Krasnojarsk, Siberia, 19 febbraio 1942. Un colpo di pistola alla tempia pone fine alla vita di Edmondo Peluso, rivoluzionario nato a Napoli nel 1882, uno dei fondatori del Pci, libertario e giramondo. Nel libro di Didi Gnocchi “Odissea rossa. Storia di un fondatore del Pci” viene ricostruita la vita avventurosa di Peluso: compagno degli spartachisti in Germania nel 1918, delegato a Mosca assieme a Bordiga nel IV Congresso dell’Internazionale, poi corrispondente per l’Unità e quindi trasferitosi in URSS, dove viene infine arrestato nel mezzo delle purghe staliniane del 1938. Gli interrogatori fatti dalla polizia russa a Peluso ricalcano quelli rivolti ai grandi dirigenti sovietici travolti dalla furia di Stalin: come Zinov’ev e Kamenev, Peluso è indotto in tutti i modi a confessare i propri crimini di spia o di contro-rivoluzionario, sacrificando sull’altare dell’edificazione del socialismo la propria dignità di uomo e la verità dei fatti. Dopo un’iniziale confessione estorta al rivoluzionario napoletano dagli inquisitori della Nkvd, però, Peluso riprende in mano con grande coraggio il filo della sua coerenza di militante e decide di reagire alle torture psicologiche della polizia, iniziando un percorso sempre più duro di carcere e deportazione che lo condurrà alla fine ad essere ucciso nel gulag siberiano di Krasnojarsk. Nel libro di Gnocchi (un testo tanto poco conosciuto quanto prezioso) si ipotizza che lo stesso Palmiro Togliatti sia intervenuto inviando ai vertici di Mosca una lettera in difesa del suo connazionale e compagno di partito, cercando in questo modo di salvargli la vita: un tentativo, quello che avrebbe fatto il “Migliore”, piuttosto inconsueto, vista la quantità di comunisti e rivoluzionari che venivano condotti al patibolo senza che i vertici del Pci volessero o potessero fare nulla. La richiesta di clemenza di Togliatti, comunque sia, viene ignorata e Peluso viene condannato in qualità di “contro-rivoluzionario”, salvo poi essere “riabilitato”, secondo il costume sovietico dell’epoca, solo nel 1956 nella fase della destalinizzazione promossa da Kruscev: non più spia del fascismo e nemico del popolo, alla memoria di Peluso viene concessa una postuma e sicuramente molto parziale giustizia. La figura del militante comunista resta comunque poco conosciuta nel suo paese di origine, per cui è interessante leggere alcune sue parole attribuitegli dai suoi carcerieri in Siberia. Rinchiuso nel gulag staliniano, secondo un dossier ritrovato negli archivi di Mosca dopo la caduta dell’Urss, nel giugno del 1941 Peluso pronuncia queste parole ad un suo compagno di detenzione:
«Io che sono stato fino a poco tempo fa nemico del fascismo, non desidero più essere cittadino dell’Urss. Non mi rimane più niente da fare in Urss. Il cosiddetto comunismo e socialismo di Stalin boicottano tutti i partiti socialisti e i partiti comunisti, una volta fratelli. In Urss non c’è alcun socialismo, ma esistono degli esperimenti folli, che sbalordiscono tutto il mondo, su un popolo che ha perso il buon senso. Questo non appare vicino nel suo risultato finale al socialismo, bensì ad un rozzo dispotismo, che può fiorire soltanto nelle condizioni della dittatura più crudele. In una situazione imperialistica come noi oggi possiamo osservare, il socialismo, questo bellissimo e seducente fenomeno politico, che da migliaia di anni vive nei sogni più rosei dell’umanità, è presentato al mondo nel modo più deturpato dai dirigenti del partito dell’Urss. Il popolo sovietico è circondato da un mare di lacrime, di dolori, di privazioni, da file interminabili per il pane, questo prodotto principale dell’alimentazione, file per un metro di stoffa per coprire la sua nudità, e da una fatica veramente da galera, un vero pesante lavoro forzato. Insomma su tutti costoro grava il marchio della burocrazia che li opprime appiattendoli tutti allo stesso livello. Tutti i giornali riguardo al contenuto, e non parlo già di indirizzo politico, sono simili l’uno all’altro come due gocce d’acqua. La gente in Urss pensa come le viene ordinato. Il socialismo in Urss rappresenta il trono dell’Nkvd, un trono lordato dal sangue degli uomini migliori. Ma io vi dico che questo potere si regge sulle baionette, sulle camere di tortura, sulle repressioni e questo potere, che mantiene il popolo con razioni da fame, non può essere durevole, sarà sufficiente una sola debole spinta perché questo potere si riduca in polvere. Non appena avrò la possibilità di lasciare il villaggio di Suchobusimo, aprirò gli occhi ai miei compagni»[D.Gnocchi, Odissea rossa. Storia di un fondatore del Pci, Einaudi, 2001, pag. 225].
In queste profetiche righe c’è tutto il coraggio di un uomo che non volle piegarsi al terrore della dittatura staliniana e alla degenerazione di un sistema poliziesco che non aveva più nulla di quel socialismo sognato in gioventù da Peluso e per cui tanto si era speso nella sua vita di militante rivoluzionario. Il giudizio sull’Urss che ci consegnano queste parole risulta quindi essere una testimonianza storica di grandissimo valore, anche perché riporta attuale e viva la coscienza politica di un grande rivoluzionario del novecento.
l.c.