Tutto l’amore che ho lasciato in tenda

“Buongiorno, e allora? Le uniche difficoltà ad entrare nel giovane nuovo mondo possono essere di carattere personale. Ingenuità sensibilità fantasia sono finalmente tollerate, potenziamento del bagaglio emotivo, up-gradazione della vostra libertà individuale, estensione delle facoltà sensitive: tutto può dipendere ora dalla vostra volontà. Me chiudo tutta ‘a rrobba mia, ccà sulo smanio e me ne ascì, muto e torturato, ‘mbastardisco ‘ncatenato tengo a collera e chi è stato troppo tiempo a se capì. Se-se-putesse, se-me-ne-jesse, quando-partesse, comme-cantasse: fosse pe’mme nnun turnasse maje cchiù, fosse pe’mme nun turnasse maje cchiù” [24 Grana, Nel Metaverso, Metaversus, 1999]

La Calabria la raggiungo dopo un lungo viaggio stipato in un regionale delle ferrovie dello Stato pieno zeppo di gente che va a mare nel periodo di ferragosto, villeggianti che scendono per lo più alle fermate del treno nei paesini sulla costa più turistici rispetto a quelli interni. Non lo nego, sono terrorizzato, anche se non credo di darlo a vedere agli altri, in questo probabilmente sono bravo. L’ultimo ricordo di un corteo fatto per solidarietà ai migranti lavoratori nelle campagne mi ha lasciato ancora addosso la paura delle manganellate della polizia a fine manifestazione. Poi non mi sono più mosso in giro lontano da casa per ragioni politiche, diciamo che la Calabria la conosco per aver seguito le partite in trasferta della squadra di calcio della mia città. Poi sono arrivati i profughi, i morti nel mediterraneo, la chiusura militare delle frontiere e il sistema di accoglienza che tratta i migranti come oggetti da spostare e occasione di lucro nel business dei centri temporanei. Insomma, quello che mi ha mosso è la necessità di prendere una posizione, non semplicemente di avere un’opinione sulla questione: non è un corteo e non necessita di una persona in più nella sfilata, però è giusto stare qui con le persone in questo momento e magari dare una mano per quanto possibile. Non si tratta di organizzare un servizio umanitario o di fare volontariato o cose simili, avallando così l’infernale sistema di accoglienza e deportazione dei migranti, ma forse nemmeno di fare militanza politica di quella classica, assieme a un gruppo organizzato ben definito, che sia un centro sociale o un’area di movimento. Una presenza in solidarietà e nel rispetto delle decisioni dei lavoratori qui delle campagne, radunati in una tendopoli provvisoria ormai da anni, è una cosa ben diversa: quanto, me ne accorgerò purtroppo ben presto, una volta che avrò visto il comportamento in tendopoli delle associazioni umanitarie e dei militanti dei gruppi del movimento. La Calabria non è poi tanto diversa da casa mia, lo stesso sole cocente e gli stessi posti meravigliosi sul mare, gli stessi scheletri di cemento delle case abusive mai finite che costellano il paesaggio, la stessa violenta e criminale brutalità della borghesia al potere, sia dello stato che della società civile o mafiosa. I migranti, come dicevo, sono stipati in questa tendopoli perché vanno a lavorare nelle campagne qui vicino: la mattina presto arrivano i pullman affittati stesso da loro per potersi guadagnare la giornata alle condizioni di uno sfruttamento che tutti possono immaginare quanto sia terribile. La novità è che le istituzioni hanno deciso di costruire un altro campo sostitutivo a pochi km da qui e stanno cercando da giorni di spostare le persone convincendole che la nuova sistemazione sarà bella, bellissima, un paradiso: i volontari delle associazioni umanitarie girano in coppia tra le tende consegnando i volantini in più lingue che spiegano perché sia necessario e conveniente spostarsi. Il problema, però, è che i migranti pare che non abbiano intenzione di muoversi. Seppure vivere in queste tende abbandonate sotto al sole dopo ore di lavoro durissimo nei campi, con servizi igienici praticamente assenti e con pochissimi comfort, sia un’impresa per chiunque, nel campo si è sviluppata anche una vita intensa fatta di relazioni e di solidarietà tra i vari gruppi che lo popolano, con le cucine comuni, la tenda che funge da moschea, con i ragazzi con le maglie del Real Madrid e della Juventus che confrontano le scommesse sul calcio internazionale fatte alle ricevitorie del paese più vicino. Mentre associazioni e qualche sindacato cerca di spacciare la nuova tendopoli alla stessa stregua di quello che racconta il questore, arrivano però le prime smentite e le prime voci che parlano di un posto decisamente diverso da quello presentato: nella nuova tendopoli si potrà entrare e uscire solo dopo essere stati schedati e controllati, in orari precisi della giornata, pagando i pasti di una mensa non controllata più dagli stessi migranti ma bensì da qualche associazione che ha vinto l’appalto milionario. Inoltre le tende continuerebbero a ospitare tredici-quattordici abitanti, con una sola brandina militare senza praticamente più nulla: eppure la struttura pare sia costata centinaia di migliaia di euro! Insomma, tira e molla, tra lusinghe e minacce, alla fine lo stato ha deciso di procedere ad uno sgombero soft della tendopoli, non potendo certo deportare con la forza centinaia di persone in un solo giorno in un posto che viene spacciato come un paradiso, stabilendo il giorno del trasferimento ma senza calcare la mano, almeno all’inizio: chi rimane nella vecchia tendopoli deve sapere, però, che verrà assediato e gli verrà fatta terra bruciata intorno. Detto questo, eccomi qui, il giorno precedente allo sgombero minacciato dalla questura, che ha convocato per l’indomani una conferenza stampa da tenersi nella nuova tendopoli, sperando di riuscire a portare davanti alle telecamere qualche migrante da mostrare come trofeo e prova dell’avvenuto trasferimento. Arrivo nella tendopoli sotto un sole e un caldo atroce. Il primo impatto è comunque impressionante, si provano una serie di sentimenti contrastanti, tutti vividissimi, dalla simpatia che comunicano le persone che abitano questo posto alla tensione per quanto sta per accadere, un giorno che comunque vada cambierà le loro esistenze. Le persone però sono abbastanza tranquille e determinate, quasi nessuno ha intenzione di muoversi nonostante le pressioni ricevute; durante l’assemblea in cui parlano gli esponenti delle varie comunità africane la decisione pare unanime, non si vuole fare casino all’arrivo della polizia la mattina dopo, però si vogliono continuare a fare le proprie richieste. Documenti, possibilità di essere indipendenti e autonomi, magari anche per andarsene via di qua. Qualcuno mette in risalto l’aspetto importante di poter continuare a mangiare nella mensa comunitaria senza dover pagare la retta giornaliera, altri lamentano dei controlli e delle schedature previsti nella nuova struttura o del fatto che ci sono troppi letti per tende non molto grandi e che la situazione in breve diventerà la stessa di quella attuale, solo con più controllo di adesso. Parlando con le persone che abitano la tendopoli si accennano a varie questioni: tanto la loro vita è dura e complicata, tanto sembrano forti nel resistere in condizioni così avverse. Vedo l’Imam della moschea, ha una camicia gialla e un aspetto sereno, molto pacato: è deciso a sostenere la lotta comune senza volerla capeggiare o strumentalizzare, il suo atteggiamento è molto laico e posato, con pochi fronzoli. Intanto il cerchio si stringe, ma questo lo vedremo domani mattina. Per ora faccio un’altra scoperta, i ragazzi sotto le tende al riparo dal sole fortissimo con un caldo mai visto prima in vita mia, mi offrono una bevanda bollente che però risulta gradevole e incredibilmente ritemprante. Per la notte decidiamo di rimanere assieme nella tendopoli, ci portano la cena e ci preparano una tenda per gli ospiti. Comincio a sentire un po’ di freddo e decido di tentare di dormire qualche ora prima dell’alba, in attesa del primo appuntamento: in realtà, come ampiamente prevedibile, non chiudo occhio e sono in piedi quando i primi ragazzi vanno verso la moschea per la preghiera mattutina. Da quando sono arrivato adesso ho meno paura di quando ero sul treno, anche se mi resta addosso una grande preoccupazione, unita al grandissimo amore per i fratelli e le sorelle africane che resistono e per le persone che mi accompagnano in quelle che sono le mie vacanze di ferragosto. D’estate non spendo mai niente per viaggi, mi conservo qualche spiccio per quando i voli low cost potranno portarmi in Inghilterra in bassa stagione. Arrivano i primi raggi di sole e la gente comincia ad affollarsi davanti le tende, aspettando l’arrivo di polizia, politici, prefetto etc. Non sono neanche le otto di mattina e il sole è già cocente, non basta il cappello e ogni tanto occorre ripararsi. Davanti al cancello si affollano i gruppi di migranti, hanno in mano uno striscione con cui chiedono i documenti, quando dalla strada arrivano le associazioni di volontariato e qualche militante di qualche gruppo politico o dei sindacati. L’atmosfera comincia a farsi tesa, non sono chiare le intenzioni di tutti. Quando arrivano in blocco le istituzioni e la polizia, ci troviamo su due sponde opposte: noi dietro i migranti perché semplicemente in solidarietà con le loro richieste, i “compagni” dei gruppi e dei sindacati, invece, dal lato delle istituzioni. Facciamo presto a capire che stanno cercando di trovare una mediazione per iniziare lo sgombero in maniera concordata. Nonostante i tentativi della mattinata, però, i migranti rispondono negativamente a tutto lo schieramento dello Stato che vuole cominciare a riempire la nuova struttura. È un momento importante, gli abitanti della tendopoli si sono fatti sentire e stanno resistendo. Dopo poche ore, però, arrivano le prime voci di una lista di persone pronta a trasferirsi: sappiamo che alcuni esponenti dei sindacati stanno corrompendo e convincendo la gente a spostarsi, rompendo così il fronte dell’unità della lotta. Qualcuno in effetti si sposta, trovando però una realtà nella nuova struttura che non lo soddisfa. Altri invece rimangono nella nuova tendopoli, consentendo ai rappresentanti delle istituzioni di inscenare il teatrino mediatico secondo cui l’operazione è riuscita. Le persone però sono determinate a restare ferme nella vecchia tendopoli, continuando la lotta. In molti è fortissima la delusione per quanto è avvenuto, per quello che considerano un tradimento fatto da alcuni loro amici. Passano le ore e il precario allaccio dell’acqua nella tendopoli viene chiuso: assediati e senza più acqua la situazione precipita, ci affanniamo a chiamare il sindaco del comune che contiene anche questo posto così bene illuminato dal sole per chiedere spiegazioni, ma lui addirittura sostiene che i migranti si siano già tutti trasferiti nella nuova tendopoli, poi si fa negare e non risponde più al telefono. Dopo poche ore, comunque, torna l’acqua. Mentre ci apprestiamo a tornarcene a casa sullo stesso regionale affollato, questa volta in direzione nord, i nostri smartphone pare debbano esplodere per le polemiche che impazzano sui social network: mentre i media cercano di attaccare i migranti e i pochi solidali che sostengono la loro lotta, i gruppi politici e sindacali della sinistra per l’accoglienza schiumano rabbia contro chi invece ha deciso come noi di non autoproclamarsi mediatore nel conflitto. Fioccano le solite accuse indecenti di estremismo, avventurismo, irresponsabilità etc. con tutto il campionario fraseologico a cui la sinistra ci ha sempre abituati. Ripreso il treno, penso a tutto quello che ho imparato in pochissimi giorni, in ore così intense, quasi dilatate nel tempo e nello spazio. Tornando a casa riascolto le battute razziste in mezzo alla via, oppure leggo le polemiche su internet contro gli immigrati, contro l’invasione, con Salvini sempre in onda su La7. Insomma il solito schifo. Però sento di avere dei fratelli e delle sorelle in più, che l’amore ancora mi spinge a rivivere al più presto un’esperienza del genere.

Kigen