“Con il nemico si parla dopo averlo combattuto e mai prima. Ma questo è ciò che tutti i riformisti fanno finta di non capire. Per questo il primo avversario dei rivoluzionari è sempre la socialdemocrazia, quello che bisogna disattivare per poter affrontare il vero nemico ontologico-esistenziale: il capitalismo e il suo mondo” [Vicente Barbarroja, “Gentry, Odio, Metropoli”, in “Qui e ora” n.3]
La stretta repressiva operata dal governo italiano negli ultimi mesi in materia di immigrazione è stata spettacolare e particolarmente efficace: una volta registrata l’indisponibilità europea a rivedere gli accordi di Dublino rispetto alla suddivisione tra gli stati membri dell’Unione delle persone sbarcate nel primo paese-approdo del vecchio continente, ecco che l’esecutivo guidato da Gentiloni ha realizzato in poche settimane un blocco quasi completo della rotta libica. Senza scrupoli di sorta, guidato dal desiderio del ministro Minniti di passare alla storia come l’uomo che ha risolto “il problema dei migranti”, il governo italiano ha di fatto chiuso la missione Triton, bloccato i soccorsi in mare di stato e organizzazioni non governative, appaltando il controllo delle coste libiche alle stesse bande criminali che gestiscono parte del percorso che va dai lager libici all’approdo a Lampedusa. La spettacolare riduzione degli approdi in Italia, diminuiti del 50% a luglio (mese di maggiore frequenza di sbarchi) e ancora di più in questo mese di agosto, ha portato sempre più in auge nel teatrino politico la figura di Minniti, il comunista cresciuto con il culto dello stato e dei servizi segreti, l’uomo che non si fa scrupolo di portare le navi militari nel porto di Tripoli o di stringere accordi coi peggiori criminali degli stati sub–sahariani pur di non far approdare gli africani in Italia. Missione compiuta, dunque? Di certo questa operazione militare, una vera e propria operazione di guerra neo-colonialista, ha raggiunto parte del suo scopo, con il piccolo “danno collaterale” della reclusione nel deserto di migliaia di persone, con l’aumento del rischio di morti nel Mediterraneo e con la distruzione di centinaia e centinaia di vite umane. Poco importa, l’opinione pubblica italiana è grata a Minniti, convinta che “non ci sia posto” per gli africani nel nostro paese, con l’Europa che preme alle frontiere per non farli circolare negli altri stati confinanti, con relativa chiusura a Ventimiglia e al Brennero. Una strage vera e propria, concepita e realizzata con l’idea che la sicurezza del controllo dei confini sia un’idea di sinistra, ugualmente spendibile insieme al discorso di accogliere e gestire le vite di quei pochi fortunati che sono riusciti miracolosamente a entrare nel nostro paese. Che vita fanno queste persone mentre gli altri dannati della terra sono bloccati nei lager libici o nel deserto del Ciad o sono morti nel fondo del mar mediterraneo? Qui entra in gioco l’altro aspetto della faccenda: mentre il fronte esterno della guerra ai migranti dispiega navi militari e bande criminali senza scrupoli, il volto buono dell’accoglienza in Europa spende milioni di euro per controllare, gestire, infantilizzare migliaia di vite umane, inserendole in un circuito di sfruttamento lavorativo e di disperazione. Nessun documento, niente libera circolazione, respingimenti, deportazioni, vite di merda in tendopoli sovraffollate, in centri di accoglienza straordinaria simili a carceri: un vero e proprio inferno, molto più simile alle condizioni dei lager libici che alle promesse del rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e altre belle cose scritte solo sulla carta. Di fronte a questo scenario così complesso e terrificante, qual è la reazione del movimento antirazzista italiano? A parte poche lodevoli eccezioni di autorganizzazione dei lavoratori migranti nelle campagne o nel settore della logistica, lo scenario è decisamente sconfortante. Sindacati di base che spacciano per “sindacalizzazione” il corrompere pochi migranti per far spegnere le lotte in corso nelle tendopoli o nei luoghi di lavoro, associazioni che si pongono come mediatori immaginari tra la volontà dello stato di reprimere e i desideri dei/delle migranti di avere documenti e una vita decente. La sinistra italiana, nelle sue espressioni politiche, associative e sindacali, fino alle sue espressioni più radicali nei centri sociali e nei collettivi di solidarietà ai migranti, sta attraversando questo passaggio storico drammatico in cui migliaia di vite umane vengono massacrate e altre vengono gestite in un sistema di controllo e repressione senza porsi alcun problema, anzi partecipando al funzionamento di questo sistema prendendo fondi, aiutando lo stato a reprimere, piazzando clientele di lavoratori del settore, operando divisione e delazione tra i migranti che lottano. Forse oggi non è ancora completamente chiara questa dinamica vergognosa, complice il racconto interessato dei media subalterni alla politica, complice pure la volontà di questi gruppi di sinistra di auto-rappresentarsi con “selfie” e vagonate di pagine Facebook come buoni amici dei migranti: ogni giorno che passa, però, aumenta la visibilità del marchio di infamia della partecipazione a un sistema che ha una doppia faccia ma il medesimo obiettivo, ossia controllo e repressione, gestione e genocidio, colonialismo dal volto umano e massacro nel mar mediterraneo. La sinistra italiana pagherà in futuro la sua mancanza completa di coraggio, ma già oggi gli spazi elettorali e istituzionali che vorrebbe ritagliarsi sono praticamente ridotti al lumicino, mentre tutto il discorso politico generale si sposta sempre più a destra, con il Pontefice della chiesa cattolica che viene visto come un difensore dei migranti e l’Avvenire come foglio antifascista, in un declino sempre più veloce e pericoloso nella normalizzazione e nell’accettazione di pratiche discriminatorie, fasciste e criminali. Se la sinistra ha introiettato questo “colonialismo 2.0”, oggi i migranti che riescono a entrare in Italia sono sempre più soli, mentre una quota esorbitante di cittadini italiani è a sua volta parte di quell’esercito di “migranti economici” in viaggio verso altri lidi europei o internazionali, una quota di emigrazione massiccia, agli stessi livelli del secondo dopoguerra o della fine dell’ottocento. L’Italia si svuota sempre di più, lo stivale diventa una prigione, i padroni sono sempre più in grado di sfruttare la classe lavoratrice perché tutte le colpe e lo stigma sociale vengono scaricati sugli immigrati. Uno scenario veramente disastroso all’interno del quale qualche centro sociale “comunista” riesce addirittura ad accreditarsi e ad attribuirsi come vittoria qualche permesso di soggiorno rilasciato con il contagocce dalla questura. Nonostante questo, lontano da questo atteggiamento paternalista e autoreferenziale, le lotte dei migranti continueranno e saranno sempre di più le uniche lotte in grado di contrapporsi veramente al sistema di sfruttamento del capitalismo nazionale. I/le solidali che stringeranno legami con queste lotte avranno la possibilità di apprendere come ci si oppone al potere in maniera efficace.