La vostra guerra, i nostri morti

Riceviamo e pubblichiamo:
La vostra guerra, i nostri morti
La notizia della morte di 26 donne nigeriane, i cui corpi senza vita sono stati trasportati su una nave che è sbarcata oggi nel porto di Salerno insieme a 400 migranti, ci lascia senza fiato in gola e con una fortissima sensazione di rabbia, dolore e tristezza. I responsabili delle istituzioni che gestiscono la chiusura delle frontiere e il circuito di “accoglienza”, detenzione e rimpatrio delle persone migranti si interrogano se la morte di queste 26 donne sia stata causata da un omicidio: in realtà, pur non essendo ancora a conoscenza della dinamica che ha causato direttamente il loro decesso, siamo in grado di affermare che un responsabile di questa strage c’è già, ed è proprio questo sistema che impedisce la libera circolazione delle persone attraverso i confini. Queste donne sono vittime di una guerra che ogni giorno produce una catena infinita di lutti e violenze, la stessa guerra che il governo italiano sta combattendo contro le/i migranti in Libia, finanziando bande di criminali per evitare che le persone si spostino dall’Africa in Europa, incarcerando migliaia di migranti dentro dei campi di concentramento nel deserto libico. Siamo consapevoli del nostro privilegio occidentale di poterci spostare facilmente in vari paesi del mondo, mentre i governi europei impediscono il movimento di donne e uomini che migrano nelle città in cui abitiamo. La politica piange i morti imputando responsabilità “contro ignoti”, indicando gli scafisti come unici colpevoli delle stragi, assolvendosi in gran fretta: il sistema di accoglienza e detenzione nei centri riprende il suo percorso come se niente fosse accaduto. Ricordiamo che i/le migranti che sono stati smistati nel centro di accoglienza di Salerno (zona Fuorni) hanno recentemente protestato per le condizioni in cui vivono e di fronte alle loro ripetute richieste il sindaco della città ha addirittura minacciato la chiusura della struttura. Per questo motivo pensiamo che sia prioritaria oggi più che mai la lotta contro le frontiere, perché di “accoglienza” si muore: ascoltare le richieste di autonomia delle/dei migranti ed essere solidali con loro è il modo migliore per ricordare le 26 donne nigeriane.
Laboratoria “no confini”