Riceviamo e pubblichiamo.
Aziz Alhini, trentasettenne marocchino, era agli arresti domiciliari presso la “Domus Misericordiae”, struttura gestita dalla Caritas e sita a Salerno nella frazione collinare di Brignano, quando si è tolto la vita.
La sua storia è stata segnata da un clamoroso errore giudiziario: il 14 febbraio del 2016 Alhini viene denunciato per il furto di un portafogli (in seguito ritrovato) e condannato alla pena di tre anni di carcere, che inizia a scontare presso la casa circondariale di Fuorni a Salerno per poi proseguirla agli arresti domiciliari a Brignano, essendo senza fissa dimora. Alhini avrebbe finito di scontare la pena il 13 gennaio 2019, ma gli viene comunicato che avrebbe dovuto presentarsi in Questura perché sarebbero state avviate le procedure di espulsione. Dopo una condanna che viveva come un’ingiustizia e il carcere, sarebbe stato quindi deportato in Marocco. Così arriviamo alla tragica decisione di Alhini di togliersi la vita la notte di Natale.
Decine di migliaia di persone sono etichettate dalle leggi italiane come “irregolari”, sono costrette a vivere ai margini e in modi considerati sempre “illegali”: trovarsi un tetto in un edificio abbandonato, costruirsi un riparo, chiedere l’elemosina, lavorare in nero, rubare per sopravvivere. A guardia della società che li ha resi irregolari per meglio dominare e sfruttare, c’è il carcere, il CPR e la minaccia della deportazione. E così nelle stesse 24 ore si viene arrestati come Jabre e Boundaung per aver preso della legna in un bosco per costruirsi una capanna nella baraccopoli di San Ferdinando, si muore suicidi come Aziz Alhini, si muore assiderati come il 36enne marocchino Nassid Fouad, sotto una tettoia all’ex scalo merci alla stazione di Montebelluna, o travolti da un tir al quale si era aggrappato, come il giovane afgano, del quale non si conosce il nome, nella zona del porto di Ancona.
Tutto questo ha dei responsabili ben precisi e noti, gli stessi che garantiscono lo sfruttamento e l’apartheid, incarcerano e costruiscono lager, deportano e rendono un inferno la vita di tante persone migranti, le stesse istituzioni responsabili delle stragi nel Mediterraneo e della chiusura delle frontiere. Per ricordare Aziz e tantx come lui che sono finitx in questo circuito repressivo rinnoviamo l’invito a costruire e rafforzare sempre di più la solidarietà con le lotte che le persone migranti portano avanti ogni giorno dentro i lager, nei centri di accoglienza, nelle nostre città e nelle campagne.
laboratoria no confini