“Lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine” Guy Debord.
Le immagini dell’uragano Irma che devasta la Florida salendo sulla cartina geografica dello stato americano con il colore rosso-arancione della forza al massimo livello di allerta possibile fanno veramente impressione: se le associamo al negazionismo di Donald Trump sulla realtà del riscaldamento globale vediamo l’uomo che nega il global warming e abbandona gli accordi sul clima di Parigi mentre affronta uno degli effetti catastrofici dell’innalzamento delle temperature semplicemente esortando la gente a scappare via dalla Florida. La catastrofe deve andare avanti, the show must go on, il capitalismo sembra aver assorbito anche l’annuncio della prossima distruzione del pianeta, con nonchalance, si possono fare dei bei profitti anche sugli studi scientifici che dimostrano che un immediato (quanto improbabile) cambio di rotta in materia ambientale non servirebbe ormai a modificare l’esito disastroso per il pianeta Terra. C’è tempo dunque per uno spettacolo ad alti livelli, non per la farsa del riformismo della “green economy”: fa ridere Veltroni che richiama il Pd ad una sua vocazione ecologista, i tempi in cui si risolveva la questione dando un assessorato a Pecoraro Scanio sono finiti, adesso sono scesi in campo i pesi massimi della politica del capitale, quelli della alt-right o della Brexit, i populisti che tanto piacevano alla sinistra antimperialista nostrana. Ormai pare chiaro come le grandi lotte ambientaliste siano le lotte anticapitaliste più avanzate, coincidendo il sistema di sfruttamento delle risorse dei territori e del lavoro salariato su più fronti. Eppure solo pochi anni fa un economista di sinistra tra i più seguiti in Italia poteva scrivere su “Liberazione” come gli ambientalisti fossero dei “nemici di classe” in quanto ostacolo all’aumento della spesa pubblica e alla ripresa del keynesismo di Stato che avrebbe dovuto invertire la rotta del neoliberismo trionfante. In Brasile il fallimento della socialdemocrazia corrotta di Lula ha spianato la strada al governo della destra di Temer, ex vice di Dilma Rousseff: una delle più recenti disposizioni del nuovo presidente riguarda l’intervento industriale massiccio in una parte cospicua della foresta amazzonica, uno di quei “polmoni del pianeta” che sta affondando. Anche le migrazioni da cui si difende la fortezza Europa e le guerre in medio oriente coincidono largamente con le crisi ambientali e idriche: anche in questo caso, come per la Florida di Trump, il tentativo europeo di chiudere le frontiere e salvarsi dal massacro può rivelarsi una mera illusione. Veltroni, aderendo alla sua rinnovata verve ambientalista, potrebbe riprendere il suo vecchio progetto di fare volontariato in Africa partendo da uno di quei lager in Libia che il suo compagno di partito Minniti sta finanziando. Chi ha provato a ribellarsi contro i regimi più brutali in questi anni, dall’Egitto alla Siria, è stato schiacciato con una violenza che conosce pochi precedenti. La rivoluzione siriana è stata spezzata da un’alleanza che va dal regime di Assad a quello di Putin fino all’intervento del fascismo dell’Isis, così come la dittatura di Al-Sisi in Egitto sta sterminando un’intera generazione con la complicità dell’Italia: se tiriamo una linea tra gli interessi di questi regimi e il ruolo di multinazionali come l’Eni in Africa troviamo anche qui una perfetta coincidenza tra l’ascesa del capitalismo di rapina e la distruzione ecologica del pianeta. Di fronte a questa situazione generale, non si capisce perché la vita degli attivisti anticapitalisti negli stati occidentali dovrebbe essere più semplice di quella dei loro compagni in Africa o in Asia o altrove. L’automobile che piomba sul corteo antifascista a Charlottesville ci ricorda come la mano pesante del capitalismo contro i suoi oppositori sia sempre pronta a colpire anche in “democrazia”. Allo stesso livello è il discorso nell’infosfera mediatica: nei social troviamo sempre più sdoganate a livello di massa le posizioni naziste più esplicite e tocca farci i conti nel libero confronto di opinioni tra chi vuole lo sterminio e chi no. Insomma, sono passati più di quindici anni da quando Hardt e Negri in “Impero” aprivano l’immaginario delle lotte dentro la globalizzazione portando l’esempio di Francesco di Assisi come riferimento del militante comunista in questa nuova era: scalzo, ricco solo di amore, il “poverello” avrebbe affrontato i potenti del mondo consapevole della gioia e della giustezza che derivavano dalle sue azioni. Come sia andata a finire è sotto gli occhi di tutti, invece dei militanti è arrivato papa Francesco e anche questo scorcio di immaginario è stato coperto dalla rappresentazione del potere. Forse Negri e Hardt invece che al poverello di Assisi, che pure rimase integrato dentro un dispositivo mortale come l’istituzione cattolica, avrebbero dovuto guardare a un Fra Dolcino o agli altri eretici che scesero in armi contro la chiesa. Ciò non toglie che un cedimento alle sirene del nichilismo sarebbe sbagliato: il capitale, come detto, ha appaltato agli sceneggiatori dei suoi studios anche lo spettacolo della fine del mondo, ai militanti rivoluzionari non è rimasto dunque neanche più il “no future”. Quello che resta, invece, è proprio l’urgenza di organizzarsi e di lottare in assenza di ogni illusione riformista, sarebbe da dire: finalmente.
Lino Caetani