Fonte: https://www.lascomadrespurpuras.com/single-post/2018/02/26/Salud-y-Libertad
Nella ricerca di un sentiero che molte e molti hanno tracciato. In questo momento in cui ciò che riempie i cuori è un piccolo nodo legato ai messaggi del passato, dedichiamo questo editoriale alle compagne e ai compagni di lotta che pensano che alcune di noi abbiano perso la testa per aver dichiarato di essere al di fuori del chavismo “realmente esistente”, per trovarci con coloro che stanno costruendo nuovi percorsi dell’autonomia del pensiero e dell’azione, non solamente teorici.
Intendiamo l’autonomia come la capacità di un soggetto collettivo (lavoratrici, lavoratori, movimenti delle donne, movimenti di genere, studenti, artisti, piccole comunità, popoli indigeni, contadine, contadini, ecc.) di svilupparsi integralmente, organizzarsi e governarsi per conto proprio, dal basso e sotto la propria direzione politica. La pratica autonoma rappresenta la dissoluzione del politico nel sociale, cioè non separa il potere politico dalla società (come accade nelle istituzioni statali), ma costruisce questo potere dalla stessa rete di relazioni e incontri dei soggetti collettivi.
Siamo “las comadres purpuras”, (le comari viola) nasciamo come iniziativa di varie voci critiche che vogliono aggiungere colori vivaci da e nella politica femminista. Una politica che non cerca i regali del governo, poiché questo è un meccanismo che è stato usato molto bene per mettere a tacere i grandi abusi che viviamo giorno dopo giorno e per rendere obbedienti le soggettività…perché: “uno non morde la mano di quelli che lo nutrono”. Abbiamo visto con tristezza e indignazione come i pochi movimenti integrati abbiano etichettato le espressioni politiche dissenzienti come “squallide”, con un aggettivo dispregiativo tipicamente usato dal governo. Il discorso consolidato di detestare ciò che era ed è diverso, mentre in un primo momento era solo uno modo per distanziarsi dai partiti di opposizione tradizionale, è diventato sempre di più un atteggiamento autoritario e repressivo, senza possibilità di discutere sulla questione dei diritti umani, di mettere in discussione quello che si pensa, rasentando così l’assurdo di non lasciar più denunciare i soprusi, gridare e persino rischiare la pelle per cambiare le condizioni di questa struttura oppressiva che è stata costruita per schiacciarci.
Nei vari gruppi politici sono presenti diverse sfumature e anche la nostra pratica ne è un esempio. Nel nostro seno confluiscono molteplici voci, che si uniscono nell’obiettivo di creare un fronte controculturale che contrasti i tanti soprusi. Prima di definirci “chaviste” o meno, ci dichiariamo femministe, sorelle, autonome, di sinistra e libertarie. Il Chavismo è stato un movimento interessante, con un potenziale enorme, ma non è riuscito a mantenersi autonomo come movimento ed è stato inghiottito dalle istituzioni, dal più corrotto dei poteri costituiti. Di fatto, l’identità del Chavismo si è costituita sull’immagine di un personaggio che, per quanto possiamo aver stimato, non era solo un leader popolare, ma era anche un Capo di Stato, un politico “di quelli di sopra”, un Comandante in Capo. La figura di Chavez è emersa attraverso un percorso politico statalista, non è poi inutile ricordare l’ovvia considerazione che il Chavismo sia un movimento personalistico basato appunto su una sola persona (Chávez) che ha fatto contare più le sue decisioni individuali piuttosto che l’identità politica del movimento. Ecco perché è così difficile per il Chavismo distaccarsi da un governo mafioso e autoritario come quello di Nicolás Maduro, perché più di quello che contraddice i nostri principi politici, si tratta comunque dell’eredità di Chavez. Questo problema da sempre presente nella tradizione del Chavismo lo rende oggi un ostacolo allo sviluppo di un movimento popolare autonomo. Anche per fare soltanto una manifestazione bisogna aspettare che il PSUV dica quando e dove: in questo senso, non condividiamo e concordiamo con una pratica politica che blocca, invisibilizza, silenzia e alla fine sostituisce i movimenti sociali.
Il Chavismo considerò sempre se stesso come un movimento politico espressione di solidarietà con gli ultimi e di contestazione del potere, ma gradualmente fu assorbito e digerito dal potere nell’ottica di una restaurazione e una ristrutturazione dei poteri statali ed economici. Per quanto audace e innovatore si auto-rappresenti il Chavismo, è difficile separare questa sua caratteristica dalla successiva istituzionalizzazione, dall’attaccamento affettivo e dalla lealtà pretesa verso la figura del Presidente, ovvero dove l’autonomia del movimento si è spenta e l’efficacia è diventata nulla. Le vertenze di lotta invecchiano nei tentativi stantii di incontri con qualche vice ministro o nell’attesa di urgenti telefonate in arrivo dall’ “alto governo”, continuando a insistere nell’inutile speranza dell’esplosione di “contraddizioni interne” al potere, in cambi di rotta che ormai non fanno presa più su nessuno. Così hanno finito col creare una bella espressione politica: “la comare è diventata banale”.
Molte di noi sono cresciute nelle azioni di ribellione di strada portate avanti dai movimenti popolari di quel tempo, non c’era nessun “paco” da attaccare senza pensarci due volte.
Ora ci voltiamo indietro e scopriamo che sia la sfera governativa che il Chavismo difendono e giustificano la violenza di stato e il rafforzamento repressivo delle forze di sicurezza. Questo movimento è stato un osservatore passivo e amichevole della costituzione dei peggiori nuclei di Comandos de Operaciones Especiales a partire dall’anno 2013 in poi. Oltre ad aver approvato una legge antiterroristica (2012) e la nuova legge contro l’odio (2017), attraverso cui imprigionare coloro che denunciano semplicemente l’enorme crisi che viviamo. Senza dubitare per un momento, ben sapendo che con queste procedure qualsiasi espressione di malcontento popolare sarebbe stata contrastata e resa minima. C’è stato un silenzio assoluto, pur essendo noto il numero di persone innocenti assassinate brutalmente dallo Stato in ogni Operazione di Liberazione del Popolo (OLP) o che ora affrontano la terribile repressione delle marce dei lavoratori. Hanno finito per dimostrare ciò che il Chavismo respinse così tanto agli inizi: è diventato un apparato repressivo nemico della protesta popolare.
Nessuno vuole abbandonare la “nave del socialismo del XXI secolo”, però va bene, noi li aspettiamo su un’isola, sicuramente non si comincia da zero, anche se fa male. Però preferiamo che faccia male piuttosto che silenziare tanto autoritarismo, portatore di quelle misure conservatrici e puritane che regolano nella maniera più sinistra la condizione di quelle e di quelli che abitano questo territorio chiamato Venezuela.
Il movimento popolare radicato nell’identità chavista continua a difendersi nei piccoli ma utopici spazi dove ha potuto mantenere una sua autonomia. Casi come quello della “Comuna el Maizal” diventano rappresentativi di una tensione che non sopporta più. Crediamo di dover ricostruire le nostre identità più profonde per poter uscire con una strategia coerente con noi stessx, al fine di superare la tensione che sta per esplodere.
Dalla più ampia diversità di identità nella storia del movimento popolare, ma anche dalla più forte autonomia, che non è negoziabile, come femministe non sponsorizziamo la guerra creata da uomini che giocano al potere e in linea con il loro gioco fanno sì che ci uccidiamo a vicenda. È così che funzionano gli Stati, non partecipiamo al rafforzamento delle strutture che controllano le nostre vite, siamo qui per accompagnare, sostenere e costruire cellule di lavoro politico autonomo. Il nostro seme è dato per questo lavoro e molte di noi continueranno a dare la vita. Se non possiamo vivere di un’utopia che non sia servile, allora meglio morire.
Continueremo per le strade abbattendo le soggettività imperanti
Continueremo a urlare
Non avranno così tante prigioni da riempire con chi le odia