di Reda Zaireg
Da qualche settimana, un vasto movimento di boicottaggio mobilita le/i marocchini che vi partecipano con un entusiasmo a cui il re risponde con altrettanta inerzia.
Il boicottaggio è diretto contro tre marche: il latte della Centrale del latte, una compagnia posseduta principalmente da Danone, l’acqua minerale Sidi Ali, proprietà di Miriem Bensalah Chaqroun, presidente del patronato marocchino, e i distributori di benzina Afriquia, che appartengono a Aziz Akhnnouch, miliardario marocchino alla testa dell’ Unione nazionale degli indipendenti (RNI). Giustificata, secondo chi ha cominciato la campagna, dai prezzi elevati del latte, dell’acqua minerale e della benzina, questa campagna di boicottaggio ha preso le sembianze di un Hirak (movimento popolare del Rif N.d.T) virtuale contro il caro vita. Le risposte del governo marocchino, che ha cercato di minimizzarlo e screditarlo prima di rassegnarsi a prendere la cosa seriamente, hanno contribuito ad accrescere il risentimento e a dargli una piega di sfida della società contro lo Stato. Il discorso che ha portato al boicottaggio ha segnato in maniera duratura il suo orientamento: politicizzato ai margini, ha raggruppato istanze diverse – diminuzione del prezzo dei prodotti, miglioramento del livello di vita – portando a galla una frattura sociale. Man mano che il boicottaggio conquista terreno, le aspettative delle/dei boicottatori si accresce. Le risposte delle imprese prese di mira, che hanno moltiplicato le pubblicità, le promozioni e i comunicati, hanno contribuito ad aumentarlo piuttosto che frenarlo. Una delle cause di questo fallimento sta nel fatto che il boicottaggio si è in qualche modo profondamente politicizzato: non oppone solo tre imprese private ai loro consumatori, ma anche lo Stato ai suoi cittadini. Le cause di questo slittamento sono da ricercare sia nel discorso portato avanti da alcune imprese prese di mira – il direttore degli acquisti della Centrale del latte è giunto fino ad affermare che “boicottare questi prodotti è un tradimento della patria” – che nell’interessamento del governo, che ha difeso le tre imprese. Il boicottaggio non ha cambiato i bersagli – riguarda sempre le tre imprese – né gli obbiettivi – una diminuzione del prezzo del latte, dell’acqua minerale e del carburante – ma ha mutato la sua natura: a partire dal momento in cui il governo è intervenuto, si è trasformato in un vasto movimento di disobbedienza, il cui motore è l’inquietante rifiuto dello Stato marocchino e l’erosione della fiducia delle/dei cittadini verso le loro istituzioni. Le rivendicazioni dei/delle boicottatrici sono state rigirate, così facendo, verso il governo. Creando una commissione incaricata d’esaminare il caro vita, il governo ha reagito a questa protesta come già fatto precedentemente: mettendo in atto un dispositivo il cui ruolo è essenzialmente fuorviante. Una costante della vita politica marocchina, la proliferazione dei dispositivi – spesso delle commissioni incaricate di esaminare dei problemi urgenti, senza pertanto giungere mai a dei risultati – si è accentuata dopo la nomina di Saadeddine el-Othmani (facente parte del PJD, Fratelli musulmani N.d.T) alla testa del governo. Si tratta di una maniera di esercitare il potere, che consiste nell’ “attesa come maniera di governare” per riprendere la formula del politologo tunisino Hamza Meddeb. Questa maniera di governare passa, come rileva Meddeb, “dalla messa in atto, in maniera prolifica, di dispositivi che, alla fine, non aprono la via a dei veri arbitraggi, ancora meno a nuovi orizzonti o nuove visioni di sviluppo, pur giocando, ossia abusando della retorica del cambiamento e della trasformazione”. “Si tratti di azioni compensatorie, dei meccanismi di presa di tempo, di misure d’urgenza, il rinnovamento senza fine dei dispositivi temporanei” che contribuiscono anche a regolare “la rivendicazione nel limbo decisionale”. Se in Tunisia, questo modo d’agire mette in evidenza la disgiunzione tra urgenza della situazione sociale e priorità politiche, esso rimanda ugualmente, nel caso marocchino, all’incapacità del governo di articolare delle risposte di fondo ai problemi da cui si è implicati. Il Marocco preferisce prendere tempo sperando che l’insoddisfazione si spenga. Poiché la parte fondamentale dei poteri risiede nelle mani del re.
Inerzia del palazzo
Atteso sul terreno delle rivendicazioni legate al caro vita, Muhammad VI reagirà a questo boicottaggio? E’ possibile che egli non si interessi a una problematica che riguarda, in teoria, un governo sottratto di ogni tipo di capacità di soddisfare le domande che gli vengono rivolte. Ma nel caso in cui decidesse di far fronte alle domande provenienti dalle strade, quale risposte potrebbe offrire il re per far cessare la contestazione? “Aspettare la festa del trono (il 30 giugno) per sentirsi dire quello che vi soddisfa mi soddisfa, quello che vi dispiace non piace neanche a me, non è sufficiente”, si legge su una pagina di Facebook che pubblica regolarmente notizie su Muhammad VI. In una frase, due aspetti problematici del comportamento politico del monarca sono posti: il primo è quello dei tempi delle sue risposte. Intervenendo spesso mesi e mesi dopo, secondo un calendario di discorsi politici pronunciati in date fisse, il re fa un doppio uso del tempo politico: come risorsa – si tratta di arrivare allo spegnimento della protesta – e come prerogativa di una superiorità che bisogna costantemente riaffermare – si tratta, insomma, si imporre i tempi della monarchia come tempi di riferimento, e d’attestare la sua preminenza sul tempo sociale. Il contraccolpo di un tale atteggiamento è una bassa reattività verso le domande dal basso. Gli interventi tardivi di Muhammad VI alimentano d’altronde tutta una serie di discorsi, ormai comuni, sul disinteresse di un re lontano dal suo popolo, insensibile al clamore e poco comprensivo delle sue urgenze. Il secondo aspetto fa riferimento all’uso fatto dal re delle rivendicazioni delle strade. Accade spesso che re Muhammad VI si appropri delle domande dal basso e le riformuli in una tonalità più consensuale e meno politicizzata. Quando fornisce delle risposte esse non sono rivolte ai singoli casi: si inseriscono piuttosto in un quadro d’azione più largo, preferibilmente dirette a tuttx marocchinx. Così il re cerca di diluire le rivendicazioni in questo quadro, e colloca le sue azioni non come risposta alle domande dei movimenti sociali, ma in un calendario di riforme che gli è proprio. Quest’ultimo può essere accelerato dalla protesta ma non è ne la conseguenza. Insomma, il re cerca di mostrare che il suo comportamento politico non è ancorato alle pressioni che vengono dal basso. Queste risposte penano ormai a convincere: da una parte, si tratta generalmente di progetti sul lungo termine o che restano non ultimati. Tutto il contrario di una risposta celere che potrebbe calmare la protesta. D’altra parte, queste risposte soffrono delle contraddizioni e delle incoerenze della gestione repressiva dei movimenti sociali: Muhammad VI affronta le domande di chi protesta imprigionando dei manifestanti. Che logica si può trovare in tutto ciò?
Continuazione del hirak
Qualunque siano i calcoli che hanno motivato la repressione del Hirak del Rif e quello di Jerada si sono dimostrati del tutto inefficaci: questi movimenti sociali non si sono spenti con l’arresto dei propri leader. Sono entrati in una fase di latenza e riemergono grazie al boicottaggio. Le loro reti sono, per una larga parte, restate del tutto indenni. Lo stesso dicasi delle disparità che li hanno fatti scoppiare: continuano a esistere. Le reti dei/le hiraks (aderenti al movimento Hirak N.d.T) sono ormai pienamente impegnate per la riuscita del boicottaggi: delle pagine Facebook pro-hirak mobilitano in questo senso, con un discorso persino radicale di cui l’audience – migliaia di condivisione per alcune pubblicazioni – e il livello di adesione che riscontrano devono interrogare Quello che unisce il boycott ai/alle hiraks non si limita alla vicinanza delle rivendicazioni e obiezioni – tra cui una diffidenza verso il campo politico che assegna l’identità stessa dei due movimenti. Il successo di questi movimenti è da percepire come una concatenazione di elementi. Il boicottaggio assicura in qualche modo la continuità delle mobilitazioni precedenti. Attraverso la loro durata e ampiezza, i movimenti sociali del Rif e di Jerada hanno messo in crisi il modello politico, economico e sociale del Marocco. Detto brevemente, hanno proceduto attraverso una produzione graduale di rotture, mettendo a nudo le disfunzioni, gli errori e i problemi nel funzionamento del paese. Il boicottaggio riprende una parte delle domande delle/dei hiraks, integra dei discorsi e delle rivendicazioni eterogenee, riformulati secondo dei denominatori comuni – e dunque suscettibili di suscitare un’adesione di differenti frange di società – che intrecciano uno all’altro. Il boicottaggio pone anche le basi delle mobilitazioni future: un episodio di protesta marca in maniera permanente coloro che vi partecipano. Mettendo insieme dei gruppi sociali atomizzati – alcuni anche poco inclini a impegnarsi in un’azione collettiva – attorno a una rivendicazione comune, il movimento di boicottaggio partecipa sia alla ramificazione (generalizzazione?) di un sentimento di malessere che alla missa in piedi di una esperienza – base : questa esperienza potrebbe costituire l’assise delle mobilitazioni a venire, poiché ha forgiato e posto le basi di un’azione collettiva contro delle diseguaglianze da una grande parte dei cittadini. Si tratta anche di una causa costruita come legittima nello spazio pubblico. Insomma il boicottaggio e le mobilitazioni nel Rif e a Jerada assicurano, attraverso un gioco di risonanze, un’attualizzazione delle domande sociali, una rigenerazione della mobilitazione. Tutto ciò ha creato una dinamica sociale alla quale lo Stato marocchino fino ad ora non ha saputo rispondere.
Liberazione dex detenutx politicx
Un’altra prova di questo fallimento si gioca ormai in date fisse davanti al tribunale di Casablanca. Optando per la repressione, il palazzo ha forse creduto che questa sarebbe stata sufficiente per spegnere la contestazione? A vero dire non ha fatto altro che contribuire a metterla in sordina, favorendo un suo sviluppo sotterraneo. Nel momento in cui il processo dex detenutx del hirak si avvicina alla fine, le speranze delle/degli attivisti del movimento si riducono con il susseguirsi delle udienze, con una regolarità che lascia presagire una fine prossima. Visti i capi d’imputazione, le pene che potrebbero essere pronunciate rischiano di essere molto pesanti. Quale via d’uscita per questa crisi a distanza di un anno da un processo funambolesco? Portato aventi fino alla fine, nessuno uscirà vincente. Lo stato marocchino, impopolare – sempre capace di punire l’azione collettiva sulla base di capi d’accusa sproporzionati e esorbitanti . La giustizia, poco indipendente – anche supponendo che non abbia ricevuto delle istruzioni, sicuro svolgerà il suo compito con eccesso di zelo. La polizia repressiva e impunita – arresti arbitrari, abusi riferiti dax detenutx: tutto è messo nel dimenticatoio. In generale, portato fino alla fine, questo processo mostrerebbe che niente cambia e niente mai può cambiare in Marocco. Una sola fine onorevole si prospetta: la liberazione delle e dei detenuti politici. Nel momento in cui i/le marocchine non esistano più a esprimere il loro malcontento in differenti forme d’azione collettive, e in cui Muhammad VI sembra aver raggiunto un certo grado di impopolarità, graziare i/le detenutx del Hirak aiuterebbe a bassare la collera popolare che sale, e alleggerire l’ambiente teso che regna in Marocco. Ciò potrebbe essere una dimostrazione di fiducia e il punto di partenza per una nuova dinamica di potere.