L’ABOLIZIONE DELLA PRIGIONE È UNA COMPONENTE CHIAVE DELLA LIBERTÀ RIPRODUTTIVA

di LISA HOFMANN-KURODA

IL COMPLESSO INDUSTRIALE CARCERARIO SI PROFILA COME UNA DELLE PIÙ GRANDI ISTITUZIONI CHE PERPETUANO E ACUISCONO L’ACCESSO INIQUO ALLE CURE RIPRODUTTIVE.

“Dalla sterilizzazione forzata alla separazione familiare, lo stato carcerario stesso è un atto di violenza riproduttiva”, scrive l’abolizionista da lungo tempo Mariame Kaba. Kaba è solo una delle tante femministe nere che hanno sostenuto per decenni che uno schema di giustizia riproduttiva, piuttosto che di diritti riproduttivi deve tenere conto del ruolo delle carceri e della polizia nella lotta per un’autentica autonomia riproduttiva e corporea.

Facendo eco ai modi in cui le donne bianche, cisgender e dell’alta borghesia ignoravano e/o si opponevano attivamente all’inclusione delle donne nere e di altre donne di colore nel lavoro per i diritti di voto, le donne bianche dell’epoca Roe v. Wade in gran parte incorniciavano i loro argomenti per i diritti riproduttivi intorno alla nozione di scelta individuale, ignorando convenientemente che, per la maggior parte delle persone nere, di colore e altrimenti oppresse, la legalizzazione dell’aborto era e rimane in gran parte irrilevante per le loro possibilità materiali di accedere a tale procedura.

Anche prima di Roe v. Wade, tuttavia, le donne bianche “combattevano per il diritto di alcunx di noi di essere consideratx umanx, e quindi di lasciare alcune persone indietro”, come afferma succintamente Alicia Garza. Ci ricorda che, quando la pillola anticoncezionale era in fase di sviluppo negli anni ’30, alcunx di coloro che la sostenevano chiedevano anche che le donne nere e portoricane fossero sterilizzate con la forza.

Centrando le loro rivendicazioni sui diritti piuttosto che sull’accesso, le donne bianche hanno a lungo omesso di prendere in considerazione la questione per cui la riproduzione è una forma materiale di lavoro le cui condizioni, come tutte le forme di lavoro, sono rese ineguali all’interno di un sistema capitalista. Come afferma Yamani Hernandez, direttore esecutivo della National Network of Abortion Funds: “Sappiamo che in questo paese ci sono ingiustizie razziali ed economiche intrecciate con la salute riproduttiva, e quindi è difficile separarle perché le donne nere sono maggiormente colpite dalle disparità nell’ambito della salute“.

Hernandez sostiene questa affermazione con le statistiche: “Per la nostra hotline nazionale, il 50% delle persone che chiamano sono nere, quindi sappiamo chi è il nostro gruppo principale”. Sostenendo semplicemente il “diritto” legale di una persona di abortire, allora, si trascura tutta una serie di altri ostacoli che coloro che sono nerx, di colore, poverx, trans, senza documenti, diversamente abili e altrimenti oppressx devono superare per accedere all’autonomia del corpo e riproduttiva.

Al centro di queste barriere, il complesso industriale carcerario si profila come una delle più grandi istituzioni che perpetuano e acuiscono l’accesso iniquo alle cure riproduttive. La Child Welfare League americana afferma: “Oggi ci sono quasi 2 milioni di bambini sotto i 18 anni con un genitore in prigione o in arresto. La maggior parte di questi bambini ha meno di 10 anni. Il 4% delle donne nelle prigioni statali e il 3% di quelle nelle carceri federali sono in stato di gravidanza. Ciò lascia le loro famiglie, professionistx e responsabili politici coinvoltx, in un dilemma: cosa dovrebbe accadere quando i bambini nascono in carcere?”

Nel suo articolo “Le persone in prigione hanno diritto all’aborto”, la ricercatrice Rachel Roe ha osservato che “non esistono politiche applicate coerentemente in merito all’aborto in carcere” e che sappiamo molto poco su come le prigioni regolano l’aborto. Il regolamento governativo si svolge quasi del tutto al di fuori dei normali canali, lontano dal controllo pubblico, e spesso si traduce in violazioni dei diritti costituzionali delle donne. Finora, solo uno stato ha approvato uno statuto che tutela i diritti di aborto dex detenutx e solo due stati hanno promulgato regolamenti amministrativi”.

Ma non è solo il diritto all’aborto che è il problema. La critica femminista al sistema carcerario ha a lungo sottolineato i molteplici modi in cui la prigione minaccia la maternità e la salute riproduttiva. Ellen Barry, Anannya Bhattacharjee, Angela Davis e Cassandra Shaylor, ad esempio, hanno documentato la grave negligenza medica per le detenute incinte nelle prigioni e nei centri di detenzione per immigratx. Tale negligenza mette in pericolo la futura salute e fertilità delle donne e le loro attuali gravidanze. Le denunce di donne che partoriscono sul pavimento delle loro celle sono troppo comuni e il tasso di aborto spontaneo e di nati morti sono insolitamente alti tra detenutx. Inoltre, alcunx prigionierx, in particolare coloro che rimangono incintx a causa di abusi sessuali da parte delle guardie, sono spintx ad abortire e punitx se rifiutano, incluso essere in isolamento per 23 ore.

Inoltre un numero sproporzionato di persone incarcerate nelle carceri femminili (incluse le persone transessuali e di genere non conforme) vengono messe lì come punizione per l’esercizio dell’autodifesa nei casi di violenza sessuale e domestica. Come uniamo i punti per vedere i modi in cui coloro che cercano di fuggire o almeno contrastano le multipli oppressioni violente del patriarcato, della povertà e del razzismo attraverso l’accesso all’aborto sicuro e sostenibile, l’accesso alla chirurgia per transizioni di genere, il lavoro sessuale e altre modalità di autodeterminazione dei corpi e di autonomia riproduttiva sono persone rese sproporzionatamente vulnerabili dagli effetti del sistema carcerario.

Le carceri e i centri di detenzione per l’immigrazione sono luoghi di violenza sessuale che negano intrinsecamente l’autonomia e la libertà dei corpi e riproduttiva. Non solo le persone incarcerate si vedono negata la possibilità di avere o meno un aborto; se hanno figlx (sia per scelta che non per scelta), sono forzatamente separatx da loro alla nascita.

E le disparità razziali rendono l’abolizione delle carceri ancora più urgente nella nostra lotta per l’autonomia riproduttiva, dal momento che la stragrande maggioranza delle persone incarcerate sono nere, e le donne nere hanno tre o quattro volte più probabilità delle donne bianche di morire a causa di problemi legati alla gravidanza, secondo il CDC. Se queste statistiche sono vere per le donne non incarcerate, immaginate quanto siano peggio per le donne nere incarcerate, alle quali viene regolarmente negato l’accesso alle cure riproduttive.

Mentre i divieti di aborto continuano a guadagnare terreno negli Stati Uniti, le femministe devono imparare dai loro errori precedenti. Non potrà esserci vera libertà finché tuttx noi non saremo liberx.

Fonte: https://wearyourvoicemag.com/news-politics/prison-abolition-reproductive-care