di rottura della normalità sono precisamente le situazioni in cui i lavoratori e le lavoratrici devono affrontare la loro responsabilità di riorganizzare la riproduzione sociale. Questi momenti sono gli snodi cruciali e i momenti di apprendimento pratico necessari in cui cambiamo le cose e noi stessi. Soffocare questo significa uccidere la partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici.

11) Il socialismo democratico e la sua paura della lotta di classe incontrollata diventa il becchino della lotta perché indebolisce l’attività necessaria della classe lavoratrice per difenderla

Il fatto che il più grande partito socialista della storia – la SPD tedesca – accettasse per la prima volta di sostenere il governo tedesco nei crediti di guerra del 1914 e reprimesse i moti rivoluzionari dei lavoratori e delle lavoratrici dopo la guerra non fu un atto di tradimento. Ciò faceva parte di una strategia di lungo termine per ottenere il potere governativo e riformare l’economia nazionale – per cui le “avventure” rivoluzionarie dei lavoratori rappresentavano un rischio. Dopo aver indebolito l’autorganizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici, la SPD ha dovuto affrontare la crisi globale del 1929, che ha limitato la sua strategia economica nazionale. La combinazione di questi due fattori – una classe operaia indebolita dalla tattica del governo e dall’impotenza nei confronti del capitale globale – ha portato la SPD ad aprire le porte alla svolta reazionaria più brutale nel 1933. Un altro esempio è il governo socialdemocratico sotto Allende in Cile nel 1973. Questo caso ci mostra come il rapporto tra movimenti della classe lavoratrice e governi di sinistra sia più complicato del quadro spesso meccanicistico della forza (movimento) e del contenitore-stabilizzatore (governo). Possiamo vedere che le prime riforme sociali furono introdotte da un governo di destra, che non riuscì a contenere la lotta di classe. Quando Allende subentrò, ebbe difficoltà a tenere sotto controllo le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici e delle persone povere, lotte che avrebbero potuto essere incoraggiate dal nuovo governo di sinistra. Allende temeva che le forze imperialiste locali dell’alta borghesia e quelle internazionali avrebbero usato il conflitto sociale come scusa per l’intervento. I disordini nell’industria hanno anche creato carenze che hanno minacciato di destabilizzare ulteriormente il governo. L’andamento dei prezzi a livello internazionale, in particolare dei prodotti minerari, ha limitato le possibilità di concessioni materiali nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici in sciopero. Le politiche di Allende nei confronti dei disordini della classe lavoratrice – che andavano dalle concessioni alla repressione militare – minarono e disarmarono letteralmente la classe operaia. Quando l’esercito locale, appoggiato dalla CIA, cominciò lo sterminio, la resistenza era già indebolita. Questo esempio storico sembra irrilevante per la situazione del Regno Unito o degli Stati Uniti di oggi, ma una volta che guardiamo oltre gli obiettivi a breve termine della tattica elettorale, affrontiamo ancora le stesse dinamiche fondamentali.

12) La strategia deve partire dalle lotte reali e dalle potenzialità e difficoltà reali imposte dal processo di produzione sociale

Abbiamo bisogno di strategie e abbiamo bisogno di organizzazione. Dobbiamo iniziare analizzando le condizioni e le relazioni reali della nostra classe: come è organizzata la produzione oggi, come è organizzata oltre i confini aziendali o nazionali, come siamo divisi come lavoratori e lavoratrici dal lavoro intellettuale e dalle conoscenze e come possiamo superare queste divisioni? Come possiamo avvalerci del fatto che i lavoratori e le lavoratrici cooperano lungo le filiere, spesso usando le moderne tecnologie di comunicazione per sviluppare nuove forme di organizzazioni transnazionali di lotta? In che modo oggi la nostra classe guida le sue lotte, dove utilizziamo i potenziali della produzione moderna e dove non riusciamo a usarli a nostro favore? In che modo le lotte nei luoghi di lavoro e nei settori industriali più grandi si collegano ad aree o regioni in cui i lavoratori e le lavoratrici sono più atomizzate? Dobbiamo creare una dinamica tra il potere industriale e sul posto di lavoro e l’inventiva delle persone della classe operaia per organizzare la loro sopravvivenza, sia sotto forma di cooperative, hack-lab, squat o progetti di comunità autogestiti. All’interno di queste lotte dobbiamo sviluppare l’organizzazione e la strategia per immaginare un controllo coordinato dei mezzi centrali di produzione, della loro difesa e della loro socializzazione oltre i confini nazionali. Ciò non accadrà nel giorno X di nostra scelta – ciò accadrà con la crescente disfunzionalità di questo sistema a cui contribuiranno le nostre lotte per la sopravvivenza. Il socialismo democratico e le sue strategie non saranno adeguati per la vastità, la durezza e la gioia di ciò che ci aspetta come classe lavoratrice.

Abbiamo visto che la strategia del socialismo democratico si scontra con le due principali forze storiche del capitalismo. In primo luogo, concentrandosi sull’arena nazionale si scontra con il carattere globale del capitale. In secondo luogo, riducendo la questione dello sfruttamento alla questione se i lavoratori e le lavoratrici operano sotto il comando privato o pubblico, la sua strategia si scontra con il sostanziale malcontento della classe lavoratrice. Un governo socialista sarebbe costretto a indebolire la propria base di potere per far fronte al continuo malcontento (“Mantieni la calma e concedi un po’ più di tempo al tuo governo dei lavoratori e delle lavoratrici”). A lungo termine questo crea disillusione e la base materiale per una svolta reazionaria. Questa è la lezione della storia.

“Un violador en tu camino”: lezioni della rivoluzione femminista cilena

Fonte: https://kohljournal.press/Feminist-Chilean-Revolution

di Camila Stipo

Il 18 ottobre 2019 il Cile ha visto l’inizio di una grande rivolta sociale, ora ribattezzata rivoluzione da moltx. Il suo slogan, “no son 30 pesos, son 30 años” (non 30 pesos ma 30 anni), mostra che il problema non era nell’aumento di 30 pesos della tariffa del trasporto pubblico; piuttosto, è indicativo di una questione profondamente radicata con i 30 anni che seguirono la fine della dittatura, in cui il governo non riuscì a produrre cambiamenti reali e ad affrontare le forti disuguaglianze tra le classi sociali. Che invece sono peggiorate.

Pertanto, e dopo alcune settimane di agitazione causate dalle evasioni di massa delle tariffe di trasporto pubblico da parte degli studenti delle scuole secondarie, il 18 ottobre sono scoppiati incendi in diverse parti della capitale. Come risposta il governo ha imposto uno stato eccezionale e fissato un coprifuoco. Queste misure non sono bastate a reprimere i disordini sociali e massicce proteste hanno preso il sopravvento. Gli scontri con le forze di sicurezza hanno portato a notizie preoccupanti da parte di Amnesty International e Human Rights Watch, con entrambe le organizzazioni che denunciano gravi violazioni dei diritti umani. Tra questi, le immagini che avrebbero attirato maggiormente l’attenzione erano quelle del danno oculare massiccio e senza precedenti causato dai proiettili antisommossa.

Col passare dei giorni e delle settimane, la violenza nelle strade si è intensificata. Nonostante il governo abbia revocato il coprifuoco dopo una settimana, gli scontri sono diventati più gravi e sono aumentati i resoconti strazianti delle torture, comprese le lesioni agli occhi. Catturate dalle telecamere dei telefoni cellulari, le operazioni irregolari della polizia sono state mostrate, in mezzo al caos e all’ingovernabilità nelle strade. È in un tale contesto che molte persone potrebbero perdere la fiducia, un sentimento accresciuto dai discorsi che mettono in guardia contro una possibile dissoluzione della democrazia. È anche in un tale contesto che la performance “un violador en tu camino” (uno stupratore sul tuo cammino) potrebbe trovare strada nella sfera pubblica.

“Un violador en tu camino” è stato creato dal collettivo femminista “Las Tesis”, originario della città di Valparaíso. Una canzone accompagnata da una semplice danza ha denunciato la violenza sessuale di cui le donne sono vittime, nonché la complicità di diverse istituzioni governative – “el violador eres tú” (lo stupratore sei tu), o addirittura “el estado opresor es un macho violador ”(lo stato oppressore è un macho stupratore). La performance ha avuto un tale impatto che è stata replicata in maniera massiccia in diverse città cilene e, ad oggi, in Perù, Argentina, Colombia, Uruguay, Messico, Spagna, Germania, Australia, Stati Uniti, Regno Unito, Francia , Canada, Grecia, Libano, India, Turchia, tra le altre aree geografiche.

Il forte impatto della performance non si limita alla sua portata internazionale. L’intervento è riuscito a annullare il clima di disperazione e violenza che aveva conquistato il Cile, anche se solo temporaneamente. In questo senso, “un violador en tu camino” è stato un canale di protesta sociale, riposizionando al contempo le richieste femministe al centro del dibattito.

È importante sottolineare che un’ondata femminista prende forma in Cile dal 2016, senza precedenti nella sua visibilità. Con slogan di massa come #Niunamenos (non più una morte per femminicidio) e il rapido aumento dei gruppi femministi intorno alle urgenti problematiche delle molestie per strada, della violenza di genere e della legalizzazione dell’aborto, tra gli altri, gli ultimi tre anni hanno visto una proliferazione di donne che si organizzano in Cile.

Nonostante il valore e il significato conferiti alla sommossa del 2019, pare esserci anche un lato oscuro: non solo essa avrebbe offuscato le richieste femministe, ma avrebbe anche messo a rischio le donne. La violenza sessuale esercitata dalle forze di sicurezza statali che hanno colpito soprattutto le donne (come affermato nel rapporto Human Rights Watch) è stata accompagnata dalla ripresa della disputa sullo spazio pubblico, minando in tal modo ciò che le donne avevano faticosamente rivendicato nel corso degli anni. Per molte donne il pericolo di essere semplicemente nelle strade ha generato l’ansia di uscire e partecipare all’organizzazione sociale e alle proteste. Inoltre molti uomini accusati di violenza di genere partecipano regolarmente a quegli spazi e momenti di azione collettiva, che alienano le donne che hanno subito l’abuso, che scelgono la non partecipazione piuttosto che essere nello stesso spazio dei loro aggressori.

Oltre a quello condotto da HRW, pochi studi supportano queste affermazioni. Ma le reti di organizzazioni di donne hanno messo questo problema sul tavolo per anni. Innumerevoli donne hanno presentato denunce in diversi momenti e incontri avviati da organizzazioni femministe. Ciò fa eco alle esperienze di altri processi e contesti rivoluzionari, in particolare, come sostengo in seguito, quelli sviluppati nelle regioni del Medio Oriente e del Nord Africa.

Come documentato da vari autori in diverse aree geografiche del MENA non è raro che i processi rivoluzionari rimandino le esigenze delle donne, considerandole richieste di secondo ordine o “specialistiche”. Tuttavia non solo queste richieste rappresentano quelle di almeno metà della popolazione, ma si estendono a una visione critica della cittadinanza politica. Ad esempio, una delle attuali richieste rivoluzionarie in Cile si rivolge a un sistema pensionistico privatizzato che non è in grado di garantire pensioni decenti alla popolazione pensionata. Sebbene ciò influisca sulla grande maggioranza de* lavoratori e lavoratrici cilene, il problema è particolarmente critico quando si tratta delle pensioni delle donne, poiché molte di loro hanno dedicato la propria vita al lavoro di assistenza domiciliare, impedendo loro di accedere ai risparmi di sicurezza sociale e a un piano pensionistico in grado di coprire le proprie esigenze.

In questo senso, l’intervento di La Tesis è un assemblaggio del contesto politico femminista. In primo luogo, si tratta di una forma non violenta di protesta, senza che sia meno diretta, accusatoria e decisiva. Attraverso la creatività, interrompe l’angoscia delle rivoluzionarie femministe causata dalla violenza nelle strade, mentre affina la consapevolezza dei mali sociali che devono essere affrontati. “El estado opresor es un macho violador” (lo stato oppressore è un macho stupratore) funziona a doppio livello. Da un lato, denuncia la complicità dello stato con la violenza di genere. D’altra parte, si riferisce metaforicamente alla cittadinanza come a una donna maltrattata che non può e non deve più sottostare alla violenza del suo violentatore.

L’intervento ha anche aperto uno spazio per l’organizzazione femminista attiva, con migliaia di persone che hanno rivisitato la performance. Per partecipare, è necessario comunicare, provare, concordare e incontrarsi faccia a faccia. Pertanto, con il forte supporto dei social network, la performance contribuisce al rilancio dei gruppi femministi che si erano allontanati dalla sfera pubblica e chiama all’organizzazione donne che non facevano parte prima dei movimenti femministi.

Inoltre questa performance rivendica e stimola la creatività come strumento di combattimento; le sue autrici hanno invitato le femministe a modificare i testi a piacimento per adattarli meglio ai diversi contesti e le donne hanno ascoltato questo richiamo a livello globale. Gli interventi adattati che sono stati organizzati comprendono esibizioni di donne anziane e versioni strumentali come il flamenco, e presentano una vasta gamma di capi, dall’abbigliamento da lutto a un’estetica latinoamericana intrisa di colori vivaci. Attraverso la canzone originale, l’intervento è chiaro nelle accuse che si estendono alla polizia, allo stato, ai giudici e al presidente, e gli adattamenti globali nominano le istituzioni della chiesa, il sistema neoliberale, i militari e altri come complici dell’abuso.

Infine, e forse soprattutto, Las Tesis è riuscita a far emergere la questione delle donne come una responsabilità inevitabile, portando un significato visivo e uditivo allo slogan “la rivoluzione será feminista o no será” (la rivoluzione sarà femminista o non lo sarà). Sebbene il potenziale di trasformazione e l’impatto a lungo termine di questo intervento non siano ancora stati sperimentati, è già possibile trarre una serie di lezioni dalle sue conseguenze a breve termine che possono essere estrapolate da e verso altre aree geografiche e in tempi rivoluzionari diversi.

Il primo punto è quello di organizzare insieme. I momenti rivoluzionari sono momenti di amicizia, solidarietà e sostegno tra tutt@ coloro che si trovano ai margini dello stato, della società e dei loro apparati. Tuttavia ciò non dovrebbe avvenire a spese delle donne che si organizzano in gruppo, per timore che vengano escluse da una nuova ridistribuzione del potere, come è successo più volte nel corso della storia. In secondo luogo, la creatività apre infinite possibilità di mobilitazione sociale, al di là delle modalità tradizionali di organizzazione. E in terzo luogo, è importante respingere la retrocessione delle richieste delle donne in secondo piano, indipendentemente dalle circostanze. Ciò che è “urgente” è semplicemente tale perché è stato deciso dalla regola patriarcale che si posiziona come misura e standard, anche per quanto riguarda le esigenze sociali. E’ un tipo di discorso che dobbiamo combattere e contro cui dobbiamo rivoltarci.

 

11 motivi per cui la tua falsa “preoccupazione” per la salute delle persone grasse non aiuta nessunx

Fonte: https://everydayfeminism.com/2016/01/concern-trolling-is-bullshit/

di Melissa A. Fabello e Linda Bacon

“Sono solo preoccupatx per la loro salute.”

“Sono una femminista, ma non credo che il grasso sia un problema femminista”.

“Sono per la body positive, ma non credo nel glorificare l’obesità.”

“Penso che le persone di grosse dimensioni meritino rispetto, ma penso che sarebbe per loro più facile se fossero magre.”

“Gli studi hanno dimostrato che l’obesità è la seconda causa di morte prevenibile, quindi non posso sostenere questo stile di vita”.

Stop.

Il concern trolling– che è l’atto di una persona che partecipa “a un dibattito proponendosi come un reale o potenziale ally che però si preoccupa di avere delle risposte prima di allearsi con una causa” – è qualcosa che vediamo troppo spesso, anche sulla nostra pagina Facebook sul femminismo quotidiano.

E molto spesso, otteniamo questo tipo di risposte “Ma questa libertà non è in realtà un po’ ‘ericolosa per la società?” sugli articoli che pubblichiamo sull’accettazione del grasso e sulla liberazione del corpo.

E ad essere onestx, è scoraggiante vedere le femministe – persone che generalmente tentiamo di sostenere nei contenuti- correre a citare ricerche imprecise e gettare in giro ideologie oppressive nel nome, presumibilmente, della “salute”.

Ma quando viviamo in un mondo che odia così disperatamente le persone di grandi dimensioni (um, ciao, “Guerra all’obesità”), comprendiamo pienamente come questi pregiudizi si trasformino in verità nelle nostre menti.

Ma poiché il concern trolling grassofobico è opprimente (e, in una nota più personale, ci fa rabbrividire), è tempo per noi – tutt@ noi, ma soprattutto le femministe – di smettere.

E poiché generalmente vediamo persone magre che fanno questi commenti, volevamo chiamarvi tutt@ per discutere sul perché questo comportamento sia così dannoso.

Quindi se hai bisogno di un po’ più di convincimento prima di dare alle tue dita, in bilico e pronte ad andare sulla tastiera, un periodo di riposo, ecco undici motivi per cui il concern trolling grassofobico ha senso zero.

1. Perché le ipotesi stereotipate sul peso di qualcunx sono oppressive

Sostieni di essere preoccupat@ per una persona grassa e la prima cosa a cui pensi è il diabete.

Va bene.

Che dire del giudizio negativo a cui sono sottopostx dalle persone – sia da parte degli individui che della società nel suo insieme – e l’impatto che ha sulla loro vita?

Pensa a come deve essere per le persone di grandi dimensioni, vale a dire la maggior parte delle persone che vivono negli Stati Uniti, confrontarsi quotidianamente su giornali, riviste, programmi televisivi e spot pubblicitari sul fatto che i loro corpi non sono attraenti e costituiscono un’orribile crisi di salute pubblica.

Ascoltare le ipotesi di dietist@ e altrx operator* sanitarx che a causa di una caratteristica fisica, il loro peso, devono essere non san@ e che hanno una cattiva cura di sé.

Avere quindi persone su Internet che dedicano interi thread di commenti a rimproverarlx.

Tuttx, grass@ o magr@, sono gravemente danneggiatx da questo messaggio. E come attivistx per la giustizia sociale è il tuo primo e più grande compito mostrare empatia verso le persone emarginate – e poi guardarti dentro per esaminare le tue ipotesi incontrastate.

Come Marilyn Wann afferma notoriamente nei suoi discorsi sulla diversità di peso, “L’unica cosa che chiunque può diagnosticare con precisione quando guarda una persona grassa è il proprio livello di pregiudizio sul peso”.

2. Perché il grasso non uccide

Esiste una statistica comunemente citata con cui le persone alimentano il fuoco del fat-shaming, ed è questa: che “l’obesità” è la seconda causa principale di morte prevenibile negli Stati Uniti.

Facciamo scoppiare quella bolla proprio qui: non è vero.

E sì, ovviamente se lo fai su Google, verranno fuori organizzazioni sanitarie che lo citano come un fatto. Ma ecco perché: perché uno studio sponsorizzato dal CDC del 2004 ha affermato che circa 350.000 decessi all’anno sono legati all’essere “in sovrappeso” o “obes@”, secondo solo al fumo.

Ma nel 2005 lo stesso giornale ha pubblicato una nuova analisi, con risultati scientificamente più accurati, avvicinando il numero a 25.000, una differenza del 94%.

Ma poiché è molto più facile creare paura, dicendo alla gente che è probabile che muoia, il fatto che sia stato un errore e che tu abbia più o meno le stesse possibilità di morire in un incidente d’auto e di morire per malattie legate all’obesità non è ampiamente pubblicizzato al popolo americano.

Quindi se pensavi che il grasso fosse mortale ed è quello che stavi usando per aiutare a “motivare” le persone alla magrezza, puoi smettere di farlo ora.

In verità se si desidera utilizzare la scala BMI spesso citata (ne riparleremo più avanti), le prove scientifiche in realtà indicano che le persone classificate come “sovrappeso” vivono più a lungo rispetto a quelle classificate come “normale”, e la maggior parte delle persone “obese” vive vite lunghe uguali a quelle delle loro “normali” controparti.

3. Perché il grasso non causa neanche la malattia

Ok. Quindi se il grasso stesso non è il problema, allora che dire del diabete e delle malattie cardiache, che siamo stati socializzati a credere che siano malattie “legate all’obesità”? Quelle non portano alla morte?

Beh sì.

E ha senso che la gente pensi che il problema sia il grasso. Dopotutto ci sono, in effetti, malattie (come il diabete e le malattie cardiache) che sono più comuni nelle persone più pesanti.

Ma ci sono anche maggiori episodi di morte annegando in luoghi dove ci sono più vendite di gelati.

Quindi, facciamo una breve lezione di statistica, ok?

La correlazione non equivale alla causalità.

Solo perché alcuni fattori, in superficie, sembrano correlati non significa che abbiano una relazione causale. Non è una semplice equazione causa-effetto, in cui la situazione A risulta nella situazione B.

Prendi lo scenario dell’annegamento e del gelato. Le persone non stanno annegando a causa del gelato, anche se potrebbe sembrare così in superficie. Piuttosto, sia l’annegamento che la vendita del gelato hanno più probabilità di accadere in spiaggia. La spiaggia, in questo caso, è ciò che potremmo definire un fattore di confusione.

Allo stesso modo ci sono fattori confondenti che complicano la relazione tra grasso e malattia.

Ad esempio, un fattore estremamente importante è quello della dieta. E non che coloro che seguono una dieta abbiano maggiori probabilità di essere san@ – al contrario, in realtà.

Sia la dieta che il peso sali-e-scendi –ovvero il processo di seguire una dieta, perdere peso, riguadagnare il peso (e talvolta anche di più), quindi proseguire con un’altra dieta, perdere peso, riguadagnare il peso, e avanti e avanti e avanti –aumentano l’infiammazione.

E l’infiammazione stessa è in realtà un fattore di rischio per molte malattie che sono generalmente attribuite all’obesità, come il diabete e le malattie cardiache.

E chi pensi sia più probabile che abbia vissuto una vita di dieta costante e peso sali-e-scendi? Persone di grandi dimensioni.

Correlazione. Ma nessuna causalità.

Vale a dire che non è così semplice come sembra in superficie. E solo perché sono presenti sia grasso che malattia non significa che il primo abbia causato il secondo.

4. Perché, in ogni caso, la grassofobia causa effetti negativi sulla salute

A bruciapelo: è difficile essere una persona grassa nella nostra società. E se sei una persona magra, considera questo: se tutte le altre cose della tua vita rimangono invariate, preferiresti essere grassa?

Probabilmente no – considerando che oltre la metà delle persone afferma che preferirebbe essere morta piuttosto che grassa.

E in un mondo in cui la discriminazione basata sul peso è dominante come il sessismo e il razzismo, è facile capire che essere di grandi dimensioni è un’esperienza stressante.

E questo semplicemente perché viviamo in una società che odia le persone grasse, come dimostra il semplice fatto che esiste la vergogna del grasso (e la sua difesa).

E il livello di stress associato a questo tipo di discriminazione – vivere la tua vita quotidiana ridicolizzat@ dalle persone e con meno accesso alle risorse e alla felicità– è anche associato a malattie cardiovascolari e diabete.

Ecco un modo per guardare a questo: i ricercatori hanno scoperto che il divario tra il peso reale e idealizzato di una persona (cioè la misura in cui sperimentano l’insoddisfazione del corpo) è un indicatore migliore della salute mentale e fisica rispetto alla scala BMI (che è comunque una cazzata totale).

Quindi il modo in cui ti senti nel tuo corpo (e in una società grassofobica, nessunx si sente bene con il proprio corpo, almeno tra tutte le persone i cui corpi sono visti come lo scenario peggiore) ha un impatto molto più significativo sul tuo benessere generale rispetto all’attuale forma e dimensione del tuo stesso corpo.

In effetti anche il CDC riferisce che i nostri comportamenti di salute quotidiani, come la dieta e l’esercizio fisico, rappresentano solo meno di un quarto delle differenze nei risultati di salute.

Ciò che conta di più, in realtà, è ciò che viene chiamato “determinanti sociali della salute”, e quelli includono cose come lo sviluppo della prima infanzia, il livello di istruzione, l’occupazione, la sicurezza alimentare e l’accesso alle abitazioni e all’assistenza sanitaria.

Cioè, ciò che è più probabile che causi cattiva salute è quanto sia oppressa una persona, non quali comportamenti si hanno.

Quindi se ti preoccupi davvero della salute di qualcun@, forse invece di suggerire che si metta a dieta, devi semplicemente eliminare la grassofobia.

Meglio ancora, per quanto odiamo il termine “leone da tastiera”, forse invece di cadere in quello schema digitando rabbiosamente nelle sezioni dei commenti (alla Kermit), concentra le tue energie sui determinanti sociali della salute spingendo per un cambiamento politico che affronti le disuguaglianze.

5. Perché anche la salute mentale è salute

Sono abbastanza sicura che nessun@ sia mai stat@ resx migliore se ridicolizzat@. In realtà c’è una ricerca che dice esattamente il contrario.

Perché quando ridicolizzi qualcunx, o un gruppo di persone, in base ai loro svantaggi sociali, soprattutto quando tu detieni il potere, si chiama bullismo.

E oltre al suddetto problema sociale della grassofobia, c’è anche il tipo individuale, uno contro uno, in cui le persone prendono il loro pregiudizio anti-grasso implicito socialmente e lo usano attivamente per abbattere l’autostima di un’altra persona.

Questo, ovviamente, può assumere la forma di lanciare insulti verso una persona di grandi dimensioni che è fuori per fare jogging. Potrebbe essere sussurri e risatine in risposta a qualcun@ che cammina per i corridoi a scuola. Potrebbe essere appendere le foto di persone che ritieni poco attraenti per la loro grassezza che servano per la tua “aspirazione alla magrezza“.

Oppure potrebbe prendere la forma di lasciare commenti su thread fat-positive, martellando nelle orecchie e negli occhi di tutt@ coloro che li incrociano la stessa vecchia retorica di BS che viene sposata dal pubblico in generale.

Ma la salute mentale è importante tanto quanto la salute fisica. E se sei davvero molt@ preoccupat@ per il benessere di qualcunx, è importante non deteriorare la sua salute emotiva e spirituale.

6. Perché “glorificare l’obesità” non è una brutta cosa

Facciamo molto lavoro nel campo dei disturbi alimentari – un luogo in cui conosciamo fin troppo bene l’idea di glorificare, di romanticizzare le malattie.

L’idea che puoi prendere qualcosa di dannoso e trasformarlo in qualcosa di bello o, nelle parole di Blythe Baird, “la cosa più interessante di me” è una cosa che ci preoccupa ogni giorno nel nostro lavoro, cercando di liberare il mondo per sempre dagli hashtag #proana e #promia – o almeno dai danni che possono causare.

Ma c’è una linea che abbiamo dovuto imparare a rispettare.

Nel movimento del disturbo alimentare ci sono due modi in cui può avvenire la “promozione”. Il primo è quello di sostenere la limitazione o l’eliminazione delle scelte di stile di vita e di trasformare il pensiero disordinato e gli schemi comportamentali in decisioni attive prese da coloro che soffrono per sentirsi più bellx, in salute o degnx.

Il secondo è diffondere il messaggio secondo cui i disturbi alimentari non sono qualcosa che dobbiamo nascondere, ma piuttosto parti di noi stessi che sono ugualmente degne di rispetto come il resto di noi stessi, combattendo così contro lo stigma della salute mentale.

Il primo è ciò che potremmo definire “glorificante” o “romanticizzante”. Il secondo lo chiameremmo semplicemente “normalizzazione”.

Ma quando si tratta di “obesità” – che non è una malattia (contrariamente a quanto potrebbe pensare l’AMA!) o presunta scelta di stile di vita, ma piuttosto semplicemente uno stato dell’essere– ciò che la gente chiama “glorificante” non può che essere, in realtà, normalizzazione.

E se le persone di grande taglia vogliono riprendere l’idea di glorificare l’obesità dicendo “Cazzo sì, lo sono“, allora ci siamo tutt@.

Ciò a cui non stiamo è il concern trolling che usa questa frase per sminuire e screditare le persone – e in particolare le donne – che, in un mondo duramente patriarcale, accettano e possiedono (e persino amano) i loro corpi, sia che si adattino a standard di bellezza ristretti sia che ciò non accada.

7. Perché le definizioni uniche di “salute” sono abiliste e perpetuano la barbarie

Quando le persone dicono di essere preoccupate per la salute de* altr*, crediamo che lo pensino davvero. Dopotutto ha senso, giusto?

Se la psicologia evoluzionistica è il tuo blocco, allora probabilmente ti attieni alla convinzione che in fondo il nostro cervello medio guidato dall’istinto di sopravvivenza alimenta l’universale culturale della propagazione delle specie. Ed è difficile far andare avanti una specie se stiamo morendo dappertutto per problemi di salute!

E questa convinzione spinge l’idea che ovviamente dovremmo preoccuparci della salute reciproca!

E va bene. Davvero. Divertiamoci per un secondo (anche se, per favore, lasciamo che sia chiaro che non apparteniamo al campo della psicologia evoluzionistica – e non andiamo avanti con le femministe che lo sono).

Ci sono ancora un milione di domande che abbiamo per te.

Ti piace come cazzo definisci “salute” in primo luogo? E chi può decidere di cosa si tratta? E come è possibile giudicare la salute in base alle dimensioni di una persona?

Ed è davvero appropriato valutare la salute? Sicuro, ancora una volta, da una lente della psicologia evolutiva, ha senso. Ma gli psicologi evolutivi credono anche nell’essenzialismo di genere– e sappiamo che merda sia perché è sessista, cissessista, e transfobico!

E quando diamo la priorità alla salute come valore quantificabile verso cui tutte le persone dovrebbero impegnarsi, siamo abilist@. Perché stiamo sottintendendo che esiste una versione di salute unica per tutt@ e che chiunque non rientri in questi parametri è indegn@ di rispetto.

8. Perché la perdita di peso non migliora comunque la salute

Mangiare bene e fare esercizio fisico migliora la salute? Sicuro. In una certa misura. Ma non è stato dimostrato che la perdita di peso lo fa.

Ad esempio: potresti visitare la grande macchina di Google in questo momento e probabilmente tirare su un milione e mezzo di studi che dimostrano che gli interventi di riduzione del peso a breve termine mostrano miglioramenti della salute a breve termine.

Tuttavia abbiamo due problemi con questo. Uno è che sono studi a breve termine, che non fanno molto per mostrarci qualcosa di sostanziale. Il secondo è che in tutti questi casi, le persone stanno alterando i loro comportamenti in qualche modo per raggiungere la perdita di peso. Quei cambiamenti da soli potrebbero spiegare i risultati di salute migliorati, indipendentemente dalla perdita di peso.

Quindi gli studi non dimostrano che la perdita di peso stessa sta migliorando la salute. Ciò che potrebbero mostrare è qualcosa con cui siamo d’accordo: che i cambiamenti nello stile di vita – come mangiare cibi più nutrienti e avere un’attività fisica regolare – portano a una salute migliore.

E cosa succede se si omettono i cambiamenti comportamentali dai risultati?

Uno studio sulla liposuzione che ha controllato i cambiamenti comportamentali non ha riscontrato alcun miglioramento nelle anomalie metaboliche associate all’obesità, nonostante la perdita di peso verificatasi.

In altre parole la salute di nessunx è migliorata dalla sola perdita di peso.

Altri studi sulla liposuzione, sebbene non controllino esplicitamente i cambiamenti comportamentali, sostengono che la perdita di peso non porta a miglioramenti metabolici. Anche se questo non è conclusivo, certamente, il bottino della guerra – vale a dire la ricompensa in termini di salute – è in discussione.

In realtà non abbiamo prove che suggeriscano che la perdita di peso migliora la salute a lungo termine. Al contrario la maggior parte degli studi a lungo termine suggeriscono che la perdita di peso aumenta il rischio di morte prematura.

E anche se volessi continuare a restare nel mito che la perdita di peso migliora la salute, sarebbe comunque vero che l’esercizio fisico e le restrizioni dietetiche non sono efficaci tecniche di perdita di peso. Perché sei letteralmente biologicamente cablato per non perdere peso oltre ciò che il tuo corpo ha considerato il tuo punto di riferimento.

Quindi, indipendentemente da ciò che fa una persona, non sarà in grado di mantenere perdite di peso considerevoli a lungo termine – a meno che non inizino pericolosi disordini alimentari e schemi di alimentazione e di esercizio pericolosamente disordinati, e in quel caso che senso ha “farlo per la salute”, eh?

9. Perché no, essere grassi non è affatto come essere un fumatore

Spesso, quando le persone vengono tirate in ballo nel fat-shaming, la loro risposta è qualcosa tipo “Ma abbiamo deriso i fumatori finché non hanno smesso di fumare! E questo fa bene alla salute pubblica!”

Ma ci sono alcune cose che non vanno in quella affermazione.

Innanzitutto, storicamente parlando, è inaccurata.

In realtà tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50, un epidemiologo di nome Richard Doll pubblicò ricerche che suggerivano dapprima che il fumo potesse causare gravi danni alla salute e in secondo luogo che esistesse uno stretto legame tra fumo e cancro ai polmoni, cosa che fu ripetutamente confermata.

Quando gli Stati Uniti salirono a bordo nel 1964, ciò portò a vietare la pubblicità del tabacco e le etichette di avvertimento sui prodotti del tabacco, il che alla fine portò a una riduzione del consumo di tabacco.

Mentre si potrebbe sostenere che la “Guerra all’obesità” è, in effetti, simile alla “Guerra al tabacco”, ci sono differenze molto importanti:

Innanzitutto essere grassi è una caratteristica fisica, non un comportamento.

In secondo luogo è stato dimostrato che il fumo causa morte e malattie. Essere grass@, d’altra parte, no.

In terzo luogo l’idea che gettare la colpa e la vergogna sulle persone sia efficace nel cambiamento del comportamento sanitario è stata smentita ancora e ancora e ancora.

Quindi mentre è probabilmente vero che le persone hanno usato la tattica del ricoprire di vergogna sia nella “Guerra al tabacco” che nella “Guerra all’obesità”, è anche vero che la stessa vergogna non è ciò che crea il cambiamento.

Quindi anche se conservate l’idea errata che “l’obesità” sia pericolosa come il fumo e dovrebbe in qualche modo essere sradicata usando strategie simili, lo shaming non funzionerà.

10. Perché ti stai inserendo in un circolo vizioso

La credenza popolare ti ha convintx che essere grass@ –come vivere in povertà– è una scelta. E se una persona lavora abbastanza duramente per tirarsi fuori dalla sua situazione disperata, anche quella persona può godere del privilegio derivato dall’essere magr@.

E questa idea alimenta ciò che Jes Baker ha chiamato “valuta del corpo” – l’idea che “ci viene socialmente insegnato che se raggiungiamo il corpo ideale che vediamo nei media tradizionali … otterremo di conseguenza amore, dignità, successo e, in definitiva, felicità” e che i nostri corpi, quindi, agiscono come valuta.

Questa è una promessa sociale, come spiega Sonya Renee Taylor nel documentario Fattitude, “un giorno potrò davvero incassare il mio thin privilege“.

E questa fantasia – che la possibilità di ottenere magrezza porterà quindi alla felicità – è ciò che motiva tutt@ noi a partecipare alla cultura della dieta. Alimenta anche il desiderio di alcune persone, apparentemente, di aiutare le persone di taglia grande a vivere la loro vita in modo migliore.

Ma proprio come non abbiamo molta scelta sul nostro stato economico, non abbiamo nemmeno molta scelta sui nostri tipi di corpo. E mentre possiamo provare a cambiare entrambi, incontreremo senza dubbio più ostacoli e impossibilità che opportunità e successi.

Quindi quando perpetuiamo la narrazione che tutt@ noi abbiamo una scelta se i nostri corpi sono grassi o magri, promuoviamo l’idea che tutt@ dovrebbero sforzarsi sempre di essere magr@ – e questo è qualcosa che in realtà ci danneggia tutt@.

Nel frattempo spingiamo anche sull’idea che, dato che il grasso è malsano e quindi cattivo, le “scelte” che facciamo sul nostro corpo parlano anche delle nostre moralità e della misura in cui “meritiamo” una buona salute e rispetto.

Invece dovremmo riconoscere che nessunx di noi ha il pieno controllo su ciò che ci viene dato nella vita e che tutt@ meritiamo rispetto, a prescindere.

11. Perché Straight Up, Fat-Shaming ti rendono solo un* cretin*

Diciamolo: se sei un* concern troller, sei un* fat-shamer. E se sei un* fat-shamer, sei cattivx. Potresti avere le migliori intenzioni, ma quello che stai veramente facendo è prendere a calci le persone quando la società le sta già maltrattando. E’ già abbastanza.

Il concern trolling non ti rende un eroe. Non stai salvando la vita a nessunx.

Non stai motivando nessunx verso la salute. Non stai aiutando qualcunx a fronteggiare l’oppressione. Stai facendo del male alle persone. Tutto ciò che fa il concern trolling è ferire le persone, sia individualmente che socialmente.

E se questo non è un motivo sufficiente per rivalutare le tue azioni, allora qual è?