Monthly Archives: May 2018

Il nuovo bipolarismo e le sviste della sinistra

Negli ultimi giorni, dopo che è esploso il clamoroso contrasto tra Mattarella e Salvini sulla composizione del cosiddetto “governo del cambiamento” (una proposta di esecutivo dai tratti fortemente autoritari, con un programma antipopolare e giustizialista, caratterizzato dalla “flat tax” e dalla richiesta del carcere per i minori, nel contesto del quale i Cinque Stelle hanno piazzato il loro reddito di cittadinanza e la difesa dell’acqua pubblica ma di fatto consegnando l’indirizzo politico nelle mani della Lega di Salvini, che pure aveva avuto la metà dei voti alle scorse elezioni…) tutto lo scenario politico italiano si è polarizzato sulla questione della sovranità nazionale contro il dominio dei mercati e dei burocrati di Bruxelles. Forse per volontà di entrambi, sia Salvini che lo stesso Mattarella, si è voluto creare un nuovo bipolarismo nei contenuti politici e nelle prossime alleanze elettorali e parlamentari, spiazzando così il povero Di Maio che aveva fatto professione di atlantismo ed europeismo pur venendo da una storia no-euro e filo putiniana: i suoi sforzi di moderare il Movimento Cinque Stelle pur di entrare nella stanza dei bottoni sono stati resi vani dall’accelerazione sovranista di Salvini e dalle contromosse di Mattarella. Ora, se questo sarà dunque lo scenario dei prossimi anni e il contenuto caratterizzante della cosiddetta Terza Repubblica, ovvero un bipolarismo tra fronte euroscettico e fronte repubblicano ed europeista, appare chiaro che tutta la sinistra sia destinata a continuare a rimanere ai margini dello scontro politico in atto nell’ambito istituzionale. Non siamo dunque in Portogallo, dove i socialisti governano con la sinistra radicale cercando di mediare tra i diktat di Bruxelles e lo scontento popolare, oppure in Inghilterra dove il Labour grazie al carisma di Jeremy Corbyn si è ripreso il suo spazio socialdemocratico. Tanto meno siamo in Grecia dove la sinistra radicale, una volta arrivata al potere grazie a una grande mobilitazione sociale, sta gestendo tutte le politiche infami di austerità e repressione. Siamo in Italia, dove quando si parla di “sinistra” si può fare riferimento al Partito Democratico, ossia il referente politico di Confindustria, mentre la sinistra radicale (ricordate la teoria delle “due sinistre” di Fausto Bertinotti?) è sparita dalla scena politica dopo aver appoggiato il secondo governo Prodi, ormai più di dieci anni fa. E allora ci si pone la domanda, anche negli ambiti di movimento che sono fuori da una diretta partecipazione alla politica istituzionale, se sia il caso di attraversare, anche criticamente, uno dei due campi che si stanno creando, quello euroscettico o quello repubblicano. Se il secondo appare impraticabile per la presenza ingombrante del Partito Democratico e per il fatto che a Bruxelles si imponga ancora una politica di pesanti tagli allo stato sociale di stampo monetarista, nel secondo fronte alcuni pensano si possa fare un’operazione di attraversamento critico, scomponendo la parte chiaramente fascista, sovranista e nazionalista dell’euroscetticismo da quella che combatte i poteri europei con un impianto più democratico e aperto alle rivendicazioni popolari e sindacali. Un’operazione del genere, è stata già tentata per altri versi nel passato, quando i movimenti si erano interessati a condizionare le ambivalenze presenti nei famosi “forconi”, nel cosiddetto “No sociale” al referendum proposto da Matteo Renzi. Sia detto per chiarezza, combattere i poteri europei è sacrosanto, quando la “fortezza Europa” sta praticando uno sterminio contro i migranti con la chiusura delle frontiere, oppure quando da Bruxelles si condizionano eventuali politiche progressiste (ove mai queste politiche fossero proposte da un governo nazionale, cosa raramente accaduta negli ultimi decenni, basti pensare che le stesse forme di sostegno al reddito sono state ripetutamente caldeggiate da Bruxelles ai governi italiani, di centrodestra come di centrosinistra, e non sono mai state accettate). In generale, il contrasto ai poteri rappresentativi è una cosa buone e giusta, siano essi collocati a Bruxelles, a Roma o a Varese e Monza (come auspicava la Lega Nord ai tempi di Umberto Bossi). La strada per la costruzione di un blocco sociale antagonista caratterizzato dai temi “No euro”, contro i trattati economici, è comunque veramente stretta e difficilmente porterà ad aggregare qualcosa di più che un movimento residuale. Siamo veramente sicuri, come scrivono alcune riviste online dell’antagonismo, che nella composizione di classe sia prevalente un sentimento anti-europeo, in primis contro la moneta unica? Questa idea, a prescindere se sia conveniente o meno ritornare alla Lira, magari guidati da un esecutivo fascistoide purché sia, sembra veramente lunare. Chi conosce la condizione dei milioni di proletari meridionali, ad esempio, costretti a decidere se emigrare all’estero oppure restare e barcamenarsi tra lavori precari e sostegno del welfare familiare, dovrebbe capire che i desideri e le preoccupazioni che attraversano questa composizione di classe spingono verso tutt’altra direzione. Chi è emigrato all’estero o conta di farlo, magari temporaneamente, sa bene che uno scontro con i paesi forti dell’Eurozona, meta principale dell’emigrazione dall’Italia, sarebbe un bel problema, che indebolirebbe immediatamente la posizione sul mercato del lavoro dei migranti. Chi resta in Italia, con tutte le difficoltà del caso, ricorda quanto avvenne ai tempi del passaggio dalla Lira all’euro, quando una pizza e una birra praticamente raddoppiarono di prezzo, quando ad arricchirsi nel passaggio furono padroni, commercianti etc, non certo studenti e precari: il sospetto, fondato o meno, è che in un passaggio inverso, dall’euro a una nuova moneta nazionale, a perderci siano sempre gli stessi. È troppo facile pensare che per costruire questo fronte anti-euro da sinistra basti fare una filippica ideologica contro lo strapotere dei mercati e il dominio dei burocrati liberisti di Bruxelles. Il sospetto è che le riforme economiche proposte dagli economisti e dai politici no-euro o immediatamente conseguenti dalla rottura con l’eurozona, dalla svalutazione della moneta a una ripresa dell’inflazione, siano devastanti per chi campa con una piccola rendita familiare e non certo grazie solo al solo stipendio. Pensiamo anche a queste cose quando ci facciamo promotori e interpreti dei desideri della classe e degli sfruttati, perché il rischio reale è che l’unico agente ideologico effettivamente efficace nel richiamare le masse a combattere Bruxelles sia il fascismo. Per quanto riguarda invece la costruzione reale di movimenti popolari contro l’Europa, in effetti qui ci troviamo di fronte a una delle più clamorose miopie politiche della sinistra antagonista o come la si voglia chiamare: una lotta di massa contro il dominio di Bruxelles è già attiva e presente oggi e coinvolge migliaia di persone ogni giorno, è la lotta contro le frontiere che praticano le persone migranti rischiando la pelle. Si potrebbero, invece di pensare con quale moneta e quale governo reprimere e sfruttare le persone, rafforzare le reti di solidarietà con i movimenti di lotta che attraversano i paesi del mediterraneo, stringendo relazioni con chi si ribella oggi a Tunisi, nel Rif in Marocco, in Egitto, ché magari sono le stesse persone che qui vengono incarcerate in un C.P.R. o lavorano nelle campagne pugliesi o calabresi.

Pasquale Caetani

Contestazione sociale in Marocco: Muhammad VI ha un piano?

di Reda Zaireg

tratto da http://www.middleeasteye.net/fr/opinions/contestation-sociale-au-maroc-mohammed-vi-t-il-un-plan-1120186610

Da qualche settimana, un vasto movimento di boicottaggio mobilita le/i marocchini che vi partecipano con un entusiasmo a cui il re risponde con altrettanta inerzia.

Il boicottaggio è diretto contro tre marche: il latte della Centrale del latte, una compagnia posseduta principalmente da Danone, l’acqua minerale Sidi Ali, proprietà di Miriem Bensalah Chaqroun, presidente del patronato marocchino, e i distributori di benzina Afriquia, che appartengono a Aziz Akhnnouch, miliardario marocchino alla testa dell’ Unione nazionale degli indipendenti (RNI). Giustificata, secondo chi ha cominciato la campagna, dai prezzi elevati del latte, dell’acqua minerale e della benzina, questa campagna di boicottaggio ha preso le sembianze di un Hirak (movimento popolare del Rif N.d.T) virtuale contro il caro vita. Le risposte del governo marocchino, che ha cercato di minimizzarlo e screditarlo prima di rassegnarsi a prendere la cosa seriamente, hanno contribuito ad accrescere il risentimento e a dargli una piega di sfida della società contro lo Stato. Il discorso che ha portato al boicottaggio ha segnato in maniera duratura il suo orientamento: politicizzato ai margini, ha raggruppato istanze diverse – diminuzione del prezzo dei prodotti, miglioramento del livello di vita – portando a galla una frattura sociale. Man mano che il boicottaggio conquista terreno, le aspettative delle/dei boicottatori si accresce. Le risposte delle imprese prese di mira, che hanno moltiplicato le pubblicità, le promozioni e i comunicati, hanno contribuito ad aumentarlo piuttosto che frenarlo. Una delle cause di questo fallimento sta nel fatto che il boicottaggio si è in qualche modo profondamente politicizzato: non oppone solo tre imprese private ai loro consumatori, ma anche lo Stato ai suoi cittadini. Le cause di questo slittamento sono da ricercare sia nel discorso portato avanti da alcune imprese prese di mira – il direttore degli acquisti della Centrale del latte è giunto fino ad affermare che “boicottare questi prodotti è un tradimento della patria” – che nell’interessamento del governo, che ha difeso le tre imprese. Il boicottaggio non ha cambiato i bersagli – riguarda sempre le tre imprese – né gli obbiettivi – una diminuzione del prezzo del latte, dell’acqua minerale e del carburante – ma ha mutato la sua natura: a partire dal momento in cui il governo è intervenuto, si è trasformato in un vasto movimento di disobbedienza, il cui motore è l’inquietante rifiuto dello Stato marocchino e l’erosione della fiducia delle/dei cittadini verso le loro istituzioni. Le rivendicazioni dei/delle boicottatrici sono state rigirate, così facendo, verso il governo. Creando una commissione incaricata d’esaminare il caro vita, il governo ha reagito a questa protesta come già fatto precedentemente: mettendo in atto un dispositivo il cui ruolo è essenzialmente fuorviante. Una costante della vita politica marocchina, la proliferazione dei dispositivi – spesso delle commissioni incaricate di esaminare dei problemi urgenti, senza pertanto giungere mai a dei risultati – si è accentuata dopo la nomina di Saadeddine el-Othmani (facente parte del PJD, Fratelli musulmani N.d.T) alla testa del governo. Si tratta di una maniera di esercitare il potere, che consiste nell’ “attesa come maniera di governare” per riprendere la formula del politologo tunisino Hamza Meddeb. Questa maniera di governare passa, come rileva Meddeb, “dalla messa in atto, in maniera prolifica, di dispositivi che, alla fine, non aprono la via a dei veri arbitraggi, ancora meno a nuovi orizzonti o nuove visioni di sviluppo, pur giocando, ossia abusando della retorica del cambiamento e della trasformazione”. “Si tratti di azioni compensatorie, dei meccanismi di presa di tempo, di misure d’urgenza, il rinnovamento senza fine dei dispositivi temporanei” che contribuiscono anche a regolare “la rivendicazione nel limbo decisionale”. Se in Tunisia, questo modo d’agire mette in evidenza la disgiunzione tra urgenza della situazione sociale e priorità politiche, esso rimanda ugualmente, nel caso marocchino, all’incapacità del governo di articolare delle risposte di fondo ai problemi da cui si è implicati. Il Marocco preferisce prendere tempo sperando che l’insoddisfazione si spenga. Poiché la parte fondamentale dei poteri risiede nelle mani del re.

Inerzia del palazzo

Atteso sul terreno delle rivendicazioni legate al caro vita, Muhammad VI reagirà a questo boicottaggio? E’ possibile che egli non si interessi a una problematica che riguarda, in teoria, un governo sottratto di ogni tipo di capacità di soddisfare le domande che gli vengono rivolte. Ma nel caso in cui decidesse di far fronte alle domande provenienti dalle strade, quale risposte potrebbe offrire il re per far cessare la contestazione? “Aspettare la festa del trono (il 30 giugno) per sentirsi dire quello che vi soddisfa mi soddisfa, quello che vi dispiace non piace neanche a me, non è sufficiente”, si legge su una pagina di Facebook che pubblica regolarmente notizie su Muhammad VI. In una frase, due aspetti problematici del comportamento politico del monarca sono posti: il primo è quello dei tempi delle sue risposte. Intervenendo spesso mesi e mesi dopo, secondo un calendario di discorsi politici pronunciati in date fisse, il re fa un doppio uso del tempo politico: come risorsa – si tratta di arrivare allo spegnimento della protesta – e come prerogativa di una superiorità che bisogna costantemente riaffermare – si tratta, insomma, si imporre i tempi della monarchia come tempi di riferimento, e d’attestare la sua preminenza sul tempo sociale. Il contraccolpo di un tale atteggiamento è una bassa reattività verso le domande dal basso. Gli interventi tardivi di Muhammad VI alimentano d’altronde tutta una serie di discorsi, ormai comuni, sul disinteresse di un re lontano dal suo popolo, insensibile al clamore e poco comprensivo delle sue urgenze. Il secondo aspetto fa riferimento all’uso fatto dal re delle rivendicazioni delle strade. Accade spesso che re Muhammad VI si appropri delle domande dal basso e le riformuli in una tonalità più consensuale e meno politicizzata. Quando fornisce delle risposte esse non sono rivolte ai singoli casi: si inseriscono piuttosto in un quadro d’azione più largo, preferibilmente dirette a tuttx marocchinx. Così il re cerca di diluire le rivendicazioni in questo quadro, e colloca le sue azioni non come risposta alle domande dei movimenti sociali, ma in un calendario di riforme che gli è proprio. Quest’ultimo può essere accelerato dalla protesta ma non è ne la conseguenza. Insomma, il re cerca di mostrare che il suo comportamento politico non è ancorato alle pressioni che vengono dal basso. Queste risposte penano ormai a convincere: da una parte, si tratta generalmente di progetti sul lungo termine o che restano non ultimati. Tutto il contrario di una risposta celere che potrebbe calmare la protesta. D’altra parte, queste risposte soffrono delle contraddizioni e delle incoerenze della gestione repressiva dei movimenti sociali: Muhammad VI affronta le domande di chi protesta imprigionando dei manifestanti. Che logica si può trovare in tutto ciò?

Continuazione del hirak

Qualunque siano i calcoli che hanno motivato la repressione del Hirak del Rif e quello di Jerada si sono dimostrati del tutto inefficaci: questi movimenti sociali non si sono spenti con l’arresto dei propri leader. Sono entrati in una fase di latenza e riemergono grazie al boicottaggio. Le loro reti sono, per una larga parte, restate del tutto indenni. Lo stesso dicasi delle disparità che li hanno fatti scoppiare: continuano a esistere. Le reti dei/le hiraks (aderenti al movimento Hirak N.d.T) sono ormai pienamente impegnate per la riuscita del boicottaggi: delle pagine Facebook pro-hirak mobilitano in questo senso, con un discorso persino radicale di cui l’audience – migliaia di condivisione per alcune pubblicazioni – e il livello di adesione che riscontrano devono interrogare Quello che unisce il boycott ai/alle hiraks non si limita alla vicinanza delle rivendicazioni e obiezioni – tra cui una diffidenza verso il campo politico che assegna l’identità stessa dei due movimenti. Il successo di questi movimenti è da percepire come una concatenazione di elementi. Il boicottaggio assicura in qualche modo la continuità delle mobilitazioni precedenti. Attraverso la loro durata e ampiezza, i movimenti sociali del Rif e di Jerada hanno messo in crisi il modello politico, economico e sociale del Marocco. Detto brevemente, hanno proceduto attraverso una produzione graduale di rotture, mettendo a nudo le disfunzioni, gli errori e i problemi nel funzionamento del paese. Il boicottaggio riprende una parte delle domande delle/dei hiraks, integra dei discorsi e delle rivendicazioni eterogenee, riformulati secondo dei denominatori comuni – e dunque suscettibili di suscitare un’adesione di differenti frange di società – che intrecciano uno all’altro. Il boicottaggio pone anche le basi delle mobilitazioni future: un episodio di protesta marca in maniera permanente coloro che vi partecipano. Mettendo insieme dei gruppi sociali atomizzati – alcuni anche poco inclini a impegnarsi in un’azione collettiva – attorno a una rivendicazione comune, il movimento di boicottaggio partecipa sia alla ramificazione (generalizzazione?) di un sentimento di malessere che alla missa in piedi di una esperienza – base : questa esperienza potrebbe costituire l’assise delle mobilitazioni a venire, poiché ha forgiato e posto le basi di un’azione collettiva contro delle diseguaglianze da una grande parte dei cittadini. Si tratta anche di una causa costruita come legittima nello spazio pubblico. Insomma il boicottaggio e le mobilitazioni nel Rif e a Jerada assicurano, attraverso un gioco di risonanze, un’attualizzazione delle domande sociali, una rigenerazione della mobilitazione. Tutto ciò ha creato una dinamica sociale alla quale lo Stato marocchino fino ad ora non ha saputo rispondere.

Liberazione dex detenutx politicx

Un’altra prova di questo fallimento si gioca ormai in date fisse davanti al tribunale di Casablanca. Optando per la repressione, il palazzo ha forse creduto che questa sarebbe stata sufficiente per spegnere la contestazione? A vero dire non ha fatto altro che contribuire a metterla in sordina, favorendo un suo sviluppo sotterraneo. Nel momento in cui il processo dex detenutx del hirak si avvicina alla fine, le speranze delle/degli attivisti del movimento si riducono con il susseguirsi delle udienze, con una regolarità che lascia presagire una fine prossima. Visti i capi d’imputazione, le pene che potrebbero essere pronunciate rischiano di essere molto pesanti. Quale via d’uscita per questa crisi a distanza di un anno da un processo funambolesco? Portato aventi fino alla fine, nessuno uscirà vincente. Lo stato marocchino, impopolare – sempre capace di punire l’azione collettiva sulla base di capi d’accusa sproporzionati e esorbitanti . La giustizia, poco indipendente – anche supponendo che non abbia ricevuto delle istruzioni, sicuro svolgerà il suo compito con eccesso di zelo. La polizia repressiva e impunita – arresti arbitrari, abusi riferiti dax detenutx: tutto è messo nel dimenticatoio. In generale, portato fino alla fine, questo processo mostrerebbe che niente cambia e niente mai può cambiare in Marocco. Una sola fine onorevole si prospetta: la liberazione delle e dei detenuti politici. Nel momento in cui i/le marocchine non esistano più a esprimere il loro malcontento in differenti forme d’azione collettive, e in cui Muhammad VI sembra aver raggiunto un certo grado di impopolarità, graziare i/le detenutx del Hirak aiuterebbe a bassare la collera popolare che sale, e alleggerire l’ambiente teso che regna in Marocco. Ciò potrebbe essere una dimostrazione di fiducia e il punto di partenza per una nuova dinamica di potere.

Il minuto indimenticabile

di Laurie Penny

tratto da https://longreads.com/2017/11/07/the-unforgiving-minute/amp/

Le cosiddette “rivelazioni” sull’endemica aggressione sessuale maschile a Hollywood, nei media, in politica, nel mondo della tecnologia, e nelle comunità grandi e piccole, non si sono fermate, nonostante ogni sforzo immaginabile di licenziare, screditare, vergognare e sminuire, i sopravvissuti si fanno avanti per chiedere un mondo diverso. La rivelazione più scomoda è il fatto che nulla di tutto ciò, in realtà, sia stato così rivelatorio.

Molte persone lo sapevano. Forse non lo sapevano completamente, ma ne sapevano abbastanza da sentirsi sporchi di una complicità che rendeva monca la loro compassione.

Si scopre che non si tratta di singoli mostri. Non lo è mai stato. Si tratta di violenza strutturale, di una cultura che ha deciso molto tempo fa che l’autodeterminazione e la dignità delle donne meritassero di essere sacrificate per proteggere la reputazione degli uomini potenti e delle istituzioni che lo hanno permesso. Tutti, compresi i “bravi ragazzi”, sapevano che stava succedendo. Non pensavamo che fosse tutto sbagliato. Almeno, non così sbagliato da fare storie, perché la gente che brancolava in modo insensibile e violento nella vita sapeva che se la sarebbe cavata, e la maggior parte degli uomini intorno a loro aveva il lusso dell’ignoranza.

Ma ora sembra che qualcosa stia cambiando. Ora, i vecchi dinosauri si stanno chiedendo come negoziare con questo asteroide in arrivo. Gli Stupidi Giovani, attuali o ex, sono in preda al panico per la loro attuale introduzione al concetto di “conseguenze”, fino alla domanda: quale, appunto, è l’età in cui ci si aspetta che gli uomini si assumano la responsabilità del loro comportamento?

La risposta, con un po’ di fortuna, è “The Digital One”.

Pochissimi uomini sembrano sicuri di cosa fare in questa situazione. Mi è stato chiesto più volte cosa dovrebbero fare ora uomini e ragazzi. Come dovremmo comportarci diversamente? In che senso dovremmo sentirci colpevoli? Cosa vogliono veramente le donne?

Bene. State finalmente chiedendo. Sospetto che se molti di voi avessero fatto quella domanda in precedenza, se lo avessero chiesto spesso, e se avessero prestato attenzione alle risposte, non avremmo dovuto avere questa conversazione – che nessuno vuole avere – proprio adesso. È un peccato, onestamente, che si debba arrivare a questo. Ma eccoci qui, e resteremo qui mentre i potenti imbroglioni di tutto il mondo si prendono una pausa dalla vita pubblica per passare più tempo con la polizia, e mentre le persone che hanno curato le ferite in privato per anni iniziano a mettere i pezzi del puzzle insieme finché non riconoscono la forma dell’ingiustizia.

Mi dispiace; sei nuovo qui. L’idea che l’autodeterminazione e la dignità delle donne potrebbero essere più importanti del diritto degli uomini di comportarsi come bambini egoisti quando vogliono, può sembrare un territorio inesplorato, ma alcuni di noi hanno vissuto qui da sempre. Non sai come muoverti, e l’intero posto sembra pieno di terrori nascosti, e sei stanco e spaventato e stare qui ti fa sentire ignorante e impotente. Non hai imparato la lingua – non l’hanno insegnata nella tua scuola – e desideri sapere come fare domande di base, come dove si trova la stazione più vicina, e quanto costa quel sandwich, e conosci il nome di un buon avvocato difensore? Spero che tu sappia come tradurre idee semplici, come: ho fame e sono solo e per tutta la mia vita ho lasciato che la mia paura del rifiuto delle donne controllasse il mio comportamento e quella paura sembrava così travolgente che non importava chi si fosse fatto male finché non dovevo sentirlo e tutti gli altri sembravano essere d’accordo e ora non so chi essere o come comportarmi, o penso che presto partirà un treno e potrei aver bisogno di salirci su.

Ultimamente ho passato un bel po’ di tempo all’help desk, indirizzando gli uomini verso le possibili risposte. Bado a questo tipo di lavoro meno del solito perché in realtà è il mio lavoro. Scrivo di questo per vivere. Ascolto e prendo appunti. I messaggi ammiccano sul mio telefono in un bizzarro effetto, come le luci di Gatsby attraverso il porto: uomini che raggiungono un mondo di donne che non hanno mai conosciuto, attraversano un golfo e non sanno se sono abbastanza coraggiosi da superarlo.

Il marito del mio amico vuole sapere se ha fatto la cosa giusta nel rispondere a un superiore al lavoro che ha detto che avrebbe smesso di assumere “donne bollenti” perché voleva solo aggredirle sessualmente.

Il mio amico fotografo vuole sapere perché non ha dato retta alle voci sui predatori nel suo settore, e se ora può rimediare.

Il mio amico ambientalista è preoccupato che le cose stupide che ha fatto da adolescente metteranno in secondo piano il lavoro che sta facendo oggi.

Nessuno vuole avere questa conversazione, ma abbiamo bisogno di averla. Eludere questa conversazione ha plasmato la nostra cultura; le culture sono definite non solo dalle storie che raccontano, ma anche da quelle che non raccontano. È lo spazio negativo che dà la definizione dell’immagine che abbiamo di come uomini e donne dovrebbero vivere insieme – e quella foto, ovviamente, è opera di una serie di vecchi maestri.

Abbiamo costruito intere vite, famiglie e comunità attorno all’assenza di questa conversazione. Eppure eccoci qui, ad averla comunque. Quindi affrontiamo alcune domande comuni, la prima delle quali è la seguente: come gestiamo ciò che sappiamo ora su come le donne sono state trattate così a lungo?

* * *

Questa è una domanda in due parti. È una domanda su come gli uomini dovrebbero ora relazionarsi alle donne in particolare e alla loro sessualità in generale. È anche una domanda su come affrontiamo tutti le conseguenze. Come affrontiamo il sospetto di ciò che sospettiamo, sapendo cosa sappiamo ora del nostro comportamento passato? La prima cosa che dobbiamo fare è continuare a conoscerlo – conoscerlo attivamente e non archiviarlo nella cartella dello spam della nostra coscienza collettiva. Dobbiamo stare qui, in questo luogo difficile. Dobbiamo guardare a ciò che abbiamo fatto e permesso che fosse fatto agli altri, senza batter ciglio o trovare scuse.

La settimana scorsa, mentre una nuova serie di accuse minacciava di rovesciare il governo britannico , un conduttore radiofonico mi ha chiesto se il corteggiamento fosse ora vietato. No. Non lo è. Per le persone prevalentemente-femminili che sono sul lato ricevente, la differenza tra corteggiamento e molestie – tra sesso e stupro – è estremamente chiara. Per alcune delle persone prevalentemente-maschili che fanno queste cose, sembra non esserci differenza, e quando inizi a spiegare la differenza, corrono, velocemente, fuori dalla stanza.

Il fatto che moltissimi uomini con cui ho parlato sembrano davvero pensare che il problema principale qui è come e se saranno in grado di fare una scopata in futuro è … Ingoio un urlo, e dico che è “interessante”. Incredibilmente, questa conversazione non riguarda te e il tuo coraggio. Ma poiché la differenza tra sesso e violenza sessuale sembra aver bisogno di spiegazioni, metti le mani sul tavolo per un secondo e ascolta.

(Nessuno qui pensa che l’intera area della sessualità sia necessariamente pericolosa e violenta per le donne. In realtà no, non è vero: molte persone lo pensano. Soprattutto uomini che hanno passato generazioni a immaginare il sesso e la conquista violenta come se fossero la stessa cosa, feticizzando i due insieme fino a quando l’immaginazione erotica popolare ha lasciato poco spazio tra passione e aggressione. Alcune di noi sono state dalla parte sbagliata di quella traiettoria per così tanto tempo che abbiamo rinunciato a cercare un modo per essere intime con gli uomini che non ci causasse dolore o rischio per le nostre vite, e immagino che quelle persone, la maggior parte delle quali sono donne, pensano che il sesso maschile sia intrinsecamente traditore, insalvabile e irrimediabilmente violento).

Il sesso, comunque, non è il problema. Il sessismo è il problema, così come il fatto che molti uomini sembrano incapaci di vedere la differenza. È esasperante il modo in cui quelli di noi che si lamentano dell’abuso sono accusati di cercare di fermare il sesso e la sessualità, come se ci fosse mai stato permesso di essere partecipanti sessuali attivi, come se l’abuso e la paura di abusi non avessero reso il sesso piacevole impossibile per tanti di noi.

Il sesso non è il problema, ma per alcune persone lo stesso sessismo è diventato erotizzato, e questo, sì, è un problema. “Non è il corteggiamento con cui abbiamo problemi”, ha detto la mia migliore amica, una sera tardi dopo un altro giro di estenuante lavoro emotivo in cui si cerca di puntellare l’immagine degli uomini che conosciamo così da non crollare. “È un diritto. Proiezione. Oggettivazione. Sappiamo quando siamo disumanizzate. Il buon corteggiamento è il modo in cui ci vedono. Non sapranno come corteggiare nel modo giusto finché non inizieranno a disimparare come guardarci.”

John Berger ha detto che “gli uomini guardano le donne e le donne guardano se stesse così come sono guardate”. Sono stufa di essere guardata. Voglio essere vista. Sono emotivamente ciechi quelli che guardano una persona in piedi proprio di fronte a loro e vedono uno specchio, non una finestra.

Molti degli uomini con cui ho parlato di questo hanno iniziato di propria spontanea volontà a parlare di “non oggettivare più le donne”. A chiedersi se dovessero smettere di guardare alle belle donne, se l’atto di desiderare un’altra persona è di per sé violento. È molto triste che sia sorta questa confusione; dovrebbe essere possibile volere qualcuno senza disumanizzarlo. Ma abbiamo apparentemente creato un mondo in cui è incredibilmente difficile per un uomo desiderare una donna e trattarla allo stesso tempo come un essere umano.

Quindi no, non stiamo cercando di mettere fuori legge la sessualità. Stiamo cercando di liberarla. Chiedi come sopravviverà la specie se dovessimo controllare costantemente il consenso prima di arrivare a riprodurci, ma ti assicuro che la specie ha problemi più urgenti.

* * *

Il pezzo mancante più grande di questa immagine è il desiderio delle donne. Se alle donne fosse permesso di articolare realmente i nostri desideri, allora potremmo saltare alcune lezioni e passare direttamente al livello avanzato di apprendimento -trattare-le-donne-come-persone, quello in cui parliamo di gestire i nostri sentimenti come adulti.

Alcuni uomini con cui parlo sono preoccupati, ora, che “dover chiedere” significherà più rifiuto. Vorrei attirare l’attenzione sul fatto che, mentre le donne ovunque confessano i crimini che altri hanno commesso contro di loro, descrivendo vite di umiliazione e ferite, il secondo o il terzo pensiero nella mente di alcuni uomini è l’ansia se questo influirà sulle loro possibilità di ottenere.

Capisco che sei terrorizzato dal rifiuto. Entra nel club. Il rifiuto è il peggiore. È così terribile che un’intera architettura di silenziosa violenza, vergogna e colpa è stata costruita per aiutare gli uomini a evitarlo. Se il desiderio delle donne è assente da questa conversazione – se le donne non sono pensate come esseri desideranti, se il desiderio femminile è così terrificante che possiamo a malapena parlarne senza risate nervose – allora sì, resteremo confusi sulla differenza tra seduzione e aggressione. Quella confusione non è la natura umana. La natura umana è una scusa pigra per non fare un lavoro di cambiamento proprio adesso, e sono stufa di sentirlo.

Gli uomini che credono di non poter cambiare vengono già superati ogni giorno dal numero crescente dei loro simili uomini umani che sono cambiati, che stanno cambiando. Possiamo riscrivere la sceneggiatura sessuale dell’umanità. Lo abbiamo già fatto.

Sfortunatamente, siamo in uno di quei momenti rari e curiosi in cui dobbiamo fare qualcosa di ingiusto e doloroso per rispondere a decenni di dolore e ingiustizia. Non volevamo fare un esempio di nessuno. Abbiamo cercato di chiedere gentilmente la nostra umanità e dignità. Abbiamo provato a metterla dolcemente. Nessuno se ne è fregato. Ora che ci sono delle conseguenze, ora che finalmente c’è, per una volta, una sorta di prezzo da pagare per trattare le donne come pezzi di carne intercambiabili e chiamarlo romanticismo, stai prestando attenzione.

Questo è quello che succede quando le donne mettono attivamente in primo piano i propri bisogni. L’intero dannato mondo impazzisce. Non ti biasimo per aver dato di matto adesso. Sto andando fuori di testa. Non mi aspettavo che succedesse così in fretta.

Sei stato portato a credere che quando si trattava di sesso – e in qualche modo si arriva sempre al sesso – le donne non erano persone come te. Ti è stato insegnato che il sesso era una merce che puoi acquisire contrattando, tormentando o forzando. Non ti è mai stato detto che è sbagliato fare queste cose. Beh, ti è stato detto, ma non spesso, o non da nessuno di cui ti importasse.

Tutto ciò non ti sembra ingiusto, anche se per noi è stato molto meno giusto e molto più pericoloso.

Sembra anche ingiusto che alcuni uomini che hanno ferito le donne saranno fatti esempi nelle loro comunità e nei luoghi di lavoro mentre altri che hanno fatto lo stesso fuggiranno, per ora. Sembra ingiusto che il costo degli errori commessi durante la tua giovinezza possa essere il rispetto professionale, la sicurezza del lavoro, il denaro e il potere. Ma è stato molto meno giusto per molto più tempo per le persone che sono state ferite e umiliate, mancate di rispetto e degradate, e che dovevano scegliere tra il silenzio vergognoso e far esplodere le loro carriere o le loro comunità parlando.

Per così tanto tempo, le donne hanno confessato i crimini commessi dagli uomini e punite di conseguenza. Questo, penso che sarete d’accordo, è veramente ingiusto.

* * *

Ti stai chiedendo se il perdono è possibile. Se l’amnistia è all’orizzonte. Se peschi i tuoi crimini del passato e li fai gocciolare ed asciugare di fronte a noi, ti accetteremo, sarai perdonato, ti lascerò tornare nel luogo dell’accogliente amore femminile che ti è stato detto sia l’unica tregua dall’orrore del mondo?

La risposta alla fine sarà sì. Bene, alla fine la mia risposta sarà sì. Non posso parlare per tutti, mai, e in particolare non in questo caso, dato che sono patologicamente indulgente e spesso mi è stato detto da persone che hanno a cuore il mio benessere che la mia vita sarebbe stata migliore se non avessi permesso agli uomini di cavarsela con tante cazzate perché non mi aspetto niente di meglio. Eppure, alla fine la mia risposta sarà sempre sì, sì, sei perdonato. Ma io sono solo una persona, e non sono sempre una persona saggia, e anche io posso dirti che questo è un brutto momento per chiedere perdono. Aspetta un po’.

Ci sarà tempo per le scuse. Abbiamo il resto delle nostre vite per farlo in modo diverso. Ci sarà tempo per raggiungere quelli che potresti aver ferito e dire che eri una persona più giovane e diversa, ti dispiace, non lo sapevi, hai cercato di non sapere, lo sai ora. Ci sarà tempo per farlo bene, ma ci vorrà esattamente questo. Prenderà del tempo.

Quello che le donne come me vogliono a lungo termine è che tu fermi questa merda e ci tratti come persone. Vogliamo che tu accetti di aver fatto cose cattive, in modo che in futuro tu possa fare di meglio. Vogliamo un sapore di eguaglianza che nessuno di noi ha mai assaggiato prima. Vogliamo condividerlo con te. Vogliamo un mondo in cui l’amore e la violenza non siano così facilmente confusi. Vogliamo una specie di sessualità che non sia un gioco in cui siamo la preda da appendere sanguinante sul muro della tua camera da letto.

In questo momento, vogliamo anche essere furiose. Non abbiamo finito di descrivere tutti i modi in cui questa merda non va bene e non va bene da più a lungo di quanto tu possa credere. Vogliamo che tu faccia spazio per il nostro dolore e la nostra rabbia prima di iniziare a dirci come hai sofferto anche tu, no, davvero. Siamo arrabbiate e siamo deluse.

Perché hai reso tutto prezioso nella nostra vita, a condizione di non fare storie.

Perché ti sei comportato come se il tuo diritto di non avere mai a che fare con le emozioni di qualcun altro o imparare la forma della tua fosse più importante della nostra stessa umanità.

Perché ci hai fatto portare il peso di tutta la ferita che non ti ha mai riguardato, e poi ci hai elogiato per essere così forte.

Perché abbiamo cercato per così tanto tempo di credere al meglio di te, perché sembrava che non avessimo altra scelta.

Ti prometto che sopravviverai alla nostra rabbia. Abbiamo vissuto nella paura della tua per così tanto tempo.

Resta qui, in questo posto difficile. Resta qui attivamente. Respira attraverso il disagio e presta attenzione a ciò che ti sta dicendo. Ascolta le donne. Credi alle donne. Ci sarà molto da imparare e molto di più da disimparare.

Certo, possiamo stilare un elenco di regole e, a breve termine, potrebbe persino aiutare. Non lasciare che il lavoro di qualcuna ti consenta di afferrarla e prenderla quando sei ubriaco. Non scopare le persone che sono incoscienti. Non dare per scontato che una donna che ha fatto il minimo sforzo con i suoi capelli e il suo trucco abbia dato a chiunque un invito. Posso andare avanti. Vorrei non doverlo fare.

Sei appena arrivato in questo strano nuovo paese in cui le donne sono esseri umani le cui vite e sentimenti sono importanti e mentre trovi la tua strada, sì, è utile memorizzare alcune frasi chiave. Posso baciarti? Ok va bene. Ti piace questo? Mi vuoi? Ecco cosa voglio; cosa vuoi? Puoi sondare le forme di queste frasi, ma insegnarti è un grande sforzo e, francamente, a lungo termine sarebbe molto meno lavoro per tutti quelli coinvolti se imparassi semplicemente la lingua. Basti pensare alle interessanti conversazioni che potremmo avere in una retorica di mutua umanità.

Pensaci e sii coraggioso. Trova il dannato coraggio di ammettere di aver sbagliato, in modo che tu possa iniziare a farlo nel modo giusto. C’è un treno che parte presto. Fa alcune soste sulla strada verso un futuro meno mostruoso, e ti consiglio di salirci su.

 

INTERSEZIONI_Rassegna maggio-settembre 2018

Il blog collettivo “La piega” è nato nel luglio del 2017 con l’obiettivo di dare una lettura intersezionale alle diverse tematiche legate alla liberazione e al superamento delle oppressioni che viviamo nelle nostre vite e che attraversano la società in cui viviamo. Il posizionamento contro le frontiere e la repressione delle persone migranti o la loro gestione nel circuito della cosiddetta accoglienza, l’apertura di un dibattito sulla relazione tra animale e umano in un’ottica antispecista, l’approfondimento del confonto nei mondi del transfemminismo queer, la messa in discussione del linguaggio e degli obiettivi della sinistra e l’autoreferenzialità dei percorsi di movimento: questi sono alcuni temi che hanno caratterizzato il lavoro del blog in questi mesi, con i nostri post e le varie traduzioni di contributi che abbiamo reputato interessanti. In occasione della pubblicazione del numero zero cartaceo de “La piega”, abbiamo deciso di raggiungere un altro obiettivo che ci eravamo posti all’inizio del nostro percorso e cioè mettere in relazione e confronto esperienze di lotta e di riflessione che si sviluppano su varie tematiche, sempre in un’ottica intersezionale. Per questo motivo è nata questa rassegna di quattro incontri, rassegna che abbiamo chiamato appunto “Intersezioni”, con lo scopo di aprire un’altra piega, un luogo fisico di scambio di idee e di relazioni complici nel medesimo percorso ed esperienza di liberazione contro le oppressioni. Questo è il programma competo di “Intersezioni”:

Sabato 19 maggio ore 20.00 – Spazio sociale “Murotorto” Eboli (Sa).

Proiezione del documentario “No Pet” sul randagismo e dibattito con l’autore Davide Majocchi. A seguire cena sociale e dj set.

Domenica 3 giugno ore 18.00 – sede Cobas – via R.Cocchia, Salerno

TSO, dalla proposta di riforma al superamento del controllo psichiatrico, dibattito con il collettivo “Senzanumero”.

Domenica 17 giugno ore 11 – Spazio sociale “Murotorto” Eboli (Sa).

Dai ghetti ai campi di lavoro. L’evoluzione del sistema di “accoglienza”, repressione e sfruttamento delle persone migranti. Incontro di formazione con la rete “Campagne in lotta”.

A seguire pranzo sociale.

Domenica 16 settembre. Dibattito su “L’opera di Mario Mieli e il rapporto tra generi e sfruttamento del lavoro” con F.Zappino e le Cagne sciolte

La notte della Repubblica e la damnatio memoriae del conflitto

Il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse è un episodio storico che è diventato lo spunto di una rivisitazione complessiva della stagione conflittuale degli anni settanta, anche attraverso la costruzione di un immaginario che colloca quanto accaduto in Via Fani e poi in Via Caetani all’interno di un dramma storico-teologico ricostruito ad uso e consumo dei poteri attualmente egemoni nel nostro paese.

Diverse sono le opere cinematografiche e letterarie che hanno affrontato gli eventi di quarant’anni fa, dando una particolare interpretazione della figura politica di Aldo Moro, del ruolo delle Brigate Rosse e di quanto è girato attorno a quella drammatica vicenda, presentando talvolta poteri esterni al commando brigatista come attivi in un complotto internazionale (eravamo del resto ancora nel mondo dei blocchi contrapposti USA-URSS) o addirittura richiamando la famosa seduta spiritica a cui partecipò anche Romano Prodi e da cui emerse il nome Gradoli, nome che portò la polizia a scandagliare i fondali del lago in Abruzzo piuttosto che andare nella via di Roma nella quale era detenuto il leader democristiano.

In questo articolo vorrei analizzare brevemente un’opera cinematografica che ha dato un suo contribuito alla costruzione dell’immaginario relativo al sequestro Moro.

Il film è “Buongiorno, notte”del regista Marco Bellocchio, una pellicola del 2003, della durata di 105 minuti, con Maya Sansa, Luigi Lo Cascio, Roberto Herlitzka, Paolo Briguglia. Il film legge la vicenda del sequestro di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse da un’angolazione piuttosto originale. Moro (Roberto Herlitzka) viene presentato come un onesto padre di famiglia, dolente e inconsapevole vittima sacrificale, mentre i brigatisti appaiono invece come una specie di setta religiosa fanatica molto “cristiana”, da intendersi nel senso deteriore del termine per il laico Bellocchio, che recita stolidamente mantra come “la classe operaia deve decidere tutto” con i combattenti che non riescono a godersi i piaceri della vita, offuscati come sono dalla loro ossessione ideologica mortifera e castrante.

Il confronto tra la brigatista infiltrata nella biblioteca statale (Maya Sansa) e il suo collega (Paolo Briguglia) che cerca di corteggiarla intuendo e stuzzicando questa sua natura frigida e non aperta all’edonismo, ci conduce ad una sorta di equivoco diacronico per cui i brigatisti nel film di Bellocchio sono un po’ come degli alieni provenienti dai freddi anni di piombo degli anni ‘70 e catapultati nell’Italia edonista del decennio successivo. Il contesto sociale è già quello della “Milano da bere” e degli yuppies degli anni ‘80, solo i brigatisti si aggirano ignari per le strade coi loro mitra senza sapere che la rivoluzione è già finita. Anche il contrasto tra i brigatisti e lo stesso personaggio di Moro è straniante, con l’immagine del brigatista rapitore con la barba lunga, un immenso boscaiolo comunista che controlla Moro nella sua detenzione, e il povero statista democristiano rannicchiato nella sua copertina di lana intento a recitare il rosario e a ripetere in maniera innocente e ingenua come la DC sia un partito popolare, disponibile al confronto con tutti, persino con gli spietati terroristi rossi.

Più che aprire uno squarcio di verità storica sul rapimento Moro, il film di Bellocchio ci rappresenta la contrapposizione ideale tra la scelta di una vita dedicata al sacrificio per un’ideologia astratta e la scelta di una vita orientata ad un edonismo post-ideologico vincente, con la figura di Moro destinata ad essere sacrificata in questo scontro tra mondi incomunicabili. Questa lettura contro-ideologica e libertaria, però, pur nella grande capacità artistica di Bellocchio, innesca una serie di cortocircuiti paradossali. Innanzitutto la presunta innocenza di Aldo Moro non è credibile, così come non può essere quella del sistema democristiano che egli rappresenta, un sistema politico atlantico-mafioso ben più violento e ideologico delle stesse Brigate Rosse, che pretendevano di combatterlo con un piccolo nucleo avanguardista, di fatto destinato al suicidio.

Non convince poi il fatto che l’irrigidimento ideologico stia sempre solo da una parte, quella degli sconfitti, e che il corso della storia sia un naturale dispiego di eventi da cui nutrirsi per la propria felicità individuale, mettendo così da parte ogni istanza etica, anche la più generica. Si finisce così per depotenziare qualsiasi ragionamento serio e l’arte di Bellocchio viene risucchiata nel consueto discorso nazional-popolare oggi obbligatorio sugli anni di piombo: il conflitto è stato una follia e anche il suo ricordo va esorcizzato per paura che si possa riproporre. Non è possibile espungere il conflitto dalla storia o sublimarlo in un vitalismo post-ideologico. Se non nelle vesti dei brigatisti, pseudo-cristiani e fanatici settari, i barbari possono sempre ritornare, anche in questo presente devastato e sterilizzato. Anzi, se ci fate caso e guardate con attenzione, sono già tra noi.

L.C.