Il nuovo bipolarismo e le sviste della sinistra

Negli ultimi giorni, dopo che è esploso il clamoroso contrasto tra Mattarella e Salvini sulla composizione del cosiddetto “governo del cambiamento” (una proposta di esecutivo dai tratti fortemente autoritari, con un programma antipopolare e giustizialista, caratterizzato dalla “flat tax” e dalla richiesta del carcere per i minori, nel contesto del quale i Cinque Stelle hanno piazzato il loro reddito di cittadinanza e la difesa dell’acqua pubblica ma di fatto consegnando l’indirizzo politico nelle mani della Lega di Salvini, che pure aveva avuto la metà dei voti alle scorse elezioni…) tutto lo scenario politico italiano si è polarizzato sulla questione della sovranità nazionale contro il dominio dei mercati e dei burocrati di Bruxelles. Forse per volontà di entrambi, sia Salvini che lo stesso Mattarella, si è voluto creare un nuovo bipolarismo nei contenuti politici e nelle prossime alleanze elettorali e parlamentari, spiazzando così il povero Di Maio che aveva fatto professione di atlantismo ed europeismo pur venendo da una storia no-euro e filo putiniana: i suoi sforzi di moderare il Movimento Cinque Stelle pur di entrare nella stanza dei bottoni sono stati resi vani dall’accelerazione sovranista di Salvini e dalle contromosse di Mattarella. Ora, se questo sarà dunque lo scenario dei prossimi anni e il contenuto caratterizzante della cosiddetta Terza Repubblica, ovvero un bipolarismo tra fronte euroscettico e fronte repubblicano ed europeista, appare chiaro che tutta la sinistra sia destinata a continuare a rimanere ai margini dello scontro politico in atto nell’ambito istituzionale. Non siamo dunque in Portogallo, dove i socialisti governano con la sinistra radicale cercando di mediare tra i diktat di Bruxelles e lo scontento popolare, oppure in Inghilterra dove il Labour grazie al carisma di Jeremy Corbyn si è ripreso il suo spazio socialdemocratico. Tanto meno siamo in Grecia dove la sinistra radicale, una volta arrivata al potere grazie a una grande mobilitazione sociale, sta gestendo tutte le politiche infami di austerità e repressione. Siamo in Italia, dove quando si parla di “sinistra” si può fare riferimento al Partito Democratico, ossia il referente politico di Confindustria, mentre la sinistra radicale (ricordate la teoria delle “due sinistre” di Fausto Bertinotti?) è sparita dalla scena politica dopo aver appoggiato il secondo governo Prodi, ormai più di dieci anni fa. E allora ci si pone la domanda, anche negli ambiti di movimento che sono fuori da una diretta partecipazione alla politica istituzionale, se sia il caso di attraversare, anche criticamente, uno dei due campi che si stanno creando, quello euroscettico o quello repubblicano. Se il secondo appare impraticabile per la presenza ingombrante del Partito Democratico e per il fatto che a Bruxelles si imponga ancora una politica di pesanti tagli allo stato sociale di stampo monetarista, nel secondo fronte alcuni pensano si possa fare un’operazione di attraversamento critico, scomponendo la parte chiaramente fascista, sovranista e nazionalista dell’euroscetticismo da quella che combatte i poteri europei con un impianto più democratico e aperto alle rivendicazioni popolari e sindacali. Un’operazione del genere, è stata già tentata per altri versi nel passato, quando i movimenti si erano interessati a condizionare le ambivalenze presenti nei famosi “forconi”, nel cosiddetto “No sociale” al referendum proposto da Matteo Renzi. Sia detto per chiarezza, combattere i poteri europei è sacrosanto, quando la “fortezza Europa” sta praticando uno sterminio contro i migranti con la chiusura delle frontiere, oppure quando da Bruxelles si condizionano eventuali politiche progressiste (ove mai queste politiche fossero proposte da un governo nazionale, cosa raramente accaduta negli ultimi decenni, basti pensare che le stesse forme di sostegno al reddito sono state ripetutamente caldeggiate da Bruxelles ai governi italiani, di centrodestra come di centrosinistra, e non sono mai state accettate). In generale, il contrasto ai poteri rappresentativi è una cosa buone e giusta, siano essi collocati a Bruxelles, a Roma o a Varese e Monza (come auspicava la Lega Nord ai tempi di Umberto Bossi). La strada per la costruzione di un blocco sociale antagonista caratterizzato dai temi “No euro”, contro i trattati economici, è comunque veramente stretta e difficilmente porterà ad aggregare qualcosa di più che un movimento residuale. Siamo veramente sicuri, come scrivono alcune riviste online dell’antagonismo, che nella composizione di classe sia prevalente un sentimento anti-europeo, in primis contro la moneta unica? Questa idea, a prescindere se sia conveniente o meno ritornare alla Lira, magari guidati da un esecutivo fascistoide purché sia, sembra veramente lunare. Chi conosce la condizione dei milioni di proletari meridionali, ad esempio, costretti a decidere se emigrare all’estero oppure restare e barcamenarsi tra lavori precari e sostegno del welfare familiare, dovrebbe capire che i desideri e le preoccupazioni che attraversano questa composizione di classe spingono verso tutt’altra direzione. Chi è emigrato all’estero o conta di farlo, magari temporaneamente, sa bene che uno scontro con i paesi forti dell’Eurozona, meta principale dell’emigrazione dall’Italia, sarebbe un bel problema, che indebolirebbe immediatamente la posizione sul mercato del lavoro dei migranti. Chi resta in Italia, con tutte le difficoltà del caso, ricorda quanto avvenne ai tempi del passaggio dalla Lira all’euro, quando una pizza e una birra praticamente raddoppiarono di prezzo, quando ad arricchirsi nel passaggio furono padroni, commercianti etc, non certo studenti e precari: il sospetto, fondato o meno, è che in un passaggio inverso, dall’euro a una nuova moneta nazionale, a perderci siano sempre gli stessi. È troppo facile pensare che per costruire questo fronte anti-euro da sinistra basti fare una filippica ideologica contro lo strapotere dei mercati e il dominio dei burocrati liberisti di Bruxelles. Il sospetto è che le riforme economiche proposte dagli economisti e dai politici no-euro o immediatamente conseguenti dalla rottura con l’eurozona, dalla svalutazione della moneta a una ripresa dell’inflazione, siano devastanti per chi campa con una piccola rendita familiare e non certo grazie solo al solo stipendio. Pensiamo anche a queste cose quando ci facciamo promotori e interpreti dei desideri della classe e degli sfruttati, perché il rischio reale è che l’unico agente ideologico effettivamente efficace nel richiamare le masse a combattere Bruxelles sia il fascismo. Per quanto riguarda invece la costruzione reale di movimenti popolari contro l’Europa, in effetti qui ci troviamo di fronte a una delle più clamorose miopie politiche della sinistra antagonista o come la si voglia chiamare: una lotta di massa contro il dominio di Bruxelles è già attiva e presente oggi e coinvolge migliaia di persone ogni giorno, è la lotta contro le frontiere che praticano le persone migranti rischiando la pelle. Si potrebbero, invece di pensare con quale moneta e quale governo reprimere e sfruttare le persone, rafforzare le reti di solidarietà con i movimenti di lotta che attraversano i paesi del mediterraneo, stringendo relazioni con chi si ribella oggi a Tunisi, nel Rif in Marocco, in Egitto, ché magari sono le stesse persone che qui vengono incarcerate in un C.P.R. o lavorano nelle campagne pugliesi o calabresi.

Pasquale Caetani