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Abolire il carcere: una battaglia rivoluzionaria

“Kilmainham Gaol”by luca.bartoletti is licensed under CC BY-NC-SA 2.0

di lino caetani da ghinea di settembre

Eravamo nel 2006 quando l’ultimo grande indulto generalizzato portò la popolazione carceraria da quasi 70.000 detenut* a 25.000 in meno. Ricordo il dibattito dell’epoca perché facevo parte di una rete locale per l’amnistia: fu un momento importante per la vita di migliaia di persone, si discuteva di sovraffollamento e di recidiva, mentre purtroppo già montava quel clima forcaiolo e giustizialista che infesta oggi il nostro paese. Passano alcuni anni e nel 2013 c’è di nuovo un trend in crescita di detenzioni, si ritorna a 60.000 persone stipate nelle patrie galere e il governo Letta fa un nuovo (l’ultimo ad oggi) indulto per 10.000 detenut*.

Com’è abbastanza noto, oggi siamo punto e daccapo, di nuovo 60.000 persone nelle carceri, una condizione di sovraffollamento che viene stimata tra le 10.000 e le 15.000 unità in meno a disposizione e soprattutto una situazione esplosiva con ripetuti e documentati episodi di violenza da parte delle guardie, suicidi e atti di autolesionismo: una condizione generale pessima a dir poco. Tutto ciò avviene di fronte a due fenomeni che sono in netta contraddizione tra loro: da un lato abbiamo un deciso calo dei reati violenti, degli omicidi e delle rapine, mentre dall’altro lato aumenta a dismisura il controllo sociale e la penalizzazione di comportamenti che vengono definiti socialmente pericolosi, ovvero aumenta la popolazione carceraria non perché aumentino i reati ma perché ogni singolo attimo della nostra vita quotidiana viene visto sotto la lente d’ingrandimento del controllo poliziesco e diventa passibile di punizione.

Questo slittamento è stato descritto al suo nascere da pochi illuminati punti di osservazione, basti pensare a Gilles Deleuze che parlava di “società del controllo” già nel 1990: oggi abbiamo sotto i nostri occhi questa dimensione securitaria diffusa un po’ ovunque, basta farsi un giro in una stazione ferroviaria per vedere come siano repressi fenomeni di alto rischio sociale come il sedersi su una panchina o mangiarsi un panino. Si potrebbe dire che lo Stato tuteli i propri cittadini dalla pericolosa “emergenza stanchezza” di chi aspetta un treno. Le vecchie sale d’attesa notturne, ovviamente, anche quelle non esistono più: troppo pericolose. A fronte di questo fenomeno palpabile, verrebbe da chiedersi come mai lo Stato non intervenga per una razionalizzazione della struttura nazionale carceraria, costruendo altre galere per mitigare fenomeni rischiosi quali il sovraffollamento, come pure invocano praticamente tutti i partiti di governo o di opposizione che siano.

A mio avviso questo avviene perché la priorità dello Stato, piuttosto che regolare il sovraffollamento che pure causa problemi a guardie e sbirri vari, è quella di tenere separato e lontano il carcere dal resto della società. Nelle strade deve esserci l’incentivo blindato al consumo controllato da guardie onnipresenti (leggasi “decoro”) ma chi è punit* deve sparire dalla nostra vista, deve diventare un* reiett* lontan* verso cui l’ultima cosa che deve nascere è la solidarietà o l’immedesimazione. Il carcere è diventato lo snodo centrale per la riproduzione del dominio del capitale nelle nostre società, basti pensare all’enorme gualg a cielo aperto che sono diventati gli Stati Uniti d’America, con una forte messa a valore della popolazione carceraria ottenuta tramite la privatizzazione delle galere che ben conosciamo grazie alla serie tv “Orange is the new black”.

Questo dato di fatto è poco affrontato dai movimenti e dalla sinistra di classe nel nostro paese nella misura in cui essi restano legati a una visione riformista e integrata nel sistema capitalista. La debolezza del movimento rivoluzionario in Italia si esprime principalmente attraverso questa grave mancanza di prospettiva sul carcere: si parla di sovraffollamento, di migliori condizioni detentive, di depenalizzazione di alcuni reati, si discute in alcuni casi del 41 bis e dell’ergastolo ma rarissimamente si prova a pensare e soprattutto a lottare per l’abolizione del carcere. L’abolizionismo oggi è una corrente teorica minoritaria a livello internazionale ma nel nostro dibattito politico risulta pressoché assente, mentre ci sarebbero molti esempi a cui rifarsi e numerose pratiche da sviluppare.

Due sono gli esempi che mi vengono in mente e di cui abbiamo spesso parlato su “la piega” (vedi https://lapiega.noblogs.org/post/category/carcere/) il femminismo anticarcerario diffuso nelle pratiche comunitarie di giustizia trasformativa e l’esperienza delle comunità rivoluzionarie curde nel Rojava liberato. In entrambi i casi si affrontano eventuali atti violenti (come uno stupro o un omicidio) in maniera diametralmente opposta a quanto avviene nelle nostre “democrazie”: la persona che ha commesso questi atti violenti viene presa in carico dalla comunità e dentro la stessa comunità si discute (in primis con le vittime dirette o indirette dell’offesa) di una redistribuzione giusta ed equa del fatto commesso. Solo in ultima istanza si arriva ad un allontanamento dalla comunità, ma questo allontanamento non viene pensato nei termini di una detenzione o della creazione delle strutture detentive così come le conosciamo, gestite da un potere statuale. “La giustizia trasformativa si riferisce a un processo comunitario che affronta non solo i bisogni della persona che l’ha subita, ma anche le condizioni che hanno permesso questa violenza. In altre parole, invece di guardare l’atto (gli atti) di violenza in un contesto vuoto, i processi di giustizia trasformativa chiedono: “Cos’altro deve cambiare in modo che ciò non accada mai più? Che cosa deve accadere perché la sopravvissuta possa guarire?”[https://lapiega.noblogs.org/post/2018/11/27/come-possiamo-conciliare-labolizione-delle-galere-con-il-metoo/ ].

È importantissimo, dunque, studiare e conoscere queste alternative per costruire una pratica rivoluzionaria all’altezza dei tempi. Nel caso italiano è fondamentale partire da una ricostruzione della solidarietà con le persone carcerate, con le loro famiglie, per creare innanzitutto quelle comunità che riallaccino il legame che lo Stato vuole recidere isolando chi è detenut* nelle galere. Ne parla ogni settimana la trasmissione radio “Battiture”, in onda su www.radioasilo.it il mercoledì alle 19 e disponibile poi nella sezione podcast del sito. In ultima analisi, la società liberata che vogliamo costruire non avrà galere di nessun tipo: non c’è nessun comunismo possibile con il carcere.

Il welfare animale nella campagna delle presidenziali USA

Negli Stati Uniti è tempo ormai di candidature per le elezioni presidenziali e tra le varie tematiche su cui si confrontano i politici democratici, tra di loro e con l’amministrazione Trump, fa capolino anche la questione del “welfare animale”. Bisogna innanzitutto fare presente come da un lato questo interesse per il benessere e la salute delle altre specie sia condizionato nel quadro di proposte politiche molto limitate e cautamente riformiste all’interno di un quadro, quello dell’industria agroalimentare, che di per sé persegue finalità di sfruttamento e di sterminio a scopo di profitto. Desta comunque interesse fare un ragionamento generale su come queste tematiche siano sempre più al centro dell’attenzione e del dibattito politico americano mentre in Europa sono ancora fuori dal confronto istituzionale se non per quanto riguarda alcune proposte dei partiti ecologisti. Un esempio lampante può essere quello dell’appena nominato governo cosiddetto “giallo-rosso” che da un lato ha annunciato una svolta in direzione di una “green economy” con investimenti a favore dell’ambiente fuori dai vincoli di deficit, mentre dall’altro ha nominato una ministra dell’agricoltura che ha rilasciato dichiarazioni inequivocabili sul tema. La politica renziana Teresa Bellanova, intervistata da Lilli Gruber nel talk show “In onda”, ha infatti affermato come le priorità del suo ministero siano relative al contrasto dei virus come la Xylella e alla certificazione di qualità dei prodotti alimentari. Gli animali praticamente non esistono se non come strumento di consumo e di espansione dell’industria made in Italy, così come nessun cenno è stato fatto alla disastrosa situazione dei lavoratori e delle lavoratrici migranti nelle campagne, tra chi lavora senza documenti e senza casa a cottimo sotto il sole cocente della Puglia o della Calabria. Un esordio, quello della ex bracciante Bellanova, totalmente in linea con il suo predecessore leghista Centinaio. Tornando agli USA, il dibattito sulle cause dell’inquinamento e del relativo aumento del riscaldamento climatico ha finalmente messo in primo piano con dati inoppugnabili anche il ruolo degli allevamenti intensivi, per cui diventa difficile anche per i candidati democratici del paese dei mangiatori di cheesburger continuare a fare finta di niente. Nella sinistra USA ci sono politici come Bernie Sanders che hanno presentato per le primarie democratiche un programma di “animal welfare” piuttosto vago ma comunque abbastanza significativo: https://feelthebern.org/bernie-sanders-on-animal-welfare/ Si va dalla richiesta di una diminuzione della crudeltà sugli animali da allevamento fino alla protezione di alcune specie particolari e in via di estinzione. Altri programmi simili sono presenti nelle piattaforme per le primarie democratiche di altr* candidat*. La piattaforma più articolata è quella di Juliàn Castro https://veganista.co/2019/08/19/julian-castro-unveils-groundbreaking-animal-welfare-plan/ che si sofferma sui test animali per i cosmetici, sulla caccia così come sulla stessa riduzione degli allevamenti industriali. Cory Booker, senatore del New Jersey, è un vegano dichiarato (esempio abbastanza raro nel mondo della politica istituzionale) e ha una piattaforma simile a quella di Castro: https://corybooker.com/issues/animal-welfare/ Tra i pezzi grossi delle primarie c’è sicuramente Joe Biden: nella piattaforma dell’ex vicepresidente di Obama non c’è traccia di punti riguardanti il welfare animale ma abbiamo comunque alcuni suoi atti del passato che lo hanno visto battersi contro la macellazione equina, la caccia di animali esotici e dei delfini. Una delle sue principali concorrenti alla nomination è Elizabeth Warren: la candidata del partito democratico si contende con Bernie Sanders (sulle linee di politica generale) la palma del programma più radical e spostato a sinistra. Per quanto riguarda le politiche verso gli animali, invece, diversamente da Bernie, la Warren appare come una convinta nemica della liberazione animale, una specista di tutto tondo: ha infatti sponsorizzato una campagna a favore dell’industria casearia https://veganista.co/2019/07/09/the-dairy-pride-act-is-a-full-blown-attack-on-vegan-businesses-so-why-did-elizabeth-warren-back-it/ finanziata dalle lobby agroalimentari e si è pronunciata in modo nettamente negazionista rispetto al ruolo degli allevamenti nei cambiamenti climatici. Chiedete alla Warren di parlarvi del Green New Deal ma non ditele che il cheesburger che si sta mangiando è la causa dell’inquinamento che sta distruggendo il pianeta. Queste sono dunque le principali posizioni dei politici democrat. Il vincitore o la vincitrice delle primarie si troverà di fronte un avversario tradizionalmente collocato su posizioni speciste e di sterminio animale, nonché di un forsennato negazionismo climatico tout court. L’amministrazione di Donal Trump si è spesa infatti in questi anni attraverso il suo dipartimento per l’agricoltura per aumentare la velocità della macellazione dei suini nelle linee dei mattatoi, attualmente “limitate” a soli 1.106 maiali massacrati all’ora https://www.bloomberg.com/news/articles/2018-12-06/usda-plan-to-speed-up-slaughter-line-is-challenged-as-flawed Inoltre, l’amministrazione Trump si è spesa contro la protezione delle specie in via di estinzione: https://eu.usatoday.com/story/news/politics/2019/08/12/donald-trump-administration-weaken-endangered-species-act/1985543001/ Insomma, chiunque affronterà Trump alle prossime elezioni presidenziali troverà un candidato ben agguerrito a difesa di tutti i privilegi specisti, anche quelli più odiosi e facilmente evitabili.

lino caetani

DALLA PARTE DI CHI LOTTA CONTRO IL CARCERE. SOLIDARIETÀ TRA CHI È SFRUTTAT*

La maggior parte delle persone vive come se il carcere non esistesse o come se fosse un recinto pensato per tenere al sicuro in una gabbia chiunque sia un pericolo pubblico. La realtà ci dimostra invece che il carcere è uno dei principali strumenti di oppressione che regolano una società divisa in classi contrapposte, tra chi sfrutta e chi è sfruttat*.

Come tra le strade di ogni parte del mondo, dietro le sbarre c’è chi lotta contro la tortura che gli viene inflitta, come dimostrano anche gli ultimi episodi avvenuti nel padiglione Salerno del carcere di Poggioreale a Napoli. La protesta di circa 200 detenuti voleva sollecitare il ricovero di un loro compagno febbricitante. Esasperati dai vari decessi avvenuti in quel padiglione per l’incuria e l’indifferenza dell’intera struttura carceraria, i detenuti si sono ribellati e per punizione sono stati trasferiti in altre carceri.

Dal 29 maggio al 28 giugno Anna e Silvia, due compagne anarchiche, hanno intrapreso uno sciopero della fame, seguite poi da decine di compagn* in varie carceri d’Italia, per protestare contro le durissime condizioni detentive a cui sono sottoposte nella sezione AS2 del carcere di L’Aquila. All’interno della già terribile condizione di reclusione, dal 1992 esiste in Italia un regime speciale che è un carcere nel carcere: il 41 bis, vera e propria tortura legalizzata attraverso il quale lo Stato si vendica su coloro che sono identificati come i suoi nemici irrecuperabili.

Il sovraffollamento e le limitazioni della vita detentiva, la difficoltà di avere colloqui per le famiglie, le condizioni sanitarie sempre più precarie, sono parte di un disegno repressivo che lo Stato sta inasprendo sempre di più, aumentando la popolazione carceraria nonostante diminuiscano i reati, puntando a criminalizzare le fasce più povere della popolazione, chi si arrangia per arrivare a fine mese, chi lotta per cambiare questo stato di cose esistenti, oppure chi vuole semplicemente spostarsi da un paese all’altro.

La lotta contro il carcere è diventata sempre di più la lotta contro la repressione e contro lo sfruttamento imposto da Stato, partiti politici della borghesia, padroni: solo l’unità di chi è sfruttat* e solo la solidarietà tra chi è oppress* sarà uno strumento efficace contro i nostri nemici comuni.

Anche a Salerno vogliamo costruire un movimento di solidarietà con chi è detenut* nel carcere, con le famiglie delle persone carcerate, con chiunque voglia dare una mano e lottare contro galere e sfruttamento. Per contatti e informazioni si può scrivere all’Associazione Andrea Proto presso il centro sociale Jan Assen in via Fratelli Magnone – 84135 Salerno. Si può anche contattare la trasmissione radio “Battiture”, in onda su www.radioasilo.it ogni mercoledì alle ore 19, scrivendo alla mail battiture@protonmail.com

Scarica il volantino: presidio settembre

Venerdì 6 settembre dalle 9.30 presidio presso la Casa Circondariale di Salerno, via del Tonnazzo 84131.