Il cambiamento climatico è diventato importante. È in Tv in prima serata

Fonte: https://peopleandnature.wordpress.com/2019/04/23/climate-change-must-be-a-thing-its-on-prime-time-tv/#more-2445

Gli effetti chiave del riscaldamento globale sono stati riportati senza mezzi termini davanti a milioni di telespettatori nel documentario “Climate Change: The Facts”, trasmesso su BBC One giovedì 18 aprile. “Può sembrare spaventoso”, ha detto il super-popolare naturalista e personaggio televisivo David Attenborough, presentando lo spettacolo, “ma le prove scientifiche dicono che se non avremo intrapreso un’azione drastica entro il prossimo decennio, potremmo avere danni irreversibili per la natura e il collasso delle nostre società “. La stampa ha adorato il documentario della BBC. “Una chiamata alle armi”, ha scritto il quotidiano “The Guardian”. “Bisogna che filantropi, investitori e governi si sveglino per agire?” Si è domandata la rivista “Forbes”.

Il gruppo teatrale “Renew Rebels”, in scena a Waterloo Bridge venerdì 19 agosto durante le proteste di “Extinction Rebellion”. Il petrolio (in nero) affronta il potere delle onde (in blu), il vento (in bianco) e il sole (in arancione)

Io mi sono chiesto: perché proprio adesso?

La BBC non ha mai avuto fretta di raccontare il riscaldamento globale. Nel 2011, due decenni dopo che i colloqui internazionali sul clima erano iniziati a Rio, gli scienziati stavano contestando la BBC per aver dato spazio ai negazionisti dei cambiamenti climatici. Nel 2014, una nota della BBC ha detto ai giornalisti di smettere di fingere che fosse necessario mostrare una “equidistanza” tra la scienza del clima e i suoi negazionisti – ma la pratica è continuata, portando a un altro comunicato nel settembre dello scorso anno. In quel periodo, i ricercatori avevano iniziato a rifiutarsi di entrare negli studi della BBC per discutere con i negazionisti.

Ma giornalisti di alto profilo della BBC si sentivano ancora obbligati a intervistare quei cospirazionisti antiscientifici che sono pagati dall’industria dei combustibili fossili per consigliare Donald Trump. Nell’ottobre dello scorso anno, quando il rapporto “Intergovernmental Panel on Climate Change” ha delineato le misure utili per limitare il riscaldamento a 1,5 gradi al di sopra del livello preindustriale, Evan Davies di “Newsnight” ha dato a Myron Ebell lo spazio per sminuirlo.

Secondo certi standard, la BBC sta andando anche bene. Dopotutto, ci sono voluti 359 anni al Vaticano per scusarsi di aver costretto Galileo Galilei a negare la sua scoperta che la terra girasse attorno al sole. La BBC ha messo in dubbio i cambiamenti climatici: il documentario “Climate Change. The Facts” arriva dopo soli 30 anni da quando gli scienziati hanno dimostrato il nesso causale della combustione dei fossili e di altre attività economiche nel riscaldamento globale. Molto bene.

Quindi, perché proprio adesso? Secondo me per due motivi principali.

1. La realtà del riscaldamento globale sta diventando palesemente ovvia. Venti degli anni più caldi mai registrati nella storia sono stati negli ultimi ventidue. Effetti come le inondazioni e la devastazione dell’agricoltura sono stati avvertiti nel sud globale per molti anni. Adesso anche i paesi ricchi vengono colpiti. Il documentario “Climate Change. The Fact” affronta molto bene questo problema, mostrando la devastazione causata dagli incendi e l’innalzamento del livello del mare negli Stati Uniti.

2. È emerso un movimento di protesta completamente nuovo, diretto essenzialmente contro l’incapacità dei politici di agire sul riscaldamento globale, con scioperi degli studenti e azioni dirette non violente su larga scala da parte di Extinction Rebellion (XR).

Gli scioperi scolastici si sono diffusi in apparenza completamente al di fuori dell’influenza, per non dire del controllo, delle organizzazioni politiche o ambientaliste esistenti. XR sembra politicamente simile ai precedenti gruppi ambientalisti – ma, certamente qui nel Regno Unito, nessun gruppo di questo tipo ha mai portato così tante persone a un potenziale scontro con le forze dell’ordine.

L’istinto dell’establishment politico, penso, è di usare una combinazione di dialogo, concessioni, cooptazione e retorica per domare, limitare e controllare questi movimenti. Questo non vuol dire che la repressione non avrà alcun ruolo: la polizia potrebbe abbandonare, almeno in parte, il suo approccio morbido nei confronti di XR. Ma il controllo sociale nel capitalismo riguarda tanto l’ideologia e le opinioni quanto la violenza e la repressione (sto pensando al Regno Unito, anche se alcuni di questi punti si applicano più ampiamente).

Il potere (e la ricchezza che esso rappresenta) può convivere con un “movimento per il clima” che non minacci il suo controllo dell’economia e della società. Alle narrazioni che presumono che strutture e partiti politici esistenti possano e debbano “risolvere” il problema del riscaldamento globale sarà permesso di riecheggiare attraverso i media mainstream. Il potere ha interesse a convincere le persone che sta ascoltando – e, dal momento che sa che le persone non sono stupide, parte della sua strategia è farlo veramente.

Gli ultimi 20 minuti di “Climate Change: The Facts” hanno raccontato la solita storiella di come i governi si occupino del riscaldamento globale. Il documentario ha messo in evidenza l’accordo di Parigi del 2015 – ma non il fatto che esso abbia semplicemente prolungato un quarto di secolo di negoziati, durante i quali l’uso globale di combustibili fossili è aumentato della metà. Ha riconosciuto che le compagnie petrolifere e del carbone resistono ai cambiamenti, ma non ha menzionato come i governi li sostengono con centinaia di miliardi di dollari di sussidi.

Un vero dibattito su come affrontare il riscaldamento globale inizierà non con i colloqui internazionali sul clima ma con il riconoscimento del loro disastroso fallimento.

Non sono un folle teorico della cospirazione che pensa che David Attenborough sia uno strumento di alcuni oscuri manipolatori. Chiaramente, però, egli è un portavoce adatto a presentare “soluzioni” al riscaldamento globale, che sono state discusse per anni tra piccoli gruppi di diplomatici, politici e ONG durante i colloqui sul clima, ad un pubblico più ampio. Perché, come dice il Daily Telegraph, “tutti ci fidiamo di Attenborough”.

La discussione sui media mainstream, di cui fa parte “Climate Change: The Facts”, presuppone che non solo le strutture politiche esistenti, ma anche le strutture economiche e sociali, possano affrontare il problema.

La possibilità di maggiori trasformazioni sociali dirette a ribaltare le relazioni di potere e ricchezza – e il pensiero che queste possano essere il modo più efficace, o anche l’unico modo, in cui l’inarrestabile dominio del combustibile fossile possa essere fermato – viene preso poco o in nessuna considerazione. L’idea che, nel mondo ricco, la gente possa vivere più felicemente al di fuori dei sistemi tecnologici controllati dalle aziende e basati sui combustibili fossili, è quasi completamente assente. Così come sono assenti le ipotesi che il sud globale non sia condannato a seguire questo cosiddetto “percorso di sviluppo”.

Ammetto che l’appello di George Monbiot di “rovesciare questo sistema che sta mangiando il pianeta” sia arrivato fino allo show televisivo di Frankie Boyle. I media sanno come emarginarci o pubblicizzarci.

Spero che i nuovi movimenti climatici diventeranno forum aperti in cui verranno discusse le idee su cambiamenti sociali, politici e tecnologici radicali. Resistiamo alle pressioni che vogliono restringere il dibattito all’interno delle recinzioni ideologiche del mainstream.

Prendiamo ad esempio la principale richiesta politica di XR nel Regno Unito – che l’economia del paese dovrebbe essere “carbon neutral” entro il 2025. Facile da dire, difficile da raggiungere.

Una delle prime domande a cui XR dovrà rispondere è quella posta in Francia: che dire degli attacchi agli standard di vita dei lavoratori confezionati e presentati come misure per affrontare i cambiamenti climatici? Come la tassa sul diesel proposta che ha innescato la rivolta dei “gilet gialli” nel dicembre dello scorso anno.

Le persone appartenenti alla classe operaia in Francia hanno visto la tassa come una misura di austerità neoliberista, vestita con abiti “ambientalisti”, e si sono rivoltate contro di essa di conseguenza. “Le élite parlano della fine del mondo, mentre noi parliamo della fine del mese”, era (a quanto pare) un tema ricorrente.

Un “movimento per il clima” nel nord del mondo, separato dalla rabbia giustificata contro il neo-liberismo manifestata da molti “gilet gialli”, è destinato a fallire a livello sociale ed è fatalmente imperfetto a livello politico.

L’intento delle politiche di “austerità” neoliberale, praticate dal presidente Emmanuel Macron in Francia oggi e dai governi britannici dagli anni ’80, è quello di proteggere e sostenere l’economia capitalista in costante espansione – e il modo in cui è strutturata per beneficiare l’1% della popolazione mondiale – che, a sua volta, è la causa principale del riscaldamento globale.

I “gilet gialli”, gli altri movimenti anti-austerità, gli studenti in sciopero e i “ribelli” di XR sono tutti contro lo stesso sistema. Tutti abbiamo bisogno di un linguaggio comune e di una politica comune (per proposte pratiche, si vedano i link alla fine).

Le questioni su cui dovremmo concentrarci, credo, sono “come possiamo unire questi movimenti?” e “come possiamo sviluppare una vera democrazia, indipendente dallo stato, attraverso la quale elaborare misure adeguate per prevenire pericolosi cambiamenti climatici?”, piuttosto che “quale consiglio possiamo dare alle strutture politiche esistenti – a chi ha saputo per anni come il cambiamento climatico si sarebbe potuto evitare e si è rifiutato di agire?”.

Se pensate che stia esagerando sul pericolo che le proteste climatiche vengano cooptate e controllate, pensate alla lotta contro il razzismo.

Nei primi anni ’80, quando il consenso sociale del dopoguerra stava crollando e Margaret Thatcher divenne primo ministro, quella lotta fu caratterizzata dai riot del 1981. I britannici neri e altri nelle loro comunità hanno messo a soqquadro i quartieri popolari delle città e hanno chiesto un miglioramento delle loro condizioni di vita.

Negli anni ’90, quando il “New Labour” di Tony Blair prese il posto dei Tories, le narrazioni antirazziste furono sempre più cooptate e controllate. Il rapporto Macpherson del 1999 sull’uccisione di Stephen Lawrence, un adolescente nero, fu una svolta: mise in luce che l’inchiesta sull’omicidio (notoriamente pasticciata) mostrava che le forze di polizia erano “istituzionalmente razziste”.

L’adozione dell’antirazzismo da parte dell’establishment ha prodotto molti risultati positivi. Le vittime hanno affrontato meno frequentemente il muro di ostilità che la famiglia Lawrence si era trovata davanti. Nelle scuole, nelle strade e nei campi di calcio, sono state messe in discussione le espressioni aperte di razzismo. La stampa popolare cambiò, barcamenandosi tra forme sottili e subliminali di razzismo e una condanna ipocrita esclusivamente “morale” di singoli individui razzisti. Ma le strutture sociali ed economiche che moltiplicano e incoraggiano il razzismo non sono state toccate. Il governo Blair ha proseguito con le sanzioni e l’invasione del 2003 in Iraq con il risultato dell’omicidio di massa fondamentalmente razzista di centinaia di migliaia di civili. Le politiche di immigrazione intrinsecamente razziste furono rafforzate.

Studentx in Uganda durante lo sciopero per il clima. Foto di Fridays for Future Uganda

La conseguenza di questo processo è l’attuale rinascita del razzismo. Le basi strutturali sono il sostegno del Regno Unito a nuove guerre in Medio Oriente, in primis l’attacco genocida dei Sauditi allo Yemen e il preoccupante “ambiente ostile” per i migranti. I risultati ideologici sono la subdola islamofobia presente in tutta la società e il recente aumento di azioni razziste di strada.

Il cambiamento climatico, come il razzismo, è un problema grande e sfaccettato che sfida semplicistiche “soluzioni”. Occuparsene significa avere a che fare con il sistema sociale ed economico che l’ha prodotto. Non lasciamo che l’élite politica e i suoi media stabiliscano i termini del nostro dibattito su come farlo. GL, 23 April 2019.

Alcuni articoli pubblicati su “People & Nature” sulle misure necessarie per combattere i cambiamenti climatici:

Heathrow: “jobs vs climate action” is a false choice (June 2018)

The Red Green Study Group on social justice and ecological disaster (June 2018)

Memo to Labour: let’s have energy systems integration for the many (May 2018)

Will Labour’s climate policy rely on monstrous techno-fixes like BECCS? (March 2018)

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