Nazifemministe

di Paul B. Preciado

fonte: https://www.liberation.fr/debats/2019/11/29/feminazies_1766375

Da quando le donne parlano per sé stesse i rappresentanti del vecchio regime sessuale sono talmente nervosi che ora sono loro a rimanere senza parole. È forse per questo che i signori del patriarcato coloniale sono andati a pescare nel loro libro di storia necropolitica alla ricerca di insulti da lanciarci addosso e, caso curioso, hanno scelto quello che hanno sempre a portata di mano: nazista!

Dicono di noi che siamo delle nazifemministe. Dicono che non possono più salire in ascensore con una ragazza – che peccato – perché questa potrebbe essere una ‘nazifemminista’ che li accuserà di stupro. Dicono che non possono più esercitare liberamente l’arte della conquista virile alla francese. Dicono che le donne hanno preso il potere nelle università, che vincono premi letterari e che sono loro che, ebbre di gender studies, dettano legge nel cinema e nei media. Capovolgendo egemonia e subalternità, i padri del tecnopatriarcato attribuiscono un potere assoluto alle minoranze sessuali, alle donne, alle persone trans, omosessuali, ai froci, alle lesbiche e ai corpi di genere non binario; straordinariamente trasferiscono su quest’ultimi soggetti quelle violenze totalitarie che sono state e sono tuttora le loro. Come è possibile applicare l’aggettivo ‘nazista’ proprio ai corpi che il nazismo considerava subumani e dispensabili?

Nulla giustifica l’utilizzo dell’aggettivo ‘nazifemministe’ per qualificare le richieste di riconoscimento delle donne, delle persone trans, di quelle omosessuali o di sesso non binario come soggetti politici autonomi. Non penso che valga la pena perdersi in una discussione teorica. L’argomento migliore e più efficace è attenersi ai fatti.

Quando avremo violato e smembrato un numero di uomini pari alle donne, alle persone omosessuali o trans che avete violato e smembrato voi, semplicemente per il fatto di essere uomini, o perché il loro corpo o le loro pratiche non corrispondevano a ciò che noi intendiamo come corretta mascolinità eterosessuale sottomessa, allora potrete chiamarci nazifemministe. Quando avremo deciso in un Parlamento composto solo di donne, in un consiglio d’amministrazione composto solo di donne, che un uomo per il semplice fatto di essere uomo deve essere meno pagato di una donna in qualsiasi impiego e circostanza, allora potrete chiamarci nazifemministe. Quando vi sarà proibito di eiaculare fuori da una vagina, pena l’accusa di aborto e tutte le vostre pratiche sessuali al di fuori del letto eterosessuale saranno considerate grottesche o patologiche, allora potrete chiamarci nazifemministe. Quando le vostre gambe tremeranno nell’attraversare una strada buia e cercherete intimoriti le chiavi del portone nelle tasche per rientrare il più veloce possibile, quando una figura femminile in fondo al viale vi farà voltare e correre, quando le strade di ogni città saranno nostre, allora voi potrete chiamarci nazifemministe. Quando le scuole non insegneranno che libri di Gertrude Stein e Virginia Woolf e quando James Joyce e Gustave Flaubert saranno diventati degli scrittori “mascolinisti” e quando i musei d’arte dedicheranno una settimana all’anno all’esplorazione delle opere sconosciute degli ‘artisti maschili’ e quando le storiche pubblicheranno ogni dieci anni un magazine per parlare del ruolo degli ‘uomini invisibili nella storia’, allora, a quel punto, potrete chiamarci nazifemministe.

Quando le psicologhe, le psicanaliste e le psichiatre, esperte in sessualità umana, saranno esclusivamente delle lesbiche radicali che si riuniranno in assemblee chiuse per stabilire la differenza tra mascolinità normale e patologica, quando invece di commentare Freud e Lacan interpreteremo la vostra sessualità mascolina eterossessuale, le vostre aspettative e i vostri piaceri secondo le teorie di Valerie Solanas e Monique Wittig, allora potrete chiamarci nazifemministe. Quando le vostre madri, zie, cugine, sorelle, amiche e mogli avranno sempre qualcosa da dire sul vostro modo di vestire, di acconciarvi, di parlare, di essere brutti o grassi, belli o magri, e quando ve lo diranno costantemente, a voce alta, davanti a tutte, e fingeranno di farvi piacere con questa forma di controllo, e quando noi chiameremo questa forma di linguaggio ‘galanteria femminile’, allora potrete chiamarci nazifemministe. Quando usciremo in gruppo per pagarci un lavoratore del sesso precario che incontreremo mezzo nudo ai lati delle strade delle periferie delle città, un uomo giovane spesso immigrato al quale non riconosceremo il diritto al lavoro, che sarà considerato come un criminale e quando una polizia composta quasi soltanto da donne avrà il diritto di stuprare e perseguire, allora sì, nel momento in cui pagheremo cinque euro un lavoratore sessuale per una succhiata di clitoride in macchina, allora potrete chiamarci nazifemministe.

E anche se un giorno vi sottomettessimo, vi esotizzassimo, vi violentassimo e uccidessimo, se riuscissimo in un disegno storico di sterminio, espropriazione e sottomissione comparabile al vostro, allora saremmo semplicemente come voi. Allora, sì, da quel momento potremmo condividere con voi l’aggettivo ‘nazista’. Ma per essere all’altezza delle vostre tecniche politiche patriarcali avremmo bisogno di un lavoro collettivo monumentale, e di mettere in campo un odio organizzato e un’industria della vendetta che, sinceramente, non immagino né desidero. Per adesso, e lo dico con l’obiettività che metterebbe uno scienziato nel rimarcare la differenza tra il numero di granelli di sabbia del deserto del Sahara e il granello di sabbia che gli è entrato in un occhio, c’è del margine. Molto, molto margine.