Riceviamo e pubblichiamo:
Lo scorso 22 ottobre veniva diffusa una nota trasmessa dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (numero 0318577) al Ministero della Giustizia e alle sigle sindacali del corpo di Polizia Penitenziaria -ma non ai direttori delle carceri o ai loro sindacati- denominata “Schemi di decreti legislativi correttivi del riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle forze di polizia”.
La lunga nota di dieci pagine fa riferimento a decreti che saranno portati in Parlamento e che di fatto, oltre a riordinare ruoli e carriere, tolgono potere ai direttori e alle direttrici delle carceri per trasferirlo ai comandanti della polizia penitenziaria. Si tratta in particolare dello schema di Decreto Legislativo correttivo del Riordino delle carriere delle Forze di Polizia, approvato dal Consiglio dei ministri e in queste settimane all’esame delle Commissioni parlamentari.
Secondo questo nuovo riordino il comandante d’istituto (ossia il capo delle guardie) non deve rispondere, automaticamente, alla direzione amministrativa del carcere ma può e deve avere una propria autonomia di decisione e di azione.
A pagina quattro della nota si legge inoltre che non deve più essere tra i poteri del direttore o della direttrice quello di intervenire per avviare l’iter per la sospensione o destituzione dal servizio di un agente in caso di trattamenti nei confronti delle persone detenute che non siano in regola col senso di umanità della pena ma sarà il comandante di reparto ad infliggere la misura della sanzione.
E’ evidente che il senso generale sia togliere potere reale ai direttori e alle direttrici del carcere per trasferirli ai comandanti della Polizia Penitenziaria con tutte le conseguenze che derivano da una scelta di questo tipo, sia da un punto di vista politico che gestionale: si tratta infatti di un atto di chiaro indirizzo politico che riserverà molte ricadute negative immediate nella vita quotidiana delle persone detenute.
È la definizione di un modello meramente punitivo, di controllo e repressione, molto lontano dai concetti di rieducazione, risocializzazione e reinserimento. Del resto stupisce relativamente, considerato l’Atto di indirizzo politico-istituzionale del ministro Bonafede per l’anno 2020, in cui, tra le altre cose, si definiscono i direttori di istituto (così come del resto tutti gli operatori appartenenti al Comparto Funzioni centrali, quindi educatori, amministrativi, contabili etc.) “personale estraneo” all’amministrazione penitenziaria.
Altro punto da non sottovalutare riguarda la riforma della prescrizione che entrerà in vigore il primo gennaio 2020 e che prevede l’interruzione dei termini di prescrizione dopo la sentenza di primo grado, sia di condanna che di assoluzione. Questa riforma, presentata come fiore all’occhiello del populismo giustizialista grillino e che ha riguardato negli anni prevalentemente le polemiche dei processi mediatici come quelli fatti a Silvio Berlusconi, in realtà andrà semplicemente a peggiorare il sistema giudiziario nazionale. Si elimina una tutela che garantiva l’imputato dall’eccessiva durata del processo, scaricando ora su di lui le lungaggini burocratiche della giustizia.
Ci sembra infine di dover aggiungere che movimenti e manifestazioni nazionali come quella dello scorso 9 novembre a Roma siano estremamente fallimentari nel momento in cui non affiancano alla giusta richiesta di abolire le leggi sicurezza una sana rivolta contro la crescente militarizzazione della società ed il complesso delle misure che limitano la libertà.
Venerdì 22 novembre 2019 dalle ore 09:30 alle 13:00 presidio al carcere di Fuorni – Casa circondariale in via del Tonnazzo – 84131 Salerno