La piega vuole sperimentare una formula laboratoriale per un blog collettivo tramite contributi, composizioni, assonanze, eccedenze che hanno bisogno di spazi di vita, espressione e connessione: l’obiettivo è prendere una brutta piega.
“Per cominciare ad orientarci in questo mondo leibniziano, per Deleuze ancora attualissimo, potremmo appunto pensare che la realtà è fatta di pieghe, una piega che si prolunga all’infinito e non cessa di differenziarsi, ripiegamenti della materia e pieghe dell’anima. Una realtà porosa, rugosa, cavernosa, sempre in movimento, in uno sterminato brulicare di piccole pieghe: molteplicità che si ripiega e si spiega, e che sta a noi, alla nostra capacità di pensarla, tentare a nostra volta di spiegare. Per semplicità, possiamo pensare proprio alla stoffa e alle sue pieghe, a un tessuto che si trama di infinite increspature; oppure, con un occhio per così dire più orientale, possiamo pensare alla carta e quella sottile arte giapponese di piegarla che si chiama origami” [Pier Aldo Rovatti]
L’idea che sia costantemente importante fare e dare un punto e mai la linea, che la costruzione di soggettività sia più legata alle affinità e alle assonanze che ad un richiamo all’ordine, il tentativo di costruire una serie di composizioni che possano creare un modo differente di porsi rispetto all’analisi della realtà e dei suoi movimenti: questo blog collettivo nasce come un tentativo (uno dei tanti) di dare uno spazio virtuale (e possibilmente in alcuni casi anche fisico) a questa esigenza diffusa tra tant* di noi. La differenza che forse ci contraddistingue da altre elaborazioni collettive è che vorremmo tentare di dare voce a una presa di posizione intersezionale opposta al classico discorso legato ad analisi, commenti, autorappresentazioni politiche e opinioni: pur essendo legittime tutte queste ultime, riteniamo che ci sia una sottile differenza tra “avere” una posizione (il campo delle opinioni, soprattutto nell’era dei social, si dispiega su di un piano così vasto e sconfinato che sarebbe veramente una fatica improba attraversarlo con la pretesa di “fare egemonia” tra le posizioni contrapposte) e “prendere” una posizione, che implica un coinvolgimento emotivo, affettivo, quando cioè in ballo c’è il nostro corpo e ci sono le possibilità che i nostri incontri, anche i nostri discorsi e i nostri ragionamenti, producano qualcosa di positivo, un di più di gioia e di composizione comune. Viviamo un tempo nel quale è difficile, se non impossibile, costruire percorsi collettivi che siano felicemente intersecati con le volontà di essere singolarmente attivi, capaci di spendere le migliori energie individuali perché spesso questi tentativi si scontrano con la volontà di un soggetto egemone che propone la delega ai suoi associati, a cui chiede semplicemente di assumere un tono uniforme, un vocabolario collettivo, un linguaggio unico che chiuda ogni possibile fuga in avanti o divergenza. In questo stesso tempo, però, già l’emergere di un richiamo urgente alla pratica politica dell’intersezionalità ci porta a dover fare un passo in avanti: contro la gerarchia delle lotte, contro l’immagine del militante umano-maschio-lavoratore-occidentale siamo costrett* ad attraversare le varie faglie che il capitalismo oggi propone nel suo tentativo di riduzione ad uno dei vari mondi che esistono e potenzialmente potrebbero esistere. Il transfemminismo queer, il superamento della dicotomia animale-umano, la lotta alle frontiere, non c’è nessun tema che oggi possa pretendere di zittire discorsi e pratiche di un altro percorso, ponendo una riduzione già in partenza delle pratiche di lotta. Attraversando questa realtà, tra le pieghe del molteplice, cercheremo di aprire qualche spazio in più di incontri, di complicità e relazioni solidali.