di Renad Mansour
In quello che sta diventando un rituale estivo nel sud dell’Iraq, nel corso delle ultime settimane i/le manifestanti sono scesx in strada per esprimere le loro rimostranze in un caldo torrido. L’incapacità del governo di fornire i servizi di base, vale a dire l’elettricità e l’acqua, rende l’estate insopportabile a moltx irachenx. L’alto tasso di disoccupazione significa che in moltx non possono permettersi uno standard di vita minimo. Rispecchiando l’alto livello di disperazione, l’ultima ondata di proteste è diventata più violenta rispetto agli anni precedenti. In nove province irachene, i manifestanti hanno preso d’assalto gli edifici governativi e le infrastrutture, nonché gli uffici dei partiti politici, a volte incendiandoli. Nessun leader o partito politico è stato risparmiato. I manifestanti hanno attaccato persino gli uffici del religioso populista diventato politico Muqtada al-Sadr, che in passato era un leader delle proteste.
Anche se le ultime dimostrazioni non possono portare a cambiamenti immediati e significativi, segnalano l’instabilità del conflitto in Iraq. Per la prima volta, il governo di Baghdad ha preso di mira esplicitamente i manifestanti nel sud, portando a un numero senza precedenti i morti e i feriti; almeno otto dimostranti sono stati uccisi a partire da questa settimana (20 luglio N.d.T). Questa recente ondata di violenza suggerisce che la prossima faglia del conflitto in Iraq non sarà tra sciiti, sunniti e curdi, ma tra il popolo e la classe dirigente, che non è riuscita a governare negli ultimi 15 anni.
Anche se le proteste di quest’estate sono state sporadiche e senza una chiara leadership, e sebbene non porteranno a cambiamenti drastici, riflettono un substrato di disillusione popolare che mette in discussione la convivenza sociale in Iraq. A partire dall’estate del 2015, questo movimento di protesta è emerso per la prima volta a Bassora e si è diffuso in tutto il sud prima di arrivare nella capitale Baghdad. Nel settembre 2015 la folla è passata da poche centinaia di migliaia di persone a oltre un milione. Da allora, in diverse occasioni, in milioni hanno di nuovo marciato nelle strade di Baghdad e nel sud dell’Iraq per chiedere un cambiamento. Le proteste di questa estate segnalano che le rivendicazioni di questo movimento non sono svanite.
Un fattore importante che spiega l’aumento del movimento di protesta è il miglioramento della sicurezza in Iraq. La maggior parte delle città, tra cui Bassora e Baghdad, non sono testimoni di violenze estreme ormai da diversi anni. Gli iracheni sciiti ora protestano contro i loro stessi leader sciiti perché, al di là della sicurezza, lo stato non soddisfa i loro bisogni primari.
Ciò che chiariscono le attuali proteste, inoltre, è che non è più sufficiente per un aspirante leader politico iracheno mobilitare identità etnico-settarie per garantirsi un collegio elettorale e ottenere legittimità. Il movimento di protesta è emerso nel 2015 all’apice del dominio territoriale dello Stato islamico rispetto ad altre zone prevalentemente sunnite dell’Iraq, in un momento in cui i leader politici stavano ancora tentando di ottenere il consenso della popolazione utilizzando la logica etno-settaria. Molti manifestanti, tuttavia, hanno equiparato i loro leader allo Stato islamico, sostenendo che “il funzionario corrotto è simile al terrorista”.
Le principali rimostranze del movimento, allora come adesso, ruotano attorno all’incapacità del governo, fin dal 2003, di fornire servizi essenziali e occupazione. Ad esempio, Bassora si trova al centro della ricchezza petrolifera irachena. Un particolare che ha provocato l’ironia dei/delle suoi/sue abitanti. Le compagnie petrolifere internazionali e l’élite irachena hanno giovato dei miliardi di dollari di proventi in tutta la provincia, mentre solo una percentuale molto bassa è arrivata ai suoi residenti. Così, un manifestante ha scritto su uno striscione, “2.500.000 barili di petrolio al giorno; $ 70 USD al barile; 2500000×70 = 0”.
Moltx irachenx hanno deciso che il cambiamento può venire solo fuori dal sistema
La leadership irachena post-2003 è detenuta da manifestanti, molti dei quali continuano a governare oggi, responsabili del fallimento dello Stato nel provvedere per o rappresentare i suoi cittadini. Questo fallimento è stato evidenziato negli ultimi anni dall’incapacità di Baghdad di soddisfare le richieste dei manifestanti o colmare il divario tra i cittadini e l’élite politica. In diverse occasioni, il Primo Ministro Haider al-Abadi ha tentato di sedare le proteste apportando modifiche personali al suo Gabinetto. Nel 2016, ad esempio, ha rimescolato sei ministri come gesto simbolico di pacificazione dopo che i dimostranti, guidati da Sadr (politico e religioso sciita N.d.T), hanno preso d’assalto la Zona Verde e occupato il Parlamento. Tuttavia, per molti manifestanti, questi cambiamenti di facciata non affrontano i problemi sistemici del paese.
Piuttosto che un cambiamento nella leadership simile a quella delle rivolte arabe del 2011, il movimento di protesta iracheno sta richiedendo un cambiamento sistematico nell’ordine politico post-2003, e in particolare nel sistema di condivisione del potere delle quote noto come muhassasa. Sotto l’apparenza di inclusività, questo sistema ha potenziato e arricchito i leader sciiti, curdi e sunniti, che però non hanno condiviso il potere o la ricchezza con la popolazione irachena.
A peggiorare ulteriormente la situazione, le istituzioni statali rimangono deboli e sono lottizzate dai vecchi partiti politici. Ciò è stato evidente durante le recenti elezioni, che hanno registrato la più bassa affluenza dal 2003. A Baghdad, Bassora e in altre aree dove il movimento di protesta è stato più forte, l’affluenza è stata inferiore alla media nazionale. Moltx cittadinx di queste zone hanno deciso di boicottare il voto, sostenendo che il cambiamento non sarebbe arrivato grazie alle elezioni che al contrario rafforzano le stesse leadership corrotte.
In larga misura, chi ha boicottato aveva ragione. Sebbene il voto abbia comportato il fatto che circa il 65 per cento dei membri del parlamento sia formato da volti nuovi, i leader e i partiti che governeranno per i prossimi quattro anni sono rimasti gli stessi. Il processo di formazione del governo dopo le elezioni è stato caratterizzato dal negoziato tra i soliti volti noti della politica, tutti disposti a scendere a compromessi per ottenere un pezzo del bottino governativo. Persino Sadr, che ha conquistato la maggioranza dei seggi con una campagna anti-establishment, ha trattato con le figure del sistema che aveva attaccato durante la la campagna, alleandosi con il capo dell’Organizzazione Badr e la Lista di Fateh, Hadi al-Ameri; l’attuale vicepresidente Ayad Allawi; e il capo di Hikam, Ammar al-Hakim. Inoltre, ha trattative in corso con Abadi, l’attuale primo ministro. Per molti iracheni, queste trattative hanno rivelato che le elezioni servono a rafforzare l’élite piuttosto che fornire un mezzo per il cambiamento del sistema.
Allo stesso tempo, gli altri meccanismi istituzionali per determinare il cambiamento – la magistratura, le commissioni indipendenti e gli organi di governo locali – sono compromessi, deboli e politicizzati. Di conseguenza, moltx irachenx stanno concludendo che il cambiamento può venire solo dall’esterno del sistema, perché lo status quo diventerà insostenibile a lungo termine: continueranno a usare proteste e sollevazioni per esprimere le loro frustrazioni. E poiché l’ultima serie di proteste con ogni probabilità non porterà a un vero cambiamento, il senso di disillusione, segnato dal divario tra governanti e governati, continuerà a peggiorare.