[In Venezuela il regime chavista di Nicolàs Maduro sta inasprendo sempre di più la repressione contro la rivolta popolare che si è diffusa in tutto il paese per via della grave crisi economica e sociale: il 30 luglio, giorno prima dell’elezione dell’Assemblea Costituente (organismo votato solo da una minoranza di elettori chavisti e boicottata dalle opposizioni maggioritarie nel Parlamento ostile al governo), ben 16 venezuelani sono stati uccisi dalle forze governative, di polizia o para-militari. I commentatori di sinistra e di movimento sono quasi tutti schierati con il governo per una sua presunta posizione anti-imperialista e le cronache che scorriamo sulle bacheche social dei compagni ci parlano di un esperimento socialista, sia pur contraddittorio, che viene osteggiato dalla destra foraggiata dal grande capitale americano: i rivoltosi, bene che vada, vengono dipinti come utili idioti al servizio dell’imperialismo. Questo accade anche perché non si conoscono le storie e le voci di chi è in prima persona impegnato nelle rivolte: per tentare di rompere il silenzio e farla finita con le calunnie che dipingono vigliaccamente generosi e coraggiosi rivoluzionari come agenti del fascismo, abbiamo pensato di tradurre alcuni materiali provenienti dal movimento anarchico venezuelano, cominciando con questa intervista a uno dei tanti protagonisti della rivolta contro il regime di Maduro]
di Rodolfo Montes de Oca
Il giorno 11 luglio è stato arrestato nella città di Maracaibo, nello stato di Zulia, un compagno anarchico che ha partecipato alla difesa della comunità dagli attacchi da parte della Polizia Nazionale Bolivariana (PNB) e di funzionari governativi. Per preservare la sua integrità fisica utilizzeremo il nome “Complice de fuego”. Abbiamo parlato con lui dopo che aveva lasciato il luogo di detenzione: attualmente sta bene e partecipa attivamente alla ribellione popolare.
– Per iniziare questa conversazione, cosa ti ha spinto a partecipare alle proteste?
Per molti anni ho partecipato a vari tipi di proteste. Il fatto di difendere le mie idee insieme ad altri è stato per me l’obiettivo principale nella costruzione di una mia scelta di campo nella società. Ho scelto per la mia vita l’ideologia anarchica, che si traduce in un sistema di valori in cui si incarnano i principi che guidano i vari aspetti della partecipazione sociale. La coerenza tra parola e azione è l’elemento centrale per la pratica costante delle nostre idee. Assimilare principi comporta anche una serie di impegni, che sono legati alle nostre azioni quotidiane e si concretizzano in forma di scelte e di decisioni: sulla base di questo, la lotta viene interiorizzata ed è praticabile nel campo sociale. Sedersi pigramente con le braccia conserte in momenti di tensione sociale non è in armonia con l’ideale libertario. Le contestazioni, anche se la maggior parte restano inficiate dal carattere rappresentativo della democrazia (è questa una discussione fatta agli albori dell’anarchismo), sono composte da soggetti sociali in cui si ravvisa un forte scollamento dalla politica partitica. Le persone adottano nuove forme di organizzazione sociale in cui emergono elementi che fanno parte del quadro teorico dell’anarchismo, come la solidarietà, il rispetto e il sostegno reciproco. Come nemici dell’autorità, del potere e dello stato, credo che il nostro dovere di libertari sia quello di accompagnare le persone in questa impresa senza precedenti e contribuire, dal nostro punto di vista, con strumenti che aiutino a rafforzare la lotta contro la tirannia.
– Hai visto delle correlazioni tra le forme di protesta e il pensiero libertario?
Assolutamente sì. Di fatto, questa sintonia contribuisce a rafforzare un principio fondamentale del movimento anarchico: “Se i principi sono praticati, non importa che non si chiami anarchia”. Ora, facendo un’analisi, l’organizzazione delle proteste è legata a criteri di azione collettiva. Le persone si incontrano e agiscono intorno a obiettivi comuni, si pongono degli obiettivi e programmi di azione. Tutto al di fuori della retorica partitista che, come è noto, cerca di incanalare il potere dell’azione collettiva in una strategia di ascesa politica delle leadership. La crisi strutturale in cui è immerso il paese ha creato le condizioni per un’organizzazione autonoma e coerente con le esigenze dei diversi settori della società. La rappresentanza politica viene superata, il divario tra le sue proposte riformiste e le petizioni che vengono dal basso è dannoso per le rivendicazioni di un movimento che è attraversato da un sentimento comune: la caduta del governo dittatoriale di Nicolas Maduro. Le comunità organizzano le loro azioni, creano reti di affinità, di comunicazione e di difesa. Si organizzano in modo orizzontale e gestiscono le proprie risorse nell’interesse dei bisogni immediati della comunità in questione. L’utopia è reale.
– Quando sei stato arrestato? Puoi raccontarci un po’ che cosa è successo?
Sono stato arrestato l’11 luglio di quest’anno (2017) alle quattro di pomeriggio. L’arresto è avvenuto nella zona in cui vivo, per la precisione in via Falcon, un luogo molto usato per le proteste. C’è stata una chiamata generale alle cosiddette “trancazos”, la chiamata è venuta attraverso i social network. Erano le 11:00 quando ero con un altro compagno (anche lui libertario, avremo la possibilità di leggere anche il suo resoconto degli avvenimenti) nel pieno delle proteste. La cooperazione avviene in maniera naturale, si alzano le barricate e si preparano gli strumenti della resistenza. Il tutto senza imposizioni, ciascuno secondo le proprie volontà e capacità. Con il passare delle ore, la strada si è riempita di gente, la folla era diventata impressionante. Mi ricordo di aver fatto una battuta sul fatto che “non ci sono tanti poliziotti per così tante persone”. Dopo mezzogiorno la gente della comunità aveva l’abitudine di fare un “pranzo solidale” dove il cibo veniva preparato per chiunque volesse mangiare. Le persone offrono acqua, cibo e si aprono per i manifestanti perfino le porte delle case. L’emozione non dura però a lungo, si posiziona a un centinaio di metri da noi una squadra della polizia Bolivariana dello Stato di Zulia (CPBEZ): un acronimo che mette i brividi per via della nota storia di abusi che caratterizza questo corpo poliziesco. Subito iniziano le provocazioni, i poliziotti ci insultano e ci sfidano. Fanno di tutto per far cessare l’equilibrio e la calma e quindi giustificare la repressione. Va notato che tra i gruppi anti-sommossa alcuni funzionari mentre ci riprendevano con il cellulare ci insultavano e minacciavano. Hanno cominciato a sparare i gas lacrimogeni, la polizia voleva disperderci, lanciando bombe incendiarie e proiettili di gomma, gas lacrimogeni al pepe, uno più forte dell’altro, ma sempre affrontati dalle persone con la volontà e il desiderio di resistere insieme. La protesta ha raggiunto il suo picco, la polizia antisommossa ha
cominciato a muoversi verso di noi, sparando e gettando le cose. Mentre ci stavamo ritirando, da una via sono spuntate quattro moto con i funzionari di polizia che si erano nascosti. Ho visto la moto venire verso di me, e lo sguardo del poliziotto: ero il suo obiettivo. Cerco di schivare la moto, ma sono molto veloci; sono avanzati a tutta velocità e hanno attraversato la mia strada, scontrandosi con il mio piede destro, l’impatto mi ha causato delle lesioni. Sono rimasto sull’asfalto in posizione fetale, coprendomi la faccia, perché sapevo cosa stava per succedere. Due poliziotti mi hanno preso a calci nelle costole e nello stomaco, urlandomi “Sali sulla maledetta moto!”. Mi hanno preso di peso e mi hanno caricato sulla moto quando ero praticamente svenuto (sentivo delle grida lontane: “Non dargliene così tante, prendilo e vai via!”). Il poliziotto mi ha messo sulla moto, mentre guidava mi dava delle gomitate nello stomaco colpendomi ripetutamente (se Maduro dovesse leggere questa intervista, di sicuro gli darebbe una medaglia per l’abilità nel torturare). Quasi svenuto, mi hanno portato in un capannone vicino alla scena della protesta. Ero molto debole e non riuscivo a scendere dalla moto, quindi, mi hanno messo giù a suon di botte … Sono caduto a terra. Mi sono svegliato e ho cercato di aggiustare i miei occhiali. Pessima idea, la polizia me li ha strappati e mi ha fracassato la faccia (tutto sempre accompagnato da insulti). Ho urlato che avevo bisogno degli occhiali per vedere, che non potevo farne a meno. Le mie richieste non hanno avuto alcun risultato, se non di essere preso in giro e sentirmi dire “ahh ma per gettare bombe non sono ciechi…”. Dopo lunghe ore con roba simile (molto tempo ammanettato, mi sono rimasti i segni), siamo stati trasferiti a un comando di polizia chiamato Irama. Sono stato introdotto lì e spogliato di tutto, ma dopo un po’ ho potuto ottenere di fare una telefonata e avvisare la mia famiglia (che non ho potuto vedere fino a quando
non sono stato rilasciato). Sono stato arrestato alle 4:00 pm e solo alle 10:00 di sera ho potuto chiamare casa mia. La ONG di difesa dei diritti umani “Foro penale venezolano” è arrivata al comando, dandoci indicazioni e sollevando il morale degli arrestati. Dopo 24 ore, dormendo sul pavimento, mangiando e bevendo quel poco che era riuscito a far passare la nostra famiglia, abbiamo finalmente lasciato la stazione di polizia. In tali situazioni, i minuti sono ore. Ero stato picchiato ed ero molto debole, ma felice di essere uscito a testa alta.
– Come è stata la reazione delle altre persone private della libertà? Ci sono state azioni di solidarietà?
Con me sono state catturate altre quattro persone, tra cui un amico. Tutto è accaduto molto velocemente e la gente era molto spaventata, io non li biasimo, hanno armi e possono distruggere la vita di chiunque. Nel camion, dopo aver subito percosse e umiliazioni, lanciandoci un rapido sorriso, abbiamo parlato tra noi e scherzato sulla nostra sorte. Abbiamo condiviso tutto. Se un membro della famiglia ha inviato il pane, il pane è stato diviso in quattro parti così potevamo mangiare tutti. Qualcuno era più ottimista degli altri: “tranquillo compagno, tra poco ce ne andiamo”, mentre uno più pessimista diceva “ci giudicheranno in un tribunale militare”. L’incertezza si tagliava con un coltello. Alla fine di tutto, i “maledetti guarimberos” sono diventati buoni compagni e qui ce n’è uno che può raccontare con rabbia quello che è successo.
– Stai per essere giudicato o hai un ordine di comparizione?
La decisione di cosa sarebbe stato di noi era un dibattito interno al comando di polizia, poiché alcuni erano della “opposizione” e altri sostenitori del governo. In un primo momento hanno cercato di addebitarmi delle accuse che non corrispondevano al mio arresto, qualche ricordo: alterazione dell’ordine pubblico, fabbricazione di ordigno incendiario, tra le altre cose. Ho negato tutto. Mi hanno fatto le foto e preso le impronte digitali. Dopo l’arrivo degli avvocati, mi hanno fatto firmare una lettera di impegno e un ordine restrittivo per l’area in cui sono stato arrestato. Secondo loro, non posso andare in quella zona e commettere di nuovo “atti violenti”.
– Come si vive nello Zulia? Vale la pena rischiare tanto?
Lo stato Zulia, nello specifico Maracaibo che è dove abito, è un municipio coinvolto dalla crescita esponenziale della popolazione. La densità demografica dello stato di Zulia produce una differenziazione immensa di culture e modi di vita. È una città compatta e calorosa, con pretese da metropoli. È piena di polizia e banche; istituzioni e imprese. È importante sottolineare che lo scambio culturale che si vive nelle strade, perché è una città di confine. Al di là di un denso strato di apatia e cattivo umore, c’è gente nobile e coraggiosa. Vivere nella città dell’“amato sole” è difficile, come lo è in ogni città in Venezuela. La differenza sta nel modo in cui si affronta la realtà. Ne vale la pena, il tempo e i sogni. La vita per me non è l’inerzia sui binari di una routine. Il modo in cui si vive deve essere una diretta conseguenza delle proprie idee, bisogna mettere in pratica i principi che scegliamo per guidare il nostro cammino. Le nostre idee sono il timone che dirige le nostre azioni. La difesa della nostra libertà individuale è composta da nodi di affinità in cui la prassi collettiva intreccia la nostra ideologia.
– Pensi che ci troviamo di fronte ad una Ribellione Popolare?
Siamo dentro una ribellione popolare e ne siamo testimoni. Questa rivolta è semplicemente la risposta ad una crisi causata da fattori strutturali. La rottura dell’ordine sociale consiste nell’abbandono del modo settoriale di rispondere ai diritti dei cittadini e si concretizza nel violare gli ordini della dittatura; emergono spontaneamente focolai di rivolta sociale che derivano e si ramificano in azioni di rivendicazione sociale in cui il collettivo e l’individuo si fondono per formare un moto popolare che persegue obiettivi comuni.
– Qual è la tua opinione sugli “autoconvocati” e sui “gruppi di resistenza”?
Quando si fa un paragone tra le proteste del 2014 e quelle dell’anno in corso si possono evidenziare alcune sfumature che, anche se sottili, segnano comunque una differenza. In primo luogo, le manifestazioni nel contesto attuale, diversamente rispetto al 2014, vengono convocate dalla società civile organizzata. In secondo luogo, la forza di sovra-determinazione dei partiti nella lotta è molto diminuita e ha perso peso rispetto al passato. La coalizione riunita nella MUD (Mesa de Unidad Democratica) si caratterizza come un’opposizione collaborazionista e debole: si sta allontanando sempre di più dalla gente che rischia la pelle nelle strade, dagli arrestati, dai caduti, dalla gente che muore di fame o muore in una sala d’attesa. A queste persone non basta un dialogo con il governo o un negoziato tra poteri: hanno bisogno di un profondo cambiamento della struttura sociale. Per quanto riguarda i gruppi di resistenza, dal mio punto di vista, sono la punta di diamante in questa lotta per la ricerca di un governo di transizione. Non solo per il fatto di spingere verso la fine della dittatura, ma per il messaggio che si lascia ai governi che verranno: “Ci sono persone che si organizzano, che si difendono e attaccano”. L’organizzazione che si costruisce nei gruppi di resistenza non ha precedenti, il percorso di autonomia nasce in modo spontaneo tra le persone coinvolte in questi gruppi. La gestione è orizzontale e le decisioni sono prese nelle assemblee. Di solito questi gruppi operano insieme alla comunità in cui vivono. Si preparano per la difesa e per l’attacco, creano i loro strumenti di difesa in modo artigianale facendo uso di quanto si ha a portata di mano (questo non impedisce che la qualità degli strumenti sia buona). Sono informati e documentati, li muove la convinzione e il pensiero di un Venezuela migliore. La resistenza sta scrivendo la storia.
– Cosa pensi degli “anarchici” che osservano in silenzio quanto accade in Venezuela per non appoggiare una presunta “destra”?
Il disegno teorico dell’anarchismo ci ha lasciato qualcosa di estremamente chiaro: siamo contro tutti i governi. Sulla base di questo presupposto, la militanza anarchica affronta qualsiasi forma di governo, che si proclami di destra o di sinistra. Lo Stato è la ragione principale delle disparità sociali e delle relazioni di potere che ci separano, pertanto è il nostro nemico. Gli anarchici che attualmente chiudono un occhio di fronte agli eventi semplicemente non hanno capito nulla. Non hanno capito i principi che uniscono i libertari. Giustificare la repressione di un governo solo per il fatto che questo si auto-proclami di “sinistra” è qualcosa che si allontana decisamente dal pensiero anarchico. Non c’è nessuna destra che attacca la sinistra. Ci sono persone nobili che difendono i loro diritti, che resistono alla dittatura, che cercano dei cambiamenti nella società in cui vivono. In questo processo di liberazione e di lotta, che come anarchici sosteniamo con la solidarietà e il sostegno reciproco, i cambiamenti sono generati dal basso nella rete sociale.
– Quale dovrebbe essere l’attività degli anarchici e dei libertari in questa fase politica?
È nostro dovere come anarchici accompagnare e promuovere la rivolta. Essere presenti in tutti gli ambiti in cui si pratica la lotta popolare contro la tirannia. Dobbiamo condividere le informazioni sulla lotta e sulla difesa popolare che storicamente definiscono l’anarchismo. Conosciamo il modo di organizzare e strutturare le mobilitazioni promuovendo l’autonomia e lo sviluppo orizzontale dei movimenti sociali. La musica, gli scrittori e tutta la letteratura che ha segnato la nostra crescita culturale e intellettuale sono ora i nostri strumenti per affrontare la dittatura. Sappiamo di propaganda e contro-informazione, strumenti estremamente importanti per l’egemonia comunicativa che il governo di Maduro ha installato nel paese. L’anarchismo è un catalogo di strumenti per l’organizzazione sociale. Bisogna far circolare il messaggio che stiamo combattendo fianco a fianco nelle comunità, bisogna dare validità e credibilità al nostro discorso.
– Per concludere…cosa vorresti aggiungere?
L’utopia è diventata realtà, i precursori nelle lotte non si sono sbagliati. Da queste barricate, voglio mandare un forte abbraccio solidale a tutti i compagni di resistenza. Per tutti i compagni che hanno subito abusi e vessazioni dallo Stato, per tutti quelli che resistono a stomaco vuoto, che si ritrovano a piangere un caduto in famiglia. Per le persone che affollano le strade, che si tolgono il pane dalla bocca per darlo a chi sta peggio. Vale ogni secondo nella lotta. In particolare, voglio mandare un abbraccio con tutte le mie forze a quei compagni che sono detenuti, a quelli che portano sulle loro spalle una condanna di decenni solo per aver espresso dissenso contro questo governo tirannico. Non posso nemmeno immaginare il dolore che hanno di fronte, ma spero che questo messaggio gli serva almeno di conforto. Sulla strada siamo in molti che non dimentichiamo, restiamo in piedi, combattiamo, apprezziamo coloro che hanno dato la loro vita per questa lotta. Mi auguro che sapendo che c’è chi lotta e spera per la loro libertà, possano sentirsi meno soli. Un abbraccio, ci vediamo per le strade.