Fare come in Rojava. In ricordo di Ennio Carbone

Era la mattina dell’otto marzo ed ero arrivato puntuale all’appuntamento nei pressi della stazione, ma non vedevo ancora nessun* avvicinarsi per l’inizio del corteo. Forse ero addirittura in anticipo, forse era la solita nostra abitudine “compagnesca” a far partire sempre le cose in ritardo, comunque speravo di vedere un po’ di gente per quello che era un corteo a cui tenevo tantissimo. Mi guardo un po’ in giro e finalmente vedo un volto amico: a venirmi incontro è Ennio, che mi stringe la mano con la consueta forza e comincia subito a parlarmi in maniera diretta e con determinazione. Ricordo bene quello che mi disse, mentre facevamo dei discorsi generici sul movimento, sulla lotta delle donne e sull’otto marzo. Tre cose che ci insegna il Rojava: autogestione, femminismo, ambientalismo. Questo è il futuro delle lotte e del movimento, mi disse Ennio, completando il suo ragionamento risoluto con gesti secchi a ribadire quanto affermato con convinzione. Io ero partito a discutere con qualche timida lamentela e una visione un poco più pessimistica, figlia delle mille polemiche e scazzi vissuti negli ultimi mesi e forse anche della preoccupazione di non vedere molta gente al corteo che sarebbe dovuto partire a breve. Per questo motivo la sicurezza di Ennio nell’individuare i fronti di lotta da portare avanti mi colpì molto, anche perché effettivamente, pensai, dal Rojava ci stava venendo un insegnamento pratico e non solo teorico che andava approfondito con grande rispetto e attenzione. Passano i minuti e vediamo che ci sono nella piazza altri piccoli gruppi di persone venute per il corteo, studentesse dei licei per lo più, poi arrivano altre compagne e poco dopo finalmente si può partire. La mattinata va alla grande, la manifestazione indetta da “Non Una di Meno” non solo è partecipata ma risulta anche combattiva, allegra e determinata, con decine di ragazze che urlano slogan femministi bloccando anche il traffico del centro cittadino di Salerno. Vedo Ennio davvero contento che si complimenta con le compagne che hanno organizzato la giornata, anche io sono felicissimo e trovo nel suo compiacimento la continuazione di quel discorso che mi aveva fatto su femminismo e autogestione. Quando qualche giorno fa ho appreso con sgomento che Ennio era stato colpito da una grave e rapida malattia che in breve lo ha portato alla morte, mi è venuto subito in mente questo episodio, per come ho avuto la fortuna di conoscere un compagno così forte, determinato, che ti trasmetteva grande fiducia. Ricordo anche quando eravamo nello stesso spezzone del corteo contro i “decreti sicurezza” ed Ennio fece partire un coro straordinario: “Il potere deve essere abolito!”. Fuori di ogni retorica, in queste giornate così drammatiche per chi è debole e ultim*, come chi è reclus* nelle carceri o non ha i documenti per stare in questo paese razzista, penso a Ennio e alla sua lucidità nel vivere una vita intera che ha attraversato decenni di lotte e di movimenti sempre da anarchico, sempre contro lo Stato e per l’autorganizzazione di chi è sfruttat*. Una lucidità di cui avremmo bisogno ancor di più oggi quando lo Stato, nella sua criminale continuità storica portata avanti in questo paese, dalla dittatura fascista alla “Repubblica fondata sul lavoro”, compie le sue peggiori stragi nelle galere con i prigionieri minacciati dal contagio del coronavirus. Ennio mi sollecitava spesso a tenerlo aggiornato su quello che facevamo e scrivevamo sulle pagine de “la piega”, sempre interessato a seguire tutti gli argomenti che coincidevano con le sue passioni, dall’anti-psichiatria al transfemminismo, dalla lotta alle carceri alla rivoluzione del confederalismo democratico. Per questo motivo nel nostro piccolo continueremo a scrivere e a lottare anche per lui, per rendere vivo nelle lotte il suo ricordo: nel nome di un anarchico, di un compagno, un amico che ha vissuto una buona vita, con un immenso amore per la libertà.

l.c.